Gli U$A non hanno capito che “israele” usurpatore della
Palestina, considera anche loro, che li mantengono non solo
ad armi, ma in tutto, compresi tarallucci e vino,
considerano anche loro degli esseri inferiori a loro
sottoposti alla stregua dei Palestinesi e di tutti gli altri
Popoli. Cojoni! State a casa vostra, o meglio a quella che
avete usurpato a suon di armi ed inganni ai Nativi
Americani, e non rompete il minchiazzo coi giochetti di
scudosso e del pirata morgan. Per i MPS c’è la famosa
“norma” dell’articolo 59, paragrafo 3 (e) della
direttiva BRRD sulla risoluzione e risanamento delle banche.
Mettono le mani avanti e ci avvertono che però la
“manovra” è sempre sotto approvazione di hitler BCE che
vuole anche il bail-in. Si stanno contorcendo nelle fiction$
dei terroristi, quando in realtà sono sempre i governi
occidentali a terrorizzare i “cittadini” per tenerli
buoni, a botte di false flags anche malamente architettate.
Inkiavabile [vlocativo] sputa la taglia dei 100 mila euro
agli assassini del PRESUNTO tunisino che inspiegabilmente si
è fatto un viaggio di oltre 1000 chilometri per venire a
farsi ammazzare da poliziotti per caso di nazionalità
italiana, proprio guarda un po’ nella “Stalingrado”
dell’Italia!!! Ma chi volete prendere per il mulo? E’
lesa Sovranità e Maestà del Popolo Italiano. Che Sorella
Natura e Fratello Fato vi ricompensino come meritate, in
vita, qui nel vostro inferno…qui ed ora! IMMEDIATAMENTE !
23 dicembre 2016 22:31 - il_proff
Buonasera, tempo fa tutti parlavano di db come se fosse il
principale problema della finanza mondiale. Nella realtà il
titolo ha fatto quasi +80% dai minimi di ottobre. I prezzi
delle obbligazioni hanno un andamento regolare e a quanto
pare è stata definita la questione multa USA, analogamente
ad altri istituti quali Credit Suisse, Jp Morgan, BofA...Non
si sente più parlare di derivati, sotto
patrimonializzazione ecc. Cosa è successo in 2 mesi? Oggi
db non è la stessa di 2 mesi fa? Pensate sia plausibile uno
scenario simil MPS?
10 ottobre 2016 23:04 - federico6198
Deutsche Bank aiutata dalla Bce negli stress test di
luglio
La banca tedesca, a differenza di molte altre, ha potuto
contabilizzare un'operazione che non era ancora andata in
porto, ossia la vendita di una quota da 4 miliardi di euro
della cinese Hua Xia. L'intesa è stata sottoscritta a fine
anno e ad oggi non è ancora stata conclusa.
BERLINO - Una nota a piè di pagina che vale miliardi. E un
pezzo di credibilità della Vigilanza europea. Negli stress
test di luglio condotti dall'Eba, sembra che a Deutsche Bank
sia stata concessa dalla Bce una notevole eccezione.
La prima banca tedesca, risultata comunque tra le dieci
peggiori del continente, ha potuto contabilizzare
un'operazione che non era ancora andata in porto, ossia la
vendita di una quota da 4 miliardi di euro della cinese Hua
Xia. L'intesa è stata sottoscritta a fine anno e ad oggi
non è ancora stata conclusa.
Deutsche ostenta tranquillità, sostenendo che l'incasso
avverrà
entro la fine del'anno. Ma al momento degli stress test,
l'operazione di vendita era ben al di là dal venire. A
nessun altra delle 50 banche sottoposte agli stress test -
molte delle quali con dismissioni in corso - è stata
concessa
27 settembre 2016 18:22 - lucillafiaccola1796
tutti a dire degli italiani e poi i krukki sono peggio del
loro adolfino, almehno con quello sapevi che cosa ti potevi
aspettare. Ed i loro amici-nemici dell'antrace? Che non
tollerano le bugie pornografice del marito della ilare
cornuta ma poi falsificano anche il lato b della mamma! Ma
vadano all'inferno ambetre. In Truth we trust, altro che in
goLd [il vero loro god è il gold, quello degli altri che
dovrebbe stare ancora a fort knox !!!]
27 settembre 2016 11:41 - federico6198
Dal disastro greco, allo scandalo Volkswagen il mito di un
rigore aziendale e nazionale apparente alla Deutsche Bank
sopracitata :
di Marcello COLASANTI
Lo scandalo legato ai motori diesel Volkswagen, dove un
software nella centralina del motore riconosce quando la
vettura è sottoposta a controllo e, solo in questa fase,
regola le emissioni secondo gli standard di legge – dato
che tali motorizzazioni appartengono a tecnologie non
recenti ma vendute come tali – getta nello sconcerto molte
persone, soprattutto quelli che vedono nel marchio e
nell’industria tedesca l’emblema della serietà e del
rigore.
In realtà, c’è ben poco da stupirsi: da sempre il Gruppo
Volkswagen, spesso in concorso con il governo tedesco e i
lander federali, sono venuti meno alla famosa “serietà”
teutonica.
Due casi sono piuttosto rilevanti.
Il più clamoroso è legato alla famosa “Legge
Volkswagen”. Per blindare l’azienda da possibili
scalate, soprattutto estere, una legge del 1960 disegnata
appositamente per Volkswagen, limitava il peso del voto di
ciascun azionista al 20%, anche se quest’ultimo deteneva
una quota maggiore; la Repubblica federale e il Land della
Bassa Sassonia, che detengono il 20% del capitale azionario,
avevano ciascuno due membri del consiglio di sorveglianza in
più; infine, una minoranza di blocco posta al 20% del
capitale (guarda caso la stessa detenuta dallo Stato
tedesco) per porre un veto alle decisioni rilevanti della
società, quando per tutte le altre aziende tedesche questo
è posto al 25%.
Per anni la commissione europea ha criticato aspramente
queste norme che, oltre a essere leggi “ad aziendam”, ne
minano le più basilari regole di libero mercato.
Le uniche modifiche che furono apportate riguardavano il
numero dei membri del consiglio di amministrazione e le
limitazioni di voto, mentre per il veto, la Germania fu
legittimata dalla Corte di Giustizia Europea a mantenere
intatta la “legge Volkswagen”, salvando così il diritto
di veto per la Bassa Sassonia, anche se questo è
formalmente contrario agli standard europei; abbiamo già
avuto modo di vedere il “peso e misura” differente
dell’Unione Europea nei confronti della Germania: in
questo caso, anche sulla Volkswagen.
Per comprendere la portata di questa legge, basti pensare
alla lunga battaglia tra Porsche e Volkswagen. La lotta fu
intestina alle aziende stesse, dato che molti ruoli chiave,
dagli azionisti maggioritari ai presidenti di consiglio,
erano rappresentati dai medesimi soggetti; parliamo di
Ferdinand Piech e Wolfang Porsche, nipoti di quel Ferdinand
Porsche che fondò il marchio di auto sportive omonimo e
contribuì in prima persona alla fondazione di
“quell’auto del popolo” voluta da Adolf Hitler,
progettando il Maggiolino nel 1938 (che sotto il nazismo non
divenne l’auto del popolo, ma fu convertita per uso
bellico, bisognerà attendere il dopoguerra perchè lo
diventi).
La Porsche da anni deteneva il 18,65% delle azioni di
Volkswagen, arrivando al diritto di veto nel 2006 con la
quota salita al 25,1%. Dopo l’ennesima condanna da parte
della Corte di Giustizia Europea per la suddetta legge, nel
2007 si aprirono spiragli maggiori per un effettivo cambio
di gestione. Così Porsche allargò il suo capitale
azionario al 35% nel 2008, fino alla maggioranza assoluta
con il 51% del 2009. Ormai l’azione era palese, ma la
stessa Porsche rivelò l’intenzione d’acquisto del 75%
della casa di Wolfsburg, consentendogli di portarla
all’interno del proprio gruppo. Ormai, con il 51% e
liquidità pronta per il balzo al 75%, l’impresa era
riuscita.
Dopo mesi di blocchi tramite veto, litigi e accuse tra gli
esponenti del Consiglio di sorveglianza e l’azionista
maggioritario di Porsche, proprio Ferdinand Piech
(paradossalmente membro anche del consiglio Volkswagen), che
minacciava più volte di rimettere tutto in mano alla Corte
europea; con un colpo di scena incredibile l’acquirente
veniva comprato e il venduto diveniva acquirente. Volkswagen
divenne l’azionista maggioritario di Porsche con il 49,9%,
acquistando il restando 50,1% nel 2012, formalizzando la
fusione nella galassia Volkswagen.
Seppur molti attribuiscono l’esito della trattativa agli
alti debiti contratti da Porsche per reperire liquidità, ne
uscì comunque vincitore Ferdinand Piech, rimanendo
l’azionista maggioritario di Volkswagen con all’interno
la sua Porsche, ma senza quella legge, senza
quell’ostracismo, con regole di mercato veramente libere,
il tutto avrebbe avuto un esito sicuramente più veloce e
differente, con le parti di acquirente e venditore
invertite, come da principio.
Sul livello tecnico, altro caso famosissimo da citare è
relativo al motore diesel “Iniettore-pompa”.
Negli anni novanta il motore Diesel subì un importante
rivoluzione con l’invenzione del motore Common Rail (dove
il carburante viene messo in pressione in un binario comune
a tutti gli iniettori), sviluppato da Fiat e
commercializzato la prima volta sull’Alfa Romeo 156 nel
1997.
Di contro, la Volkswagen progettò il sistema
“Pumpe–Düse-Einspritzung”, in Italia iniettore pompa
(dove la pressione viene generata direttamente all’interno
di ciascun iniettore, sfruttando il movimento dell’albero
a camme), che rispetto al sistema Fiat vantava una maggior
potenza a parità di cilindrata, ma risultava più rumoroso,
con consumi più alti e data l’impossibilità di
frazionare i tempi di iniezione, emissioni inquinanti
maggiori.
Ma il problema principale risiedeva nell’affidabilità del
sistema stesso: date le elevatissime pressioni che si
generavano negli iniettori, progettati insieme alla Siemens,
quest’ultimi avevano una durata che difficilmente riusciva
a superare i due anni di esercizio.
La fretta di rispondere alla tecnologia concorrente, spinse
la casa tedesca a commercializzarlo comunque nel 2000,
malgrado in fase di progettazione queste problematiche
fossero note, confermate dai primi anni di vendita in cui
l’affidabilità del sistema di iniezione palesò tutte le
problematiche.
La forte critica non è nell’aver sbagliato un progetto,
dato che si può comunque rimediare venendo incontro al
cliente nella fase post-vendita, ma dato che la rottura vera
e propria degli iniettori nella maggior parte delle vetture
si verificava dopo i due anni, a garanzia scaduta, il
problema non veniva riconosciuto come difetto di fabbrica:
molti clienti si ritrovarono a dover sborsare dai 2.500 ai
3.300 euro per la sostituzione dei suddetti, dato che nei
primi anni la procedura imposta alla rete di assistenza era
la sostituzione non dell’iniettore malfunzionante, ma di
tutto il gruppo iniettori.
Così, per oltre dieci anni, la Volkswagen ha venduto
deliberatamente un motore che sapeva, con dati certi alla
mano, che non avrebbe retto i due anni di vita, se non con
una ciclica sostituzione degli iniettori.
Dopo una lunga battaglia e class action degli acquirenti, la
casa ha riconosciuto il difetto provvedendo, nei casi di
malfunzionamento, alla sostituzione in garanzia; questo nel
2012, dopo dodici anni, accantonando la produzione
dell’iniettore pompa e convertendo la produzione al
sistema commor rail.
Ci sarebbero altri casi da citare, ma questi furono i più
rilevanti. In fondo, per correttezza dobbiamo dirlo, le
altre case automobilistiche, dalle europee, alle americane,
passando anche per le nipponiche, non sono senza macchia.
Il punto è l’aver sempre, volutamente, incarnato
l’emblema della rigidezza, della serietà, del “primo
della classe” che impartisce, come azienda e come
“tedesco”, la lezione agli “altri furbetti” di turno
quando da sempre, tecnicamente e legalmente, i furbetti li
facevano anche loro.
Ma la portata assume un carattere molto più grande, non
aziendale, ma in questo caso statale e governativo; qui va
imputata non solo l’azienda, ma anche quella Germania
paladina del “rigore” e “dell’austerità” che
traina l’Europa bacchettando (e comandando) le nazioni da
loro definite “scansa fatiche”.
Con i loro rappresentanti all’interno del Consiglio di
controllo, dove tutto si discute e decide, maggiorati di due
sia per la Repubblica federale che per il Land della Bassa
Sassonia, oggi, dire che a livello governativo lo stato
tedesco non sapesse nulla della vicenda, appare alquanto
disonesto.
Anzi, il governo sicuramente sapeva, calcolando che si
tratta non di una piccola inadempienza di un ingegnere, ma
della vendita di motori tecnologicamente arretrati ed
elettronicamente truccati, montanti su undici milioni di
vetture.
Altre azioni gravi ce lo dimostrarono, ma questa vicenda
mette in luce tutta la falsità di un sistema, quello
tedesco, che seppur lodevole per molti aspetti, nella
sostanza di chi governa e assume ruoli cardine è fatto di
bellissima e rigorosissima apparenza, utilizzando gli stessi
mezzucci che, dal loro pulpito, criticano e denunciano nei
confronti delle altre nazioni.
Dopo aver imposto massacranti “compiti a casa” (così li
definivano) ad altri paesi, vittime dei loro giochi
finanziari, che sia arrivato il momento per la Germania del
“recupero dei suoi debiti”, scolasticamente,
finanziariamente e storicamente parlando?
Non credo che la Germania imparerà da questa nuova lezione,
ma da una nazione che esige e non paga mai, appare ma nella
sostanza non è, finalmente, i pochi che ancora credono nel
mito teutonico (forti anche della questione greca), almeno
loro, avranno imparato?