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MIFID2. In Italia nessuno rispetta le regole UE sulla trasparenza dei rendiconti
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Articolo di Nicola Borzi
5 novembre 2019 17:21
 
  La seconda parte della ricerca del Politecnico di Milano sull’applicazione in Italia delle regole di comunicazione sui costi dei servizi finanziari dà un risultato previsto ma sconfortante: tra i primi 20 operatori del settore segue tutte le regole di comunicazione richieste dalla Ue. I rendiconti sono tardivi, incompleti, omissivi o troppo lunghi.

A oltre 22 mesi dall’entrata in vigore in Italia della direttiva europea Mifid2 sulla trasparenza dei costi dei servizi finanziari per i risparmiatori, quello che ADUC Trasparenza&Investimenti aveva presagito si è purtroppo avverato: l’industria del risparmio non applica le norme obbligatorie introdotte dalla Ue per fare conoscere agli investitori quanto costano i servizi di consulenza finanziaria. Le regole di trasparenza non sono rispettate non solo ex ante, cioè nell’informativa precontrattuale, ma soprattutto nemmeno ex post: i rendiconti finanziari inviati nelle scorse settimane ai clienti sono tardivi, incompleti, omissivi, incomprensibili. A dirlo non è solo ADUC Trasparenza&Investimenti: una conferma arriva dalla seconda parte dell’indagine effettuata dalla Scuola di gestione aziendale del Politecnico di Milano per Moneyfarm, i cui contenuti sono stati resi noti a luglio 2019 (per la parte sulla trasparenza precontrattuale) e a inizio novembre per quella sui rendiconti.

L’industria italiana del risparmio in sostanza non accetta di adeguarsi alla normativa europea a tutela dei risparmiatori, per quanto concerne la comunicazione dei costi e degli oneri associati al servizio d’investimento e agli strumenti finanziari raccomandati o offerti. Quando la applica, la applica in modo incompleto, fuorviante, errato. La seconda parte dell’indagine ha esaminato tempi modi e contenuti delle informative ex post inviate dai più importanti intermediari finanziari operanti in Italia (venti quelli che avevano partecipato alla prima parte della ricerca) ai clienti sui costi sostenuti per investire nel 2018.

Ecco, come spiega Moneyfarm, le evidenze più interessanti emerse dall’indagine:

§ Nessun intermediario italiano tra i primi 20 ha seguito tutte le raccomandazioni (“best practices”) dell’Autorità di vigilanza europea (Esma) e delle associazioni di categoria: molti rendiconti risultano ancora poco chiari e leggibili.

§§ Solo il 28% dei rendiconti inviati riporta informazioni focalizzate esclusivamente sui costi in modo sintetico, come raccomandato dalla normativa.

§§§ Nel 72% dei rendiconti analizzati le informazioni sono contenute in rendiconti decisamente più lunghi (fino quasi a 40 pagine), che prima di affrontare il nocciolo della questione introducono altri argomenti anche di tipo pubblicitario. Il 28% dei documenti rimane entro le 5 pagine, il 39% si posiziona nella fascia fra 10 e 30 pagine, mentre il 17% contiene più di 30 pagine. La media è di 14,6 pagine.

§§§§ Nessuno intermediario si è distinto per tempestività nella pubblicazione, nonostante l’Autorità di vigilanza europea (Esma) avesse chiesto di inviare i rendiconti “il prima possibile”: due intermediari hanno inviato i report a maggio scorso, due a giugno, 11 (la maggioranza assoluta) a luglio, due in agosto e uno addirittura a settembre.

§§§§§ Solo il 44% dei rendiconti contiene la parola “costi” o “oneri” nell’intestazione: questo significa che oltre la metà degli intermediari, quando inviano il rendiconto ai clienti, non lo hanno identificato come tale.

§§§§§§ Il 94% degli intermediari finanziari utilizza termini di difficile comprensione (come “inducements” o “incentivi”) per comunicare i “pagamenti ricevuti da terze parti” per gli strumenti finanziari che raccomanda o offre ai propri clienti, cioé i ricavi che questo intermediario riceve da chi struttura od offre strumenti finanziari come obbligazioni, fondi, etf. In questo modo è difficile capire che ci sono dei conflitti di interesse tra l’intermediario, chi lo paga per vendere i suoi prodotti finanziari e i clienti finali.

La prima parte dell’indagine, pubblicata a luglio, aveva dimostrato che le informazioni precontrattuali sui costi dei servizi di investimento e sui prodotti finanziari sono spesso fornite dagli intermediari italiani in modo incompleto, con modalità non formalizzate e senza indicarne l’impatto sui rendimenti degli strumenti finanziari in portafoglio. La mancata aderenza delle informazioni trasmesse dagli intermediari italiani agli schemi previsti dalle regole europee riduce la trasparenza e la confrontabilità delle condizioni economiche applicate ai clienti dei servizi di investimento e ne impedisce una valutazione obiettiva. Le lacune sono ancora più significative se si considera che l’applicazione in Italia delle regole della Mifid2 è stata fatta slittare di 12 mesi (era originariamente prevista a gennaio 2017) proprio per consentire a tutti gli intermediari di rispettare i nuovi obblighi di trasparenza.

La prima parte della ricerca aveva analizzato in particolare la comunicazione dei costi e degli oneri del servizio d’investimento in base alle informative ex ante prodotte da 20 fra i più importanti intermediari finanziari operanti in Italia: Allianz Bank Financial Advisors, Azimut Capital Management, Banco Bpm e Banca Aletti del gruppo Banco Bpm, Bnl e Bnp Paribas – Life Banker del gruppo Bnp Paribas, Bper Banca, Credito Emiliano, Deutsche Bank, Fineco Bank, Banca Generali Private, Fideuram e Intesa San Paolo private banking del gruppo Intesa Sanpaolo, Banca Widiba del gruppo Mps, Ing Bank, CheBanca! del gruppo Mediobanca, Banca Mediolanum, IW Bank del gruppo Ubi, Unicredit e Unipol Banca. I risultati della prima parte della ricerca erano sconfortanti: nonostante il recepimento delle norme della direttiva europea fosse stato posticipato di 12 mesi per consentire a tutti gli intermediari di prepararsi adeguatamente all’adempimento dei nuovi obblighi di trasparenza (l’avvio infatti era originariamente previsto da gennaio 2017), solo il 25% delle aziende di consulenza finanziaria aveva una conformità totale alla tabella 1 della direttiva Mifid 2 per quanto riguarda la comunicazione e informativa ex ante dei costi e degli oneri dei servizi di investimento. Un altro 25% non aveva alcuna conformità alle richieste della Mifid2. Del restante 50%, una metà (25%) aveva una conformità pari ad appena il 20% delle regole Mifid2. Le risposte del campione erano state trattate in forma anonima.

Il quadro che emergeva dalla prima parte della ricerca, secondo gli autori, era la necessità per gli intermediari finanziari di migliorare l’informativa ex ante, in coerenza con lo spirito della normativa, per valorizzare le buone pratiche e rendere sempre più efficiente la trasparenza delle informazioni. Inutile dire che l’analisi della seconda parte della ricerca, quella sull’informativa ex post, dimostra che gli intermediari non hanno interesse a ottemperare alle regole comunitarie ma preferiscono ritardare, dissimulare, nascondere od omettere informazioni essenziali su costi e oneri previste dalle norme sui diritti dei risparmiatori. Tutte conferme, se ve ne fosse stato bisogno, dell’importanza dell’iniziativa ADUC Trasparenza&Investimenti.
 
 
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