Credo che ci siamo abbastanza chiariti e quindi questa sarà
la mia ultima risposta.
Il mio intento non è quello di demonizzare, ma
semplicemente di puntualizzare i limiti dell'applicazione
delle formule matematica in finanza, in particolare nelle
decisioni sulla finanza personale.
Il fatto che lei ci legga una demonizzazione potrebbe
dipendere da fattori esterni al contenuto dell'articolo.
Certamente oggi siamo al lato opposto del demonizzare,
adesso tendiamo ad avere una fede esclusiva nelle formule
matematiche probabilistiche.
Certo che l'euristica che ho proposto (come esempio,
chiarendo poi che le regole vanno definite sulla base dei
propri "perché investo") è un algoritmo, ma la differenza
fondamentale sta in quante assunzioni di base sono
necessarie affinché l'algoritmo abbia un senso e possa
essere applicato.
La questione è tutta qui. Le euristiche essenziali, quando
parliamo di scelte d'investimento per la finanza personale,
sono superiori all'applicazione di formule probabilistiche
solo perché le assunzioni alla base sono molto meno
stringenti. Meno assunzioni = meno probabilità di fare
grossi errori.
22 novembre 2021 13:30 - willisaxon
@alessandro pedone
Grazie della risposta, anche se mi pare troppo difensiva e
aprioristica.
Se rilegge con attenzione quanto scrivevo precedentemente,
non si discute sul fatto che tali approcci non siano
perfetti. Anzi sono un fervido sostenitore del "it's better
to be roughly right than precisely wrong".
Il punto è che l'obiettivo deve essere migliorare quanto è
stato fatto sinora. Tanto per chiarirci, l'euristica che
propone è un algoritmo, che può fallire, può non coprire
casi particolari, può invecchiare rapidamente oltre a
essere tremendamente soggettivo (lato consulente
finanziario).
Chi sa usare questi modelli statistici e euristici, sa bene
che il modello non è buono perché corretto, ma è buono
perché utile. E' uno strumento relativo, nel senso che va
bene in un dato momento storico, in un dato contesto di
riferimento.
Sono d'accordo sulla critica alla fede incondizionata sui
modelli probabilistici, ma a una loro demonizzazione no,
soprattutto in assenza di alternative. Perché quello che
propone è comuqnue basato su scenari probabilistici. Quando
dice "nessun scenario ragionevolmente ipotizzabile" mi
aspetto che li costruirà sulla base di aspettative,
esperienze e riflessioni qualitative. E' esattamente quello
che i modelli probabilistici consentono di fare. Ovviamente
non quelli che cita lei che sono l'ABC, ma quelli che
incorporano view future, dinamiche storiche e quindi l'idea
che dipendano solo dalla storia è una amenità.
E poi il riferimento alle persone che ci hanno dedicato
tempo mi pare del tutto fuori luogo, anche perché non mi
pare che siano stati sostituiti da nessuno. I capital
requirements seguono le stesse regole, e anche i modelli di
personal finance stanno evolvendo (addirittura) in direzione
di algoritmi di Machine Learning e AI. Quindi credo che
pensino tutto tranne che abbiano buttato del tempo.
Mi pare inoltre che in assenza di risposte pratiche a
domande come la quantificazione di un capitale da detenere
come riserva, scoring del merito creditizio, valutazione di
strumenti OTC che devono essere scambiati, più che pensare
a chi ha dedicato proficuamente tempo ai modelli
quantitativi, ci si debba preoccupare di non apparire come
la volpe che non arrivando a prendere l'uva (o se vuole
legga a capire la portata dei modelli statistici) dice che
l'uva è acerba.
Cari saluti
21 novembre 2021 16:07 - Alessandro Pedone
@willisaxon
Il tema posto nell'articolo non è una critica alla
matematica bensì è una critica all'uso di un certo tipo di
matematica in finanza, ovvero quella che implica
l'assunzione di una certa distribuzione di probabilità
futura, magari facendola derivare dalla distribuzione di
probabilità passate.
QUESTO tipo di matematica-statistica è semplicemente
insensata.
Se questa tesi fosse sostenuta semplicemente da me avrebbe
ben poco valore, come ho cercato di scrivere è stata
sostenuta in passato dalle più grandi mente matematiche
come Bruno de Finetti ed oggi da grandi statistici anche
contemporanei che hanno avuto la gentilezza di confrontarsi
anche direttamente con me come il professor Bruno
Chiandotto.
Recentemente è stato pubblicato un libro dell'ex
governatore della Banca d'Inghilterra ed il principale
economista inglese vivente (Mervyn King e John Kay) dal
titolo Radical Uncertainty. Il 16 Marzo del 2020, sul
Financial Times, il libro è stato presentato così: “An
eloquent rant against the faux-precision of mathematical
models”. Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro.
Capisco che per coloro che hanno dedicato tanto tempo nello
studiare modelli quantitativi sia molto difficile ammettere
di aver perso tanto tempo, ancora di più se quei modelli in
qualche modo costituiscono il proprio lavoro, ma la semplice
realtà è che in grandissima parte sono una mera perdita di
tempo. Ripeto, non è una mia opinione, le migliori menti
nel settore ormai sono giunte a questa conclusione sulla
base delle informazioni che ho provato a riassumere
nell'articolo e che potrà approfondire anche nella
pubblicazione citata.
18 novembre 2021 20:17 - Filanto_051
Ottimo articolo, dott.Pedone: interessante la Teoria delle
decisioni...
17 novembre 2021 18:19 - willisaxon
Buonasera,
trovo interessante l'approccio suggerito anche se non
condivido la condanna tout court della finanza basata su
strumenti matematici.
L'esigenza di utilizzare strumenti quantitativi non è un
vezzo, bensì una risposta alla necessità di
quantificazione delle grandezze come i prezzi di strumenti
non quotati, che devono essere scambiati o valutati (magari
in caso di contenzioso). Un criterio di ci deve pur essere
per stabilire quanti soldi mettere da parte a fronte dei
rischi per una banca o per valutare un contratto alla
scadenza che non ha un mercato di riferimento. Anche
rappresentare la rischiosità di strumenti finanziari è
sensata attraverso misure statistiche. Si possoono
migliorare? Certo avviene quotidianamenmte, ma non si può
buttare il bambino con l'acqua sporca.
Il fatto che la finanza si basi sulla matematica ha certo
alcuni limiti impliciti, ma chi sa usare questi strumenti ne
conosce i limiti... e li sa raccontare. I problemi nascono,
e qui concordo, quando vi si ripone una fiducia
incondizionata.
Inoltre, la filosofia di base media varianza è certo quella
sottostante il resto, tuttavia mi pare poco corretto ridurre
tutto alla frontiera efficiente media varianza. Ci sono
molti approcci di ottimizzazione di portafoglio che hanno
obiettivi diversi (risk parity per esempio) che consentono
di arrivare a risultati interessanti.
Ma aldilà di questo, quello su cui mi permetto di criticare
l'autore, è l'accusa allo strumento anziché alla capacità
di saperli utilizzare e interpretare. Quello che propone,
tra l'altro, è comunqnue reppresentabile attraverso la
matematica ad impostazione utilitaristica... per cui i due
mondi non sono così lontani e molti già li utilizzano da
tempo. Penso anche alla goal based programming e alla
pianificazione per obiettivi in generale.
Il fatto che si indichi lo strumento anziché le competenze
di chi lo usa mi ricorda l'accusa ai "derivati" come
strumenti del diavolo. Dimenticando che il contratto che
consente di avere un cap al tasso variabile in un mutuo è
un derivato, che la possibilità di ridurre il rischio
prezzo su approvvigionamenti è anch'esso un derivato e
così via.
Con queste critiche non voglio dire che la tesi principale
dell'articolo sia errata, ma che, anzi, quanto si prospetta
non è altro che un affinamento (sacrosanto!) di tecniche
matematiche e statistiche.
Molti dei bias (veri e pratici) che la finanza
comportamentale suggerisce sono quantificabili, e possono
essere utilizzati all'interno di modelli "tradizionali" per
tenerne in considerazione. La vera innovazione non ci sarà
quando l'approccio suggerito dall'autore soverchierà il
primo, ma quando faranno sinergia.
Concordo invece al 100% sull'assenza di chiarezza
dell'investitore medio sul perché si investe.