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Contratti banca. Non basta la sola firma del cliente. Cassazione cambia indirizzo
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Articolo di Libero Giulietti
26 aprile 2016 11:48
 
 La Cassazione, con le recenti sentenze n. 5919/2016 e 7068/2016, ha capovolto il proprio orientamento espresso con la precedente decisione n. 4564 del 2012 in merito alla sufficienza della sola firma del cliente nei contratti della banca e degli intermediari finanziari. L'orientamento da ultimo adottato ritiene non sufficiente la sola firma del cliente.
Se è vero che la clientela che abbia ragioni di contestare l'operato dell'intermediario può risultare avvantaggiata da una simile posizione dei supremi giudici è anche vero che il precedente orientamento sortiva l'effetto opposto e finiva per accettare o minimizzare un'operatività negligente o scorretta da parte dell'intermediario stesso.
Per quanto ci riguarda, non possiamo che aderire alla opinione più recente della Suprema Corte ritenendola più fondata e rispettosa del dettato normativo.
Questi i termini del problema.
La legge prevede che i contratti della banca - sia quelli di intermediazione finanziaria che quelli “tradizionali” (conti, depositi, mutui ecc.) - devono avere la forma scritta. Quanto ai primi, la prescrizione (già presente fin dalla L.1/1991) è ora contenuta nell'art. 23 del TUF (Dlgs. 24 febbraio 1998, n. 58) che, al comma 1, dispone:
"" I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento..... e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori sono redatti per iscritto e un esemplare e' consegnato ai clienti. …..
Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto e' nullo"".

Quanto ai secondi, il Testo Unico Bancario all'art. 117, contiene una disposizione del tutto equivalente che recita:
"I contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti.......
Nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo."
Le banche hanno dato applicazione alle norme in questione stipulando i contratti - anzichè con un unico atto contestuale recante entrambe le firme dei contraenti sullo stesso documento - in forma di corrispondenza, vale a dire per mezzo di due lettere che vengono scambiate.
La prima di tali lettere contiene tutte le condizioni giuridiche ed economiche necessarie, vale come proposta di contratto ed è firmata da uno dei due; la seconda (la risposta) riporta tale e quale il contenuto della prima e la completa in calce con la accettazione dell'altra parte.
Con l'incontro di proposta e accettazione, il contratto è concluso.
Il metodo descritto – che ci risulta adottato per ragioni fiscali – sicuramente integra e rispetta il requisito della forma scritta posto dalle norme citate all'inizio che non impongono necessariamente la stipula contestuale dell'atto.
Il problema è sorto per il fatto che in tutti i giudizi conclusi con le sentenze indicate sopra, era stata prodotta una sola copia, quella sottoscritta dal cliente, ma, mentre nella decisione n. 4564/2012 i giudici avevano dato ragione alla banca e ritenuto la validità del contratto, nelle altre due è stato adottato il punto di vista opposto ed il contratto è stato dichiarato nullo.
La prima decisione (la n. 4564), aveva, tra l'altro, argomentato che "essendosi il negozio concluso per corrispondenza, la copia firmata dalla banca non poteva che essere in mani dei ricorrenti" e per di più il cliente ha dato atto che "un esemplare del presente contratto c'è stato da voi consegnato; il che rende ragionevole affermare che il detto esemplare fosse quello sottoscritto dalla banca e consegnato ai ricorrenti".
Innanzi tutto è il caso di rilevare che la stesura e la formulazione del contratto è fatta dall'intermediario quindi non è neutrale, ma tutta a vantaggio di quest'ultimo, il che comporta che al cliente vengono fatte sottoscrivere tutte le clausole e le dichiarazioni da cui deriva vantaggio al predisponente. Pertanto anche se il congegno contrattuale e la dichiarazione di ricezione dell'esemplare effettivamente farebbero pensare che la lettera debitamente firmata fosse in mano del cliente, tale deduzione può non essere affatto vera (non è raro che la banca non firmi la sua copia o firmi con un “visto dell'incaricato” o non consegni la documentazione). Indipendentemente da ciò non basta tale deduzione a sostenere la validità del contratto.
A questo scopo, è assolutamente imprescindibile che chi sostiene detta validità, dia la prova dell'avvenuta apposizione, di entrambe le firme dei contraenti. Ciò non potrà farsi in altro modo che producendo entrambe le lettere recanti, ciascuna, la sottoscrizione del mittente. Altri mezzi di prova non saranno idonei allo scopo.
Il concetto qui esposto risulta chiaramente dalle parole di Cass. n.7068/2016 che riportiamo: “Sussistendo controversia la prova dell'esistenza del contratto richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa o delle relative scritture (Cass. N. 26174 del 2009). Al contrario, la stipulazione non può essere desunta, in via indiretta, da dichiarazioni di contenuto differente (ad es. di scienza, di ricognizione, ecc). Nè potrebbero all'evidenza, sopperire prove testimoniali, per presunzioni, il giuramento o la confessione (tra le altre al riguardo Cass. N. 2 del 1997). (Il grassetto è nostro: ndr).
 
 
 
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