Mentre tutte le banche sono in perdita ce ne sono alcune che
fanno utili a doppia cifra e rappresentano "l'eccelenza del
sistema bancario italiano" : Medoilanum ,Generali , Azimut e
Anima .
Banca Mediolanum ha dichiarato che una delle cause di
perdita da parte degli istituti bancari sono le troppe
filiali che fanno lievitare i costi mentre loro non hanno
filiali e per contenere i costi ne apriranno solo una per
ogni provincia italiana,per quanto rigurda gli investimenti
consigliano vivamente il loro fondo obbligazionario globale
con titoli obbligazionari che non superano i sette anni di
scadenza che sta facendo molto bene e l'azionario di lungo
periodo e consigliano vivamente i P.I.R : Piani Individuali
di Risparmio dichiarando che finalmente il governo ha fatto
una cosa molto buona per creare opportunità d'investimento
per i piccoli risparmiatori.
Fondi comuni, la beffa per tutti gli investitori
400 milioni di commissioni pagate ai gestori
A tanto ammontano le "performance fee" versate da chi ha
messo i propri soldi in queste forme di risparmio. Peccato
che si tratti di un balzello vietato da Bankitalia. Ma le
regole vengono aggirate. Ecco come
di Vittorio Malagutti
20 maggio 2015
I tecnici del settore le chiamano “performance fee”. O
anche commissioni d’incentivo, per dirla in italiano.
Tradotto in parole povere significa una tassa supplementare
sul risparmio. Questa volta però i soldi non vanno allo
Stato. È un balzello privato, che arricchisce banche e
società di gestione di fondi d’investimento. Ecco qualche
numero: solo nei primi tre mesi di quest’anno, gli
italiani hanno pagato oltre 400 milioni a titolo di
performance fee. Questa è la somma complessiva incassata da
Anima, Azimut, Banca Generali e Mediolanum, i quattro marchi
del risparmio gestito quotati in Borsa.
Tutto bene? Mica tanto. In altri mercati, per esempio negli
Stati Uniti, questi premi extra di fatto non esistono. In
Italia invece le commissioni di incentivo, legate
all’andamento del fondo, vanno ad aggiungersi a quelle
ordinarie. E, a ben guardare, si scopre che in molti casi il
compenso supplementare non è proporzionale al rendimento.
Peggio ancora: a volte i sottoscrittori sono costretti a
pagare anche se i risultati sono stati negativi. Risultato:
un fiume di denaro finisce nelle casse delle società di
gestione del risparmio, in sigla Sgr.
Piove sul bagnato, perché di questi tempi i fondi
d’investimento navigano nell’oro. La raccolta è ai
massimi storici. Nel 2014 gli italiani hanno affidato ai
gestori qualcosa come 88 miliardi di euro, il triplo
rispetto all’anno precedente. E quest’anno la raccolta
ha superato i 35 miliardi in soli tre mesi. Tanto successo
è dovuto in buona parte al crollo dei rendimenti dei titoli
di Stato. Il popolo dei risparmiatori si affida ai fondi
nella speranza di guadagnare qualcosa in più rispetto alle
misere cedole dei Btp.
Ecco spiegato, allora, perché Azimut ha appena festeggiato
il “miglior trimestre nella storia del gruppo”, come si
legge nel comunicato che accompagna i conti chiusi al 31
marzo scorso con utile di 128 milioni, più del triplo
rispetto all’anno prima. Corre anche Banca Generali: 98
milioni di profitti in tre mesi, contro i 39 milioni fatti
segnare nella prima trimestrale del 2014. Numeri strepitosi,
non c’è che dire. E anche in Borsa i titoli delle
società di gestione continuano a correre a gran velocità.
Negli ultimi sei mesi hanno fatto segnare in media un rialzo
vicino o di poco superiore al 60 per cento.
Dai bilanci, però, emerge anche un’altra verità: a
mettere il turbo ai risultati sono proprio le commissioni
d’incentivo. Come dimostra la figura pubblicata nella
pagina precedente, senza questi incassi straordinari, le
società di gestione vedrebbero sfumare buona parte
dell’utile. Nel caso di Mediolanum, per esempio, le
performance fee valgono 132 milioni dei 137 milioni di
profitti trimestrali. Azimut ha incassato in tre mesi quasi
100 milioni di premi di rendimento, che valgono buona parte
dei 128 milioni di utile. Non è da meno Banca Generali che
alla voce “commissioni d’incentivo” indica 72 milioni
nel trimestre gennaio-marzo, che si è chiuso con un
risultato di 93 milioni circa. Se poi i mercati finanziari
viaggiano al rialzo, come è successo nei primi tre mesi di
quest’anno, anche i compensi dei gestori si moltiplicano
di conseguenza.
Il boom però non si spiega soltanto con la crescita degli
indici di Borsa. Gli analisti segnalano che il meccanismo di
calcolo delle commissioni sembra studiato apposta per
aumentare i costi a carico dei risparmiatori. Che cosa
succede? Semplice: gli oneri supplementari per gli
investitori vengono calcolati sulla base dell’andamento
mensile o trimestrale. Funzionano così, per esempio,
numerosi fondi della scuderia Azimut, che applicano
commissioni ogni trenta giorni. I prodotti di Banca
Generali, invece, prevedono in molti casi prelievi
trimestrali. Un sistema come questo finisce per penalizzare
gli investitori.
DIETRO IL CALCOLO C’È IL TRUCCO
Per capire come, facciamo un esempio concreto. Se un fondo
ha perso il 10 per cento in un mese per poi recuperare il 5
per cento in quello successivo, il sottoscrittore si
troverà a pagare un premio al gestore anche se il fondo è
ancora in rosso del 5 per cento nell’arco dei due mesi
considerati. In pratica, le performance fee vengono
addebitate anche se l’investitore non ha ancora finito di
recuperare le perdite dei mesi precedenti.
Questo meccanismo, tra l’altro, finisce per premiare i
risultati a breve termine. Eppure i prodotti finanziari,
soprattutto quelli legati ai mercati azionari, andrebbero
valutati nel lungo periodo, un paio di anni o più. Va
segnalato che il sistema funziona a senso unico. Infatti, in
caso di rendimenti negativi, non c’è nessuna regola che
imponga delle penalità ai gestori. Se così fosse, i
rispamiatori potrebbero recuperare almeno in parte i costi
elevati a loro carico.
La Banca d’Italia, a dire il vero, ha già fissato alcune
regole in materia. Le norme emanate nel maggio del 2012
prevedono tra l’altro che la provvigione d’incentivo
venga applicata «con cadenza non inferiore ai 12 mesi».
Sarebbero quindi fuori legge le commissioni mensili e
trimestrali. Ma come si misura il rendimento? Di solito la
performance viene calcolata sulla base di un indice di
riferimento, in gergo benchmark. Per esempio, l’andamento
di un fondo che investe gran parte del patrimonio sui titoli
della Borsa di Wall Street, verrà confrontato con un indice
tra quelli che misurano l’andamento dei mercati
nordamericani. Il premio al gestore scatta solo se la
performance riesce a battere il benchmark di riferimento.
Tutto diventa più semplice, però, se il gestore cambia le
carte in tavola. Per esempio può succedere che
l’andamento della Borsa di New York venga preso come
termine di confronto per un fondo che invece investe gran
parte del suo patrimonio in Europa o in Asia. Bankitalia è
intervenuta anche su questo punto, precisando che l’indice
di riferimento deve essere «coerente con la politica di
investimento del fondo».
SCAPPATOIA OFFSHORE
Tutto chiaro, quindi. I rendimenti vanno misurati su base
almeno annuale e il gestore non può scegliersi l’indice
che più gli fa comodo. Bene, benissimo, se non fosse che
centinaia di fondi venduti ai risparmiatori italiani sono
registrati in Irlanda o in Lussemburgo. E da quelle parti le
norme varate da Bankitalia non valgono.
Liberi tutti, allora. Azimut, Banca Generali e Mediolanum
fanno soldi a palate sulle commissioni d’incentivo con
buona pace delle regole made in Italy. Una ricerca della
società di analisi Norisk ha individuato alcune decine di
prodotti finanziari su cui gravano perfomance fee calcolate
su base mensile o trimestrale. Lo studio risale al 2013, ma
«da allora la situazione non è cambiata», sottolinea
Marcello Rubiu di Norisk. Sarebbe sorprendente il contrario.
I gestori non hanno nessun obbligo legale di mettersi in
regola, visto che lavorano oltreconfine, ben lontani dal
raggio d’azione della Banca d’Italia.
Non è solo una questione di commissioni. Le società di
gestione con base all’estero finiscono anche per
risparmiare sulle tasse. In Irlanda e in Lussemburgo il
fisco ha notoriamente la mano leggera. E così, al riparo di
quelle legislazioni no-tax, Azimut, Banca Generali e
Mediolanum riescono a ridurre ai minimi termini le imposte
da pagare. In altre parole, non solo le commissioni, ma
anche i profitti viaggiano offshore. E il doping fiscale,
come “l’Espresso” ha raccontato in un’inchiesta
pubblicata un anno fa, vale decine e decine di milioni.
I gestori sotto accusa si difendono. Pietro Giuliani,
fondatore, presidente e amministratore delegato di Azimut,
rivendica con orgoglio la scelta di applicare commissioni
d’incentivo mensili. «Nei primi quattro mesi
dell’anno», dice Giuliani, «i nostri fondi hanno fatto
segnare risultati migliori della media dei concorrenti».
Come dire che quei compensi extra servono a premiare le
ottime performance dei prodotti targati Azimut.
«L’importante è la trasparenza», attacca Giuliani. E
spiega che «i nostri clienti sanno esattamente quanto
pagano e sono soddisfatti perché ottengono rendimenti di
assoluta eccellenza».
SE FA MEGLIO UN ETF
Insomma, nessun pasto è gratis. Il risparmiatore deve
rassegnarsi. I prodotti migliori sono anche i più costosi.
Davvero? I ricercatori di Norisk hanno messo a confronto i
risultati di alcuni fondi con commissioni mensili o
trimestrali con le performance realizzate da Etf con
caratteristiche simili.
Gli Etf, una sigla inglese che sta per “exchange traded
fund”, sono prodotti d’investimento che hanno come unico
obiettivo quello di replicare l’andamento di un indice. La
loro gestione viene per questo definita passiva. Si può
dire che viaggiano come auto con il pilota automatico su una
strada determinata in partenza. Proprio per questo gli Etf
hanno costi di gran lunga ridotti rispetto ai normali
fondi.
A sorpresa, però, si scopre che qualche gestore è riuscito
a far peggio dei suoi concorrenti low cost. Norisk segnala
il caso della Sicav “Euro debt” di Banca Generali
battuta dall’Etf “iShares Euro government bond”.
Ambedue investono in titoli di Stato dell’area Euro, ma il
secondo applica commissioni di gran lunga inferiori al
primo. Un discorso simile vale anche per il fondo della
scuderia Mediolanum specializzato in azioni del settore
salute (Challenge Counter Cyclical). Quest’ultimo,
nell’arco degli ultimi cinque anni, è stato superato da
un Etf (Db x-trackers world health care) che punta sugli
idici del comparto salute. E anche un fondo Azimut
specializzato in titoli legati alle materie prime ha fatto
segnare risultati inferiori a un prodotto a basso costo
(Lyxor commodity) che investe nello stesso settore.
In casi come questi, quindi, i risparmiatori hanno pagato
fior di commissioni per ottenere in cambio risultati
mediocri. E nessuno li rimborserà mai di quei costi. A
guadagnarci è solo il gestore. Che fa il pieno di utili e
paga pochi spiccioli di tasse. Via Dublino e Lussemburgo.
21 febbraio 2017 18:42 - lucillafiaccola1796
è come giocare a gratta e non vinci niente o alle
macchinette mangiasoldi. Purtroppo. Dopo lo scacco matto di
Trump che ha offerto alla Grecia di entrare nell'area $,
credo che convertirò i miei risparmiucci presso MPS in
dollari e li porrò dentro il materasso...E la Merdangela ha
già abbassato le penne...Mr Trump le ha rimesso sopra i
mattoni del Muro Antifascista di Berlino. E'
giusto...essendo lei una naziusuraia...ben le Sta.Lin!