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Testa vinco io, croce perdi tu
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Articolo di Giovanni Donati
4 ottobre 2002 0:00
 
Da diversi anni, ormai, il sistema bancario italiano offre una serie di prodotti ai propri clienti che potremmo sintetizzare con l'etichetta: "Testa vinco io, croce perdi tu".
Sono prodotti nei quali gli unici a guadagnarci sicuramente sono le società che le producono e/o le distribuiscono.
L'elenco è molto lungo e pieno di nomi strani: reverse floater, reverse convertibile, covered warrant, obbligazioni strutturate di varia natura per finire con i moltissimi prodotti a capitale garantito tanto in voga in questo ultimo periodo.

Un "colpo di genio" in questa categoria di prodotti lo ha avuto un importante gruppo bancario toscano proponendo un mutuo finalizzato all'investimento in fondi. In questo modo la banca guadagna sia con gli interessi del mutuo che nelle commissioni sugli investimenti nei propri fondi comuni.

In generale comunque, tutti questi prodotti nascono perché gli investitori, normalmente, non riescono a comprendere quanto l'aspettativa su un prodotto finanziario è irrealistica o meno.
Quando un cliente di una banca va a fare un investimento, lo fa ancora con la mentalità di chi va a strappare il miglior tasso di interesse possibile sul conto corrente. L'approccio è quello di cercare di chiedere il più possibile come se fosse la banca a far rendere l'investimento.
Il sistema bancario sfrutta questa ignoranza creando prodotti che danno l'illusione al cliente di ottenere il massimo, salvo poi rifilargli prodotti estremamente costosi e pieni di rischi che il cliente non è in condizioni di comprendere appieno.

I problemi sono nati con l'abbassamento dei tassi di interesse e la scomparsa dei "cedoloni" ai quali gli italiani erano abituati con i BTP. I reverse floater, altro non erano che prodotti strutturati (cioè composti da semplici obbligazioni più prodotti finanziari derivati) che davano l'illusione del cedolone per i primi anni, ma come contropartita in pratica non era possibile disinvestire (se non con fortissime perdite) e dopo la fine dei "cedoloni" gli interessi erano molto più bassi di quelli del mercato. In pratica: una operazione disastrosa. Un discorso simile vale per i reverse convertible: l'illusione del cedolone, in questo caso, si pagava assumendosi rischi azionari molto alti. Le banche si finanziavano a costi bassissimi, il cliente - inconsapevole - acquistava opzioni (prodotti finanziari derivati) che venivano pagate sotto forma di cedola. Se le cose andavano male (e le cose sono andate male), il cliente invece del capitale veniva rimborsato con i titoli deprezzati, quindi versava 100 e riceveva molto meno.

L'ultima moda è il capitale garantito. Gli investitori, oggi, sono spaventati e non intendono sottoscrivere niente che preveda la possibilità di perdere il capitale. Nello stesso tempo, investire con i magrissimi rendimenti dei BOT (che ultimamente sono addirittura inferiori all'inflazione dichiarata, se si tolgono le spese e le tasse) non alletta nessuno. Ecco allora spuntare prodotti che promettono la protezione del capitale e la possibilità di investire con promesse di rendimento medio atteso ben più alto.

Questi prodotti, sia chiaro, sono convenienti solo per banche che le propongono.
Hanno due grandi problemi: 1) sono liquidabili, prima della scadenza, solo con consistenti perdite 2) i rendimenti, saranno estremamente deludenti poiché i costi (impliciti e espliciti) sono molto alti: a meno che i rendimenti dei mercati azionari non saranno folli come quelli degli anni '90, difficilmente questi prodotti avranno un rendimento in grado di coprire almeno l'inflazione.
In pratica, l'operazione è disastrosa come le altre: se l'obbiettivo è non rischiare il capitale a scadenza avendo un rendimento un po' più alto di quello dei BOT, ci sono soluzioni molto più convenienti. Se dalla sezione Domande&Risposte arriveranno domande specifiche su prodotti a capitale garantito, coglieremo l'occasione per fare degli esempi più specifici.

 
 
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