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Ci prendono per fessi. L’economia della manipolazione e dell’inganno
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Articolo di Corrado Festa
22 settembre 2016 16:44
 
 Negli anni ’60 la teoria economica si caratterizza sempre più per il suo approccio razionale-matematico ai problemi, che le conferisce una dottrina di base solida e riconosciuta, più che per ogni altra scienza sociale. Il tipico problema affrontato dall’analisi economica è quello di trovare una soluzione ottimale, data una serie di vincoli. La tipica analisi economica mira a chiarire come i soggetti economici, il cui agire è improntato alla massima razionalità, risolveranno il problema di ottimizzazione, raggiungendo una situazione di equilibrio.
Disporre di una solida teoria di base, formulata secondo modelli matematici, accresce il valore scientifico riconosciuto all’economia come disciplina. Ed è proprio grazie al prestigio acquisito dalla loro disciplina che gli economisti assumono in quegli anni un ruolo preminente nella vita pubblica rispetto agli esperti delle altre discipline sociali
Negli stessi anni anche la teoria finanziaria si evolve secondo le stesse linee razionalistiche. Nel 1965, ad esempio, a Chicago uno studente, Eugene Fama, enuncia nella sua tesi di dottorato la Efficient Market Hyphotesis, secondo la quale i mercati sono efficienti ed i prezzi delle azioni, riflettendo sempre tutte le informazioni al momento disponibili, rappresentano in ogni momento la miglior stima del valore intrinseco delle azioni.
Sia in àmbito macro-economico che finanziario si afferma quindi una visione improntata a modelli razionali di comportamento dei mercati e dei soggetti che in essi agiscono. Si ipotizza che le decisioni economico-finanziarie siano prese secondo motivazioni del tutto razionali (ad esempio per massimizzare l’utilità attesa da una certa transazione), da soggetti che non solo hanno tutte le informazioni necessarie a prendere le proprie decisioni, ma che sono anche in grado di utilizzarle secondo complessi modelli di analisi quantitativa, senza farsi influenzare dalle proprie emozioni o da motivazioni che non siano la massimizzazione del proprio beneficio atteso.  
Questa visione esprime naturalmente una grande fiducia nel funzionamento del mercato, visto come un meccanismo in grado di auto-regolamentarsi e di assicurare la massima efficienza ed il massimo benessere collettivo. La svolta politica reaganiana – thatcheriana degli anni ’80 ne è specchio fedele: la deregolamentazione dei mercati ha lo scopo di consentire alla loro razionalità intrinseca di apportare in pieno i propri benefici.
Proprio ad inizio anni ’80 tuttavia iniziano le obiezioni alla visione razionalistica. Dal lavoro di due psicologi israeliani (Daniel Kahneman e Amos Tverski) si sviluppa la Behavioral Economics, che studia l’influenza dei fattori emotivi e cognitivi sulle decisioni economiche. I soggetti economici non sono più perfettamente razionali, perché sono influenzati dalle loro emozioni, credenze, paure, aspettative e speranze. In altre parole, non sono più visti come Econs, freddi ottimizzatori razionali (tipo il Signor Spock di Star Trek), ma piuttosto come Humans, agitati da passioni e soggetti a commettere errori (per chi è interessato al tema: R. Thaler, Misbehaving, the Making of Behavioral Economics, Penguin Books, 2015, oppure B. Alemanni, Finanza Comportamentale, Egea, 2015)
Da allora il dibattito tra le due anime della teoria economica e finanziaria, quella razionale e quella comportamentale, è rimasto sempre vivo e non solo con valore accademico: mettere al centro dei modelli di interpretazione la razionalità dell’agire economico e dei mercati oppure la fallibilità delle scelte ha chiare conseguenze politiche.
La Behavioral Economics ha ottenuto diversi risultati: ha fatto conoscere i bias che viziano le nostre decisioni, ha scalfito la fiducia eccessiva nei mercati (prima ancora che la Grande Crisi Finanziaria portasse discredito ai mercati finanziari), è stata applicata nel campo delle politiche pubbliche e previdenziali (vedi R. Thaler e C. Sunstein, Nudge: la spinta gentile, Feltrinelli, 2014).
Ciò nonostante i concetti di utilità, ottimizzazione, equilibrio alla base della dottrina economica insegnata nelle università sono ancora immutati ed improntati a definizioni e modelli che presuppongono un agire perfettamente razionale.
Proprio in questo dibattito si inserisce il recente libro di George Akerlof e Robert Shiller (del quale il “Ci prendono per fessi” del titolo dell’edizione Italiana travisa ampiamente il senso), che intende compiere un passo in avanti dal lato della Behavioral Economics. Il libro descrive una serie di malfunzionamenti dei mercati, ma non semplicemente per mostrare che essi non sono razionali, ma piuttosto per mettere in discussione un concetto base della dottrina economica, quello di equilibrio.
Gli Autori sono sostenitori del libero mercato, sono convinti che i liberi mercati competitivi funzionino “bene”, ma non vogliono nemmeno che “l’elogio del mercato si spinga troppo in là. Se gli uomini non sono perfetti, il libero mercato competitivo non sarà solo il terreno in cui produrre quanto risponde alle nostre necessità e ai nostri desideri, ma anche il terreno in cui lanciare la caccia all’ingenuo. E gli ingenui verranno catturati secondo l’equilibrio del phishing”.
Che cos’è il phishing? È il vendere ciò che le persone pensano sia loro utile piuttosto che ciò che è utile davvero. Indurle a fare scelte che nessuno si sognerebbe mai di fare. E questo accadrà ogni volta che ne esista la possibilità, non per la natura malvagia dell’essere umano, ma per la logica stessa del sistema capitalistico, che è quella della sopravvivenza del più adatto, della dura competizione, che costringe a fare utili, pena l’estromissione dal mercato dell’azienda o dei suoi manager.
Il libro fornisce molte e molto ben documentate descrizioni di casi di questo tipo, dai più ameni (la ciambella alla cannella ipercalorica, strategicamente in mostra in aeroporti e centri commerciali, dove le persone hanno tempo da attendere) ai più drammatici (il fumo oppure il Vioxx, farmaco antinfiammatorio lanciato dalla Merck ad inizio anni 2000, che fu stimato causare circa 26.000 decessi), spaziando su molti settori: finanza, immobiliare, auto, farmaceutico, alimentare, giochi, sanitario.
I casi trattati sono molto ben documentati e vivacemente descritti; gli Autori tuttavia non sono interessati a cercare schemi o cause ricorrenti del phishing, quanto appunto a mettere in evidenza, tramite la eterogeneità delle vicende, la sua inevitabilità e quindi in un certo senso prevedibilità. Laddove esiste una possibilità di approfittare di una debolezza del pubblico, qualcuno certamente lo farà, per la logica stessa del mercato.
Quindi, tornando al concetto di equilibrio di mercato, questo va ridefinito, perché comprende necessariamente anche l’effetto del phishing: una situazione di equilibrio di mercato non esprime solo massima efficienza ed utilità complessiva, ma comprende necessariamente tutti i casi in cui qualcuno (tipicamente un produttore) sta inducendo qualcun altro (consumatori) a fare cose che non sono nel suo interesse. L’equilibrio di cui trattano i manuali di economia si riferisce solamente al funzionamento “sano” dei mercati; il patologico finisce per rientrare nella categoria delle deviazioni, degli errori, come tali non compresi nei modelli. In questo modo però la dottrina economica si nega la possibilità di un’autentica comprensione del funzionamento dei mercati.
Il libro come detto non si concentra sul definire schemi ricorrenti alla base del phishing, ma ne evidenzia tuttavia un potente fattore comune, costituito dalla capacità di influenzare le nostre idee, in particolare le “storie” che mentalmente raccontiamo a noi stessi quando prendiamo una decisione. Le tecniche di condizionamento psicologico, a partire dai pionieri della pubblicità sono state enormemente affinate e possono funzionare al meglio ogni volta che per i clienti è difficile valutare oggettivamente la qualità di ciò che acquistano. Quanto più quindi la qualità di un bene o servizio è oggettivamente valutabile, tanto più difficile sarà il phishing, perché minore la possibilità di condizionamento psicologico.
Tra le tante storie che favoriscono il phishing, una è sicuramente la più potente: la nuova storia nazionale lanciata dal Presidente Reagan nel 1980: “Nell’attuale crisi lo Stato non è la soluzione dei nostri problemi: lo Stato è il problema”. Si pose fine all’età delle riforme iniziata negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra e si avviò la politica di riduzione degli ambiti di intervento statale, di deregolamentazione e, non ultimo di riduzione delle risorse a disposizione degli enti incaricati di sorvegliare l’andamento dei mercati. Gli Autori ribadiscono di non essere affatto contro i liberi mercati ma contro la pretesa che essi siano di per sé la Soluzione e che ogni regolamentazione sia un ostacolo alla loro efficienza.
La regolamentazione è quindi una via per temperare gli eccessi del mercato, tenendo presente che le risorse che si assegnano agli enti di regolamentazione rappresentano già una scelta politica: la Security and Exchange Commission (l’ente americano la cui missione è “proteggere gli investitori, assicurare equità, regolarità ed efficienza dei mercati e facilitare la formazione del capitale”) ad esempio, che dispone di ¼ di 1/100 di dollaro di budget per ogni dollaro di beni sotto sorveglianza, non può trovarsi nelle condizioni per adempiere efficacemente il proprio mandato.
Non è però la regolamentazione l’antidoto più potente al phishing, bensì la società civile, cui gli Autori assegnano un ruolo fondamentale nelle fortune di una nazione e nel difenderne i cittadini. Oltre all’impegno civile del libro gli Autori mostrano così anche di dare valore ad una visione positiva della società, nonostante ne evidenzino tanti casi di malfunzionamento.
Vi lascio proprio con un bell’esempio fatto da Shiller su cosa intende per società civile. Sapete come è stato scoperto il trucco della Volkswagen per mascherare le emissioni dei propri motori diesel? Attraverso dei test condotti non direttamente dal Governo, ma dall’Università della West Virginia. Questa Università poté svolgere i test grazie ad una sovvenzione ricevuta dall’International Council of Clean Transportation, a sua volta una compagnia non profit. Come mai una non profit che agisce su un tema inusuale quale l’ecologia dei trasporti? Perché a sua volta l’ICCT aveva ricevuto una dotazione da due fondazioni: la William and Flora Hewlett e la David and Lucilla Packard. I due fondatori della H&P avevano proprio disposto un lascito per finanziare attività a favore del controllo emissioni. Probabilmente immaginavano che prima o poi, esistendo la possibilità di manomettere i test, qualcuno lo avrebbe fatto.
 
Ci prendono per fessi. L’economia della manipolazione e dell’inganno
(titolo originale dell’opera: Phishing for Phools. The Economics of Manipulation and Deception)

·      Autore: George A. Akerlof e Robert J. Shiller
·      Editore: Mondadori
·      Anno: 2016 (2015 edizione originale)
 
 
 
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