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Cosa fa (o dovrebbe fare) un consulente finanziario?
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Editoriale di Alessandro Pedone
5 agosto 2009 0:00
 
Sabato scorso, PLUS, il settimanale de "il Sole 24 ore" dedicato agli investitori, ha dedicato la copertina al tema della consulenza finanziaria ad un anno dall'introduzione della Mifid (la direttiva comunitaria sui servizi d'investimento). 
Lo spunto alle due pagine interne (ed al bell'editoriale di Marco Liera) è stato dato dall'ultimo "Quaderno di Finanza" della Consob a cui abbiamo accennato nel precedente editoriale.
Il concetto di fondo espresso da PLUS è il seguente: gli investitori italiani, mediamente, pagano per un servizio che di fatto non ricevono. 
Il concetto è condivisibile dal momento che il grosso dei costi dei servizi finanziari finisce nella rete di distribuzione (sportelli bancari e promotori finanziari, con tutta la sovrastruttura manageriale che solitamente caratterizza questa figura). La giustificazione di questi costi enormi, tradizionalmente, è quella dell'assistenza agli investitori nella fase di scelta dei prodotti/servizi finanziari. Tutti sanno (non c'era certo bisogno della ricerca utilizzata nello studio Consob) che tale giustificazione è del tutto infondata e che si tratta molto più semplicemente dello sfruttamento dell'ignoranza degli investitori. 
Lo studio della Consob utilizza ampiamente una ricerca fatta dalla società GfK Eurisko su un campione rappresentativo di 2.500 famiglie italiane.
Il dato ampiamente riportato da PLUS (perfino mettendo in bocca al sottoscritto, parole mai dette – anzi avendo detto esattamente il contrario!) è che solo il 10% degli investitori riceverebbe consulenza finanziaria secondo i criteri della Mifid. Il dato reale, purtroppo, è drammaticamente peggiore!
L'equivoco nasce da un'approssimazione eccessivamente grossolana del concetto di consulenza finanziaria. 
Secondo la società GfK Eurisco rientrerebbero nella categoria "consulenza attiva" (il famoso 10%) le famiglie che dichiarano di aver ricevuto dal proprio consulente almeno una proposta di acquisto negli ultimi 12 mesi. Appare del tutto evidente che ciò non può in nessun modo essere classificato come come consulenza finanziaria, tanto più "attiva".
L'errore, a dire il vero, non è certo di PLUS. E' il Quaderno della Consob che dice espressamente: "questa situazione, definita come “consulenza attiva”, costituisce probabilmente la proxy più vicina al servizio di consulenza in senso stretto come definito e disciplinato dalla MiFID, per quanto non si abbiano informazioni circa il fatto che le raccomandazioni o le proposte siano state presentate come adatte al profilo della famiglia."
Sebbene "le opinioni espresse nel lavoro sono personali e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza", stupisce – e fa riflettere – il fatto che la divisione Studi Economici della Consob possa ritenere che una proposta di vendita ogni 12 mesi costituisca un'accettabile approssimazione del servizio di consulenza finanziaria secondo i criteri della MIFID!
Se, come è evidente, così non è, cosa deve (o dovrebbe) fare un consulente finanziario?
Per rispondere a questa domanda è necessario in primo luogo distinguere il profilo strettamente giuridico da quello tecnico. 
Sul piano giuridico è ovvio che non è compito della legge specificare come deve essere fatta la consulenza finanziaria. La norma definisce il servizio di consulenza come "la prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario. La raccomandazione è personalizzata quando è presentata come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche del cliente". 
Se questa è la definizione giuridica, sul piano tecnico, come si giunge a fornire queste raccomandazioni personalizzate
In Italia la vera consulenza finanziaria (per "vera" intendiamo quella non strumentale alla vendita di prodotti e/o servizi) è un'attività praticamente ancora in fase di partenza, ma nei Paesi dove ha molta più storia si distingue ormai da tempo fra il concetto di "analista" e quello di "pianificatore" finanziario. 
Il lavoro dell'analista finanziario è quello di studiare i vari dati: bilanci delle aziende, andamento dei prezzi, ecc. applicando una serie di metodologie che hanno lo scopo, riducendo il tutto ad un'estrema sintesi, di individuare le attività finanziarie con le migliori/peggiori prospettive. 
Il lavoro del pianificatore finanziario è quello di studiare i bisogni e le caratteristiche degli investitori, applicando una serie di metodologie che hanno lo scopo, sempre in estrema sintesi, di realizzareprogetti d'investimento adeguati allo specifico investitore. 
Volendo semplificare ulteriormente, il pianificatore è assimilabile ad un architetto che fa il progetto di un edificio, l'analista ai tecnici che attuano il progetto. 
 
In Italia questa distinzione non è ancora compresa (già si fa fatica ad identificare la figura del consulente finanziario indipendente), ma si tratta di una distinzione fondamentale, sebbene il cliente farà fatica a distinguere fra consulenti-analisti e consulenti-pianificatori. Evidentemente, il consulente-analista verificherà che le raccomandazioni fornite siano adeguate ai clienti (si tratta anche di un obbligo di legge!). Specularmente, il consulente-pianificatore, una volta sviluppati i progetti d'investimento, li tradurrà anche in specifiche indicazioni operative e quindi farà anche un'attività di selezione dei singoli strumenti finanziari. 
La differenza di fondo, fra questi due approcci, è l'importanza che si assegna all'attività di pianificazione finanziaria, ovvero ad un'analisi approfondita dei bisogni degli investitori. Chi ha un approccio più da analista ritiene che l'aspetto fondamentale sia selezionare le attività finanziarie "migliori" (fra quelli i cui rischi siano compatibili con le caratteristiche dell'investitore). Chi ha un approccio più da pianificatore ritiene che esasperare l'attività di selezione implichi rischi elevati e che sia preferibile concentrarsi su una buona progettazione, per l'applicazione dei progetti si tenderà quindi a scegliere strumenti relativamente semplici senza necessità di una complessa attività di analisi finanziaria. 
E' opportuno che gli investitori che si accingono a scegliere un consulente finanziario, facciano domande volte a capire se il suo orientamento è all'attività di analista o pianificatore finanziario. Una volta ben compreso questo aspetto si potrà scegliere quello più compatibile con il proprio approccio agli investimenti finanziari. 
 
 
PS Si stanno delineando le norme internazionali relative alla qualità del servizio di pianificazione finanziaria. In Italia da recepita il 28 maggio 2008 la norma UNI ISO 22222:2008 (http://www.iso22222.it/) ed è da poco in fase di fase di consultazione pubblica la norma tecnica sulla guida all’applicazione della suddetta norma. ?Si può leggere liberamente qui.
 
 
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