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23 novembre 2021 15:34 - Alessandro Pedone
@willisaxon

Credo che ci siamo abbastanza chiariti e quindi questa sarà la mia ultima risposta.

Il mio intento non è quello di demonizzare, ma semplicemente di puntualizzare i limiti dell'applicazione delle formule matematica in finanza, in particolare nelle decisioni sulla finanza personale.
Il fatto che lei ci legga una demonizzazione potrebbe dipendere da fattori esterni al contenuto dell'articolo.
Certamente oggi siamo al lato opposto del demonizzare, adesso tendiamo ad avere una fede esclusiva nelle formule matematiche probabilistiche.

Certo che l'euristica che ho proposto (come esempio, chiarendo poi che le regole vanno definite sulla base dei propri "perché investo") è un algoritmo, ma la differenza fondamentale sta in quante assunzioni di base sono necessarie affinché l'algoritmo abbia un senso e possa essere applicato.

La questione è tutta qui. Le euristiche essenziali, quando parliamo di scelte d'investimento per la finanza personale, sono superiori all'applicazione di formule probabilistiche solo perché le assunzioni alla base sono molto meno stringenti. Meno assunzioni = meno probabilità di fare grossi errori.
22 novembre 2021 13:30 - willisaxon
@alessandro pedone

Grazie della risposta, anche se mi pare troppo difensiva e aprioristica.

Se rilegge con attenzione quanto scrivevo precedentemente, non si discute sul fatto che tali approcci non siano perfetti. Anzi sono un fervido sostenitore del "it's better to be roughly right than precisely wrong".

Il punto è che l'obiettivo deve essere migliorare quanto è stato fatto sinora. Tanto per chiarirci, l'euristica che propone è un algoritmo, che può fallire, può non coprire casi particolari, può invecchiare rapidamente oltre a essere tremendamente soggettivo (lato consulente finanziario).

Chi sa usare questi modelli statistici e euristici, sa bene che il modello non è buono perché corretto, ma è buono perché utile. E' uno strumento relativo, nel senso che va bene in un dato momento storico, in un dato contesto di riferimento.

Sono d'accordo sulla critica alla fede incondizionata sui modelli probabilistici, ma a una loro demonizzazione no, soprattutto in assenza di alternative. Perché quello che propone è comuqnue basato su scenari probabilistici. Quando dice "nessun scenario ragionevolmente ipotizzabile" mi aspetto che li costruirà sulla base di aspettative, esperienze e riflessioni qualitative. E' esattamente quello che i modelli probabilistici consentono di fare. Ovviamente non quelli che cita lei che sono l'ABC, ma quelli che incorporano view future, dinamiche storiche e quindi l'idea che dipendano solo dalla storia è una amenità.

E poi il riferimento alle persone che ci hanno dedicato tempo mi pare del tutto fuori luogo, anche perché non mi pare che siano stati sostituiti da nessuno. I capital requirements seguono le stesse regole, e anche i modelli di personal finance stanno evolvendo (addirittura) in direzione di algoritmi di Machine Learning e AI. Quindi credo che pensino tutto tranne che abbiano buttato del tempo.

Mi pare inoltre che in assenza di risposte pratiche a domande come la quantificazione di un capitale da detenere come riserva, scoring del merito creditizio, valutazione di strumenti OTC che devono essere scambiati, più che pensare a chi ha dedicato proficuamente tempo ai modelli quantitativi, ci si debba preoccupare di non apparire come la volpe che non arrivando a prendere l'uva (o se vuole legga a capire la portata dei modelli statistici) dice che l'uva è acerba.

Cari saluti
21 novembre 2021 16:07 - Alessandro Pedone
@willisaxon

Il tema posto nell'articolo non è una critica alla matematica bensì è una critica all'uso di un certo tipo di matematica in finanza, ovvero quella che implica l'assunzione di una certa distribuzione di probabilità futura, magari facendola derivare dalla distribuzione di probabilità passate.
QUESTO tipo di matematica-statistica è semplicemente insensata.
Se questa tesi fosse sostenuta semplicemente da me avrebbe ben poco valore, come ho cercato di scrivere è stata sostenuta in passato dalle più grandi mente matematiche come Bruno de Finetti ed oggi da grandi statistici anche contemporanei che hanno avuto la gentilezza di confrontarsi anche direttamente con me come il professor Bruno Chiandotto.
Recentemente è stato pubblicato un libro dell'ex governatore della Banca d'Inghilterra ed il principale economista inglese vivente (Mervyn King e John Kay) dal titolo Radical Uncertainty. Il 16 Marzo del 2020, sul Financial Times, il libro è stato presentato così: “An eloquent rant against the faux-precision of mathematical models”. Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro.
Capisco che per coloro che hanno dedicato tanto tempo nello studiare modelli quantitativi sia molto difficile ammettere di aver perso tanto tempo, ancora di più se quei modelli in qualche modo costituiscono il proprio lavoro, ma la semplice realtà è che in grandissima parte sono una mera perdita di tempo. Ripeto, non è una mia opinione, le migliori menti nel settore ormai sono giunte a questa conclusione sulla base delle informazioni che ho provato a riassumere nell'articolo e che potrà approfondire anche nella pubblicazione citata.
18 novembre 2021 20:17 - Filanto_051
Ottimo articolo, dott.Pedone: interessante la Teoria delle decisioni...
17 novembre 2021 18:19 - willisaxon
Buonasera,
trovo interessante l'approccio suggerito anche se non condivido la condanna tout court della finanza basata su strumenti matematici.

L'esigenza di utilizzare strumenti quantitativi non è un vezzo, bensì una risposta alla necessità di quantificazione delle grandezze come i prezzi di strumenti non quotati, che devono essere scambiati o valutati (magari in caso di contenzioso). Un criterio di ci deve pur essere per stabilire quanti soldi mettere da parte a fronte dei rischi per una banca o per valutare un contratto alla scadenza che non ha un mercato di riferimento. Anche rappresentare la rischiosità di strumenti finanziari è sensata attraverso misure statistiche. Si possoono migliorare? Certo avviene quotidianamenmte, ma non si può buttare il bambino con l'acqua sporca.

Il fatto che la finanza si basi sulla matematica ha certo alcuni limiti impliciti, ma chi sa usare questi strumenti ne conosce i limiti... e li sa raccontare. I problemi nascono, e qui concordo, quando vi si ripone una fiducia incondizionata.

Inoltre, la filosofia di base media varianza è certo quella sottostante il resto, tuttavia mi pare poco corretto ridurre tutto alla frontiera efficiente media varianza. Ci sono molti approcci di ottimizzazione di portafoglio che hanno obiettivi diversi (risk parity per esempio) che consentono di arrivare a risultati interessanti.

Ma aldilà di questo, quello su cui mi permetto di criticare l'autore, è l'accusa allo strumento anziché alla capacità di saperli utilizzare e interpretare. Quello che propone, tra l'altro, è comunqnue reppresentabile attraverso la matematica ad impostazione utilitaristica... per cui i due mondi non sono così lontani e molti già li utilizzano da tempo. Penso anche alla goal based programming e alla pianificazione per obiettivi in generale.

Il fatto che si indichi lo strumento anziché le competenze di chi lo usa mi ricorda l'accusa ai "derivati" come strumenti del diavolo. Dimenticando che il contratto che consente di avere un cap al tasso variabile in un mutuo è un derivato, che la possibilità di ridurre il rischio prezzo su approvvigionamenti è anch'esso un derivato e così via.

Con queste critiche non voglio dire che la tesi principale dell'articolo sia errata, ma che, anzi, quanto si prospetta non è altro che un affinamento (sacrosanto!) di tecniche matematiche e statistiche.
Molti dei bias (veri e pratici) che la finanza comportamentale suggerisce sono quantificabili, e possono essere utilizzati all'interno di modelli "tradizionali" per tenerne in considerazione. La vera innovazione non ci sarà quando l'approccio suggerito dall'autore soverchierà il primo, ma quando faranno sinergia.

Concordo invece al 100% sull'assenza di chiarezza dell'investitore medio sul perché si investe.

Saluti
Willi
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