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22 febbraio 2017 12:56 - federico6198
Mentre tutte le banche sono in perdita ce ne sono alcune che fanno utili a doppia cifra e rappresentano "l'eccelenza del sistema bancario italiano" : Medoilanum ,Generali , Azimut e Anima .
Banca Mediolanum ha dichiarato che una delle cause di perdita da parte degli istituti bancari sono le troppe filiali che fanno lievitare i costi mentre loro non hanno filiali e per contenere i costi ne apriranno solo una per ogni provincia italiana,per quanto rigurda gli investimenti consigliano vivamente il loro fondo obbligazionario globale con titoli obbligazionari che non superano i sette anni di scadenza che sta facendo molto bene e l'azionario di lungo periodo e consigliano vivamente i P.I.R : Piani Individuali di Risparmio dichiarando che finalmente il governo ha fatto una cosa molto buona per creare opportunità d'investimento per i piccoli risparmiatori.
Fondi comuni, la beffa per tutti gli investitori
400 milioni di commissioni pagate ai gestori
A tanto ammontano le "performance fee" versate da chi ha messo i propri soldi in queste forme di risparmio. Peccato che si tratti di un balzello vietato da Bankitalia. Ma le regole vengono aggirate. Ecco come
di Vittorio Malagutti

20 maggio 2015
I tecnici del settore le chiamano “performance fee”. O anche commissioni d’incentivo, per dirla in italiano. Tradotto in parole povere significa una tassa supplementare sul risparmio. Questa volta però i soldi non vanno allo Stato. È un balzello privato, che arricchisce banche e società di gestione di fondi d’investimento. Ecco qualche numero: solo nei primi tre mesi di quest’anno, gli italiani hanno pagato oltre 400 milioni a titolo di performance fee. Questa è la somma complessiva incassata da Anima, Azimut, Banca Generali e Mediolanum, i quattro marchi del risparmio gestito quotati in Borsa.

Tutto bene? Mica tanto. In altri mercati, per esempio negli Stati Uniti, questi premi extra di fatto non esistono. In Italia invece le commissioni di incentivo, legate all’andamento del fondo, vanno ad aggiungersi a quelle ordinarie. E, a ben guardare, si scopre che in molti casi il compenso supplementare non è proporzionale al rendimento. Peggio ancora: a volte i sottoscrittori sono costretti a pagare anche se i risultati sono stati negativi. Risultato: un fiume di denaro finisce nelle casse delle società di gestione del risparmio, in sigla Sgr.
Piove sul bagnato, perché di questi tempi i fondi d’investimento navigano nell’oro. La raccolta è ai massimi storici. Nel 2014 gli italiani hanno affidato ai gestori qualcosa come 88 miliardi di euro, il triplo rispetto all’anno precedente. E quest’anno la raccolta ha superato i 35 miliardi in soli tre mesi. Tanto successo è dovuto in buona parte al crollo dei rendimenti dei titoli di Stato. Il popolo dei risparmiatori si affida ai fondi nella speranza di guadagnare qualcosa in più rispetto alle misere cedole dei Btp.

Ecco spiegato, allora, perché Azimut ha appena festeggiato il “miglior trimestre nella storia del gruppo”, come si legge nel comunicato che accompagna i conti chiusi al 31 marzo scorso con utile di 128 milioni, più del triplo rispetto all’anno prima. Corre anche Banca Generali: 98 milioni di profitti in tre mesi, contro i 39 milioni fatti segnare nella prima trimestrale del 2014. Numeri strepitosi, non c’è che dire. E anche in Borsa i titoli delle società di gestione continuano a correre a gran velocità. Negli ultimi sei mesi hanno fatto segnare in media un rialzo vicino o di poco superiore al 60 per cento.

Dai bilanci, però, emerge anche un’altra verità: a mettere il turbo ai risultati sono proprio le commissioni d’incentivo. Come dimostra la figura pubblicata nella pagina precedente, senza questi incassi straordinari, le società di gestione vedrebbero sfumare buona parte dell’utile. Nel caso di Mediolanum, per esempio, le performance fee valgono 132 milioni dei 137 milioni di profitti trimestrali. Azimut ha incassato in tre mesi quasi 100 milioni di premi di rendimento, che valgono buona parte dei 128 milioni di utile. Non è da meno Banca Generali che alla voce “commissioni d’incentivo” indica 72 milioni nel trimestre gennaio-marzo, che si è chiuso con un risultato di 93 milioni circa. Se poi i mercati finanziari viaggiano al rialzo, come è successo nei primi tre mesi di quest’anno, anche i compensi dei gestori si moltiplicano di conseguenza.

Il boom però non si spiega soltanto con la crescita degli indici di Borsa. Gli analisti segnalano che il meccanismo di calcolo delle commissioni sembra studiato apposta per aumentare i costi a carico dei risparmiatori. Che cosa succede? Semplice: gli oneri supplementari per gli investitori vengono calcolati sulla base dell’andamento mensile o trimestrale. Funzionano così, per esempio, numerosi fondi della scuderia Azimut, che applicano commissioni ogni trenta giorni. I prodotti di Banca Generali, invece, prevedono in molti casi prelievi trimestrali. Un sistema come questo finisce per penalizzare gli investitori.

DIETRO IL CALCOLO C’È IL TRUCCO
Per capire come, facciamo un esempio concreto. Se un fondo ha perso il 10 per cento in un mese per poi recuperare il 5 per cento in quello successivo, il sottoscrittore si troverà a pagare un premio al gestore anche se il fondo è ancora in rosso del 5 per cento nell’arco dei due mesi considerati. In pratica, le performance fee vengono addebitate anche se l’investitore non ha ancora finito di recuperare le perdite dei mesi precedenti.

Questo meccanismo, tra l’altro, finisce per premiare i risultati a breve termine. Eppure i prodotti finanziari, soprattutto quelli legati ai mercati azionari, andrebbero valutati nel lungo periodo, un paio di anni o più. Va segnalato che il sistema funziona a senso unico. Infatti, in caso di rendimenti negativi, non c’è nessuna regola che imponga delle penalità ai gestori. Se così fosse, i rispamiatori potrebbero recuperare almeno in parte i costi elevati a loro carico.

La Banca d’Italia, a dire il vero, ha già fissato alcune regole in materia. Le norme emanate nel maggio del 2012 prevedono tra l’altro che la provvigione d’incentivo venga applicata «con cadenza non inferiore ai 12 mesi». Sarebbero quindi fuori legge le commissioni mensili e trimestrali. Ma come si misura il rendimento? Di solito la performance viene calcolata sulla base di un indice di riferimento, in gergo benchmark. Per esempio, l’andamento di un fondo che investe gran parte del patrimonio sui titoli della Borsa di Wall Street, verrà confrontato con un indice tra quelli che misurano l’andamento dei mercati nordamericani. Il premio al gestore scatta solo se la performance riesce a battere il benchmark di riferimento. Tutto diventa più semplice, però, se il gestore cambia le carte in tavola. Per esempio può succedere che l’andamento della Borsa di New York venga preso come termine di confronto per un fondo che invece investe gran parte del suo patrimonio in Europa o in Asia. Bankitalia è intervenuta anche su questo punto, precisando che l’indice di riferimento deve essere «coerente con la politica di investimento del fondo».

SCAPPATOIA OFFSHORE
Tutto chiaro, quindi. I rendimenti vanno misurati su base almeno annuale e il gestore non può scegliersi l’indice che più gli fa comodo. Bene, benissimo, se non fosse che centinaia di fondi venduti ai risparmiatori italiani sono registrati in Irlanda o in Lussemburgo. E da quelle parti le norme varate da Bankitalia non valgono.

Liberi tutti, allora. Azimut, Banca Generali e Mediolanum fanno soldi a palate sulle commissioni d’incentivo con buona pace delle regole made in Italy. Una ricerca della società di analisi Norisk ha individuato alcune decine di prodotti finanziari su cui gravano perfomance fee calcolate su base mensile o trimestrale. Lo studio risale al 2013, ma «da allora la situazione non è cambiata», sottolinea Marcello Rubiu di Norisk. Sarebbe sorprendente il contrario. I gestori non hanno nessun obbligo legale di mettersi in regola, visto che lavorano oltreconfine, ben lontani dal raggio d’azione della Banca d’Italia.

Non è solo una questione di commissioni. Le società di gestione con base all’estero finiscono anche per risparmiare sulle tasse. In Irlanda e in Lussemburgo il fisco ha notoriamente la mano leggera. E così, al riparo di quelle legislazioni no-tax, Azimut, Banca Generali e Mediolanum riescono a ridurre ai minimi termini le imposte da pagare. In altre parole, non solo le commissioni, ma anche i profitti viaggiano offshore. E il doping fiscale, come “l’Espresso” ha raccontato in un’inchiesta pubblicata un anno fa, vale decine e decine di milioni.
I gestori sotto accusa si difendono. Pietro Giuliani, fondatore, presidente e amministratore delegato di Azimut, rivendica con orgoglio la scelta di applicare commissioni d’incentivo mensili. «Nei primi quattro mesi dell’anno», dice Giuliani, «i nostri fondi hanno fatto segnare risultati migliori della media dei concorrenti». Come dire che quei compensi extra servono a premiare le ottime performance dei prodotti targati Azimut. «L’importante è la trasparenza», attacca Giuliani. E spiega che «i nostri clienti sanno esattamente quanto pagano e sono soddisfatti perché ottengono rendimenti di assoluta eccellenza».

SE FA MEGLIO UN ETF
Insomma, nessun pasto è gratis. Il risparmiatore deve rassegnarsi. I prodotti migliori sono anche i più costosi. Davvero? I ricercatori di Norisk hanno messo a confronto i risultati di alcuni fondi con commissioni mensili o trimestrali con le performance realizzate da Etf con caratteristiche simili.

Gli Etf, una sigla inglese che sta per “exchange traded fund”, sono prodotti d’investimento che hanno come unico obiettivo quello di replicare l’andamento di un indice. La loro gestione viene per questo definita passiva. Si può dire che viaggiano come auto con il pilota automatico su una strada determinata in partenza. Proprio per questo gli Etf hanno costi di gran lunga ridotti rispetto ai normali fondi.

A sorpresa, però, si scopre che qualche gestore è riuscito a far peggio dei suoi concorrenti low cost. Norisk segnala il caso della Sicav “Euro debt” di Banca Generali battuta dall’Etf “iShares Euro government bond”. Ambedue investono in titoli di Stato dell’area Euro, ma il secondo applica commissioni di gran lunga inferiori al primo. Un discorso simile vale anche per il fondo della scuderia Mediolanum specializzato in azioni del settore salute (Challenge Counter Cyclical). Quest’ultimo, nell’arco degli ultimi cinque anni, è stato superato da un Etf (Db x-trackers world health care) che punta sugli idici del comparto salute. E anche un fondo Azimut specializzato in titoli legati alle materie prime ha fatto segnare risultati inferiori a un prodotto a basso costo (Lyxor commodity) che investe nello stesso settore.

In casi come questi, quindi, i risparmiatori hanno pagato fior di commissioni per ottenere in cambio risultati mediocri. E nessuno li rimborserà mai di quei costi. A guadagnarci è solo il gestore. Che fa il pieno di utili e paga pochi spiccioli di tasse. Via Dublino e Lussemburgo.
21 febbraio 2017 18:42 - lucillafiaccola1796
è come giocare a gratta e non vinci niente o alle macchinette mangiasoldi. Purtroppo. Dopo lo scacco matto di Trump che ha offerto alla Grecia di entrare nell'area $, credo che convertirò i miei risparmiucci presso MPS in dollari e li porrò dentro il materasso...E la Merdangela ha già abbassato le penne...Mr Trump le ha rimesso sopra i mattoni del Muro Antifascista di Berlino. E' giusto...essendo lei una naziusuraia...ben le Sta.Lin!
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