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Obbligazioni a tasso fisso: alcuni concetti di base
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Articolo di Alessandro Pedone
16 luglio 2014 17:47
 
A seguito dell'editoriale che ho scritto alcuni giorni fa sull'opportunità di vendere le obbligazioni a tasso fisso ed a lunga scadenza ho ricevuto diversi commenti, anche in privato, che mi dicevano che le obbligazioni in loro possesso avevano un “buon rendimento” e che non avrebbero trovato più niente sul mercato con “lo stesso rendimento” e quindi – secondo loro – il mio consiglio poteva andare bene, forse, per le obbligazioni a breve scadenza, o per altre obbligazioni, ma non certo per le loro obbligazioni che “rendevano così bene”...
Purtroppo, la maggioranza degli investitori non esperti facilmente non riesce a capire alcune considerazioni molto semplici, ma molto importanti, legate al mondo obbligazionario e frequentemente prendono abbagli.
 
Gli errori più frequenti sono quelli di ancorarsi psicologicamente al prezzo di acquisto e considerare la cedola come la variabile più importante da considerare (quando la cedola non contra praticamente niente, mentre ciò che conta è il rendimento effettivo a scadenza). Vediamo di andare con ordine.
 
In primo luogo è fondamentale che l'investitore comprenda che esiste una relazione inversa fra i tassi di mercato ed il prezzo delle obbligazioni. Più i tassi salgono, più i prezzi scendono e viceversa. Questa relazione matematica, necessariamente, ha effetti più grandi nei prezzi dei titoli in base alla durata dell'obbligazione stessa. Facciamo qualche esempio semplice (trascuriamo, per non complicare le cose, tutto il discorso relativo al rischio emittente).
Immaginiamo di avere un'obbligazione con cedola del 5% che scade fra un anno.
Se il tasso di mercato è pari al 5% il prezzo dell'obbligazione sarà pari a 100.
Se il tasso di mercato è pari al 4% il prezzo dell'obbligazione sarà molto vicino a 101 perché con questo prezzo l'obbligazione ha un rendimento uguale a quello del mercato (l'1% in più di rendimento che si “guadagna” con la cedola si perde con il prezzo).
Se il tasso di mercato è pari al 6% questa obbligazione dovrà avere un prezzo vicino a 99 in modo che l'acquirente avrà un rendimento pari al tasso di mercato (per il ragionamento inverso a quello appena fatto).
Adesso, però, immaginiamo che l'obbligazione in questione non abbia scadenza pari ad un anno, ma pari a 10 anni o magari 20 anni.
Si comprende immediatamente che l'adeguamento del prezzo (al rialzo o al ribasso) debba essere molto più consistente perché non deve coprire solo la differenza di rendimento di un anno, ma di tutti gli anni della durata residua dell'obbligazione.
Molto grossolanamente (volendo fare i calcoli precisi bisogna tenere in considerazione diverse cose complicate e faremmo un articolo precisissimo, ma inutile perché non sarebbe letto da nessuno) possiamo dire che per un punto di variazione dei tassi d'interesse (ad esempio dal 2,8% attuale del BTP decennale al 3,8%), l'obbligazione sale o scende del corrispettivo della duration dell'obbligazione stessa. La duration non è esattamente uguale agli anni che mancano alla scadenza dell'obbligazione (più alta è la cedola e, a parità di scadenza, minore è la duration) ma se vogliamo essere proprio proprio grossolani, si possono anche considerare sinonimi.
Quindi, se un'obbligazione ha duration pari a 20 anni ed i tassi passano dal 2,8% al 3,8% questa obbligazione perde circa il 20% del prezzo!
 
Compreso questo aspetto fondamentale, ritorniamo ad un errore fondamentale che fanno gli investitori inesperti, quello di confondere la cedola con il rendimento. Se un investitore ha comprato, tre anni fa, al prezzo di 100 un'obbligazione con scadenza a 13 anni e cedola del 4% ed oggi questo stesso titolo si scambia a 120 non ha per niente in mano un titolo con un buon rendimento come lui crede! L'errore è nel considerare la cedola che percepisce in relazione al prezzo per il quale l'ha pagata e non al prezzo per il quale può vendere il titolo.
L'investitore, in questo momento, ha in mano 120, non 100 (come psicologicamente percepisce) ed il titolo non gli sta rendendo il 4% (come percepisce) ma circa il 2%.
Mantenendo il titolo in mano, l'investitore si condanna ad avere un rendimento futuro del 2% sui soldi che oggi detiene. Se, durante i prossimi 10 anni, i tassi d'interesse salissero, lui, rispetto ad oggi, avrà subito una perdita relativa.
 
Ipotizziamo che l'investitore venda il titolo. Ottiene 120 subito e, naturalmente, perde il flusso di 4 ogni anno. Se, nel corso di un anno o due, i tassi risalgono dell'1% o più, l'investitore potrà riacquistare il titolo a prezzi più bassi del 10% o più e quindi avrà realizzato un buon guadagno.
 
In sostanza, è come se l'investitore, vendendo il titolo, incassasse in anticipo una parte consistente di tutte le cedole future, con questo “gruzzoletto” nel frattempo può abbondantemente sopperire al mancato flusso per qualche anno. Se i tassi saranno tornati normali entro quattro-cinque anni circa . Da notare, in proposito, che (a tassi invariati) ogni anno il prezzo dell'obbligazione deve scendere mano a mano che si avvicina la scadenza perché il prezzo di rimborso è pari a 100.
Se i tassi, invece, scendessero, avrebbe realizzato una perdita relativa.
 
La domanda che si deve fare un investitore che ha in mano titoli a lunga o – peggio – lunghissima scadenza, quindi, non è certo che sul mercato ritrova titoli che abbiano uguale rendimento rispetto a quello che il titolo aveva quando l'ha comprato, ma se pensa che i tassi attuali siano destinati a scendere ancora, ad essere stabili o piuttosto a risalire.
 
Poiché i tassi attuali sono non bassi ma bassissimi sotto tutti i punti di vista a meno che una persona non creda che l'Europa è destinata ad attraversare molti anni di deflazione, come nello scenario Giapponese, vi sono pochi dubbi sul fatto che questo è il momento di vendere obbligazioni a tasso fisso e lunga scadenza.
 
 
 
 
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