Il sole 24 ore : di Alessandro Penati
Un ciclo di Borsa destinato a finire senza il botto :
Gli ultimi due cicli economici si sono chiusi con lo scoppio
di una bolla finanziaria, che ha innescato una recessione:
nel 2000 sono stati i titoli legati a internet (Wall Street
-47%); nel 2007 i mutui subprime (Wall Street –56%). Dopo
dieci anni di espansione dell’economia americana non
sorprende che alcuni cerchino di individuare se ci sia, e
quale sia, la prossima bolla. Più che la teoria economica,
vale la superstizione: non c’è due senza tre. Molti
additano l’indebitamento con cui le imprese, specie
americane, hanno finanziato acquisizioni, espansioni e
ristrutturazioni. Il rapporto tra debito netto complessivo e
margine operativo lordo (Ebitda) delle società americane
non finanziarie quotate ha raggiunto il livello di 2,7
volte, come quello che prevaleva alla vigilia delle due
precedenti crisi nel 2000 e 2007. Il dato mediano è ancora
più elevato (2,4 volte rispetto a 1,3 del 2000 e 2007) che
spiega l’abbassamento del rating medio dei corporate bond.
Ma se si guarda a un altro indicatore, l’interest
coverage, ovvero quante volte la cassa generata dalla
gestione operativa “copre” la spesa per interessi, il
risultato è rovesciato: per il totale delle società non
finanziarie americane siamo a 10 volte (come la società
mediana), dato superiore rispetto alle 7 volte del 2007 e
2000. Numeri ancora più tranquillizzanti vengono da Europa
e Giappone (rispettivamente 11 e 27 volte). Per stabilire la
plausibilità dell’ipotesi bolla, bisogna allora
domandarsi se questo ciclo finirà con una forte impennata
dell’inflazione e il conseguente inizio di un trend al
rialzo dei tassi e quindi del costo dell’indebitamento; o
con una stretta delle Banche centrali tesa a prevenirla.
Pochi avevano previsto che dopo un decennio di espansione
monetaria globale e tassi di disoccupazione (specie negli
Usa) ai minimi storici non ci sarebbe stata alcuna
recrudescenza dell’inflazione. Sono state avanzate molte
spiegazioni per la “morte” dell’inflazione e della
curva di Phillips (relazione tra salari e disoccupazione):
la globalizzazione e la tecnologia avrebbero ridotto il
potere contrattuale dei lavoratori; l’invecchiamento della
popolazione avrebbe aumentato la propensione al risparmio;
l’ipotesi di una secular stagnation creata dal venir meno
della spinta degli ex Paesi emergenti, diventati economie
mature. Quale che sia, lo scenario inflattivo e il rischio
politica monetaria sono da escludere. Questo non significa
che il ciclo non finirà, che i tassi di insolvenza non
aumenteranno mai e che le azioni saliranno sempre. Penso che
finirà perché prima o poi l’aumento dei costi e
l’esaurimento delle possibilità di crescita e
ristrutturazione (specie negli Usa) renderanno insostenibili
i margini di profitto, oggi ai massimi storici, comprimendo
i multipli di valutazione, con conseguente caduta dei prezzi
di Borsa. Ma senza gli effetti devastanti di una bolla che
innesca una crisi finanziaria. Anche perché gran parte del
debito delle imprese negli Usa (e sempre più nel resto del
mondo) non è in mano alle banche ma al mercato e agli
investitori: gli effetti depressivi di una crisi non
verrebbero amplificati dalla perdita di solidità del
sistema bancario (come invece successo nel 2008). E molto
debito è stato cartolarizzato, concentrando il rischio in
pochi investitori speculativi. Ma diversamente dai mutui
subprime del 2007, i prestiti non sono garantiti da immobili
sopravvalutati, ma dal cash flow di imprese per lo più
sane. E con la fine del ciclo certamente il tasso di
insolvenza aumenterà (oggi è ai minimi storici) e il
valore sul mercato secondario di corporate bond e prestiti
scenderà. Ma una bolla è un’altra cosa.