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Oltre un decennio di disastri finanziari non ha insegnato nulla
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Editoriale di Alessandro Pedone
20 luglio 2011 10:54
 
In questi ultimi 10 anni, i mercati finanziari hanno riservato delusioni su delusioni.
Ripercorriamo brevemente i fatti.
Nel 2000 abbiamo avuto lo scoppio della bolla high-tech e lo scossone è stato ancora più forte e prolungato a seguito degli attacchi terroristici a New York del 2001 che hanno prolungato la crisi finanziaria fino al 2003, crisi che ha visto una serie di default come quello dell'Argentina e di grandi aziende come Enron, WorldCom in USA e Parmalat, Cirio ed altri da noi. Dopo circa un anno di stasi (c.d. “fase di accumulazione”) , inizia un buon ciclo finanziario che comunque non accenna neppure a far recuperare le perdite, in termini reali, che gli investitori – complessivamente considerati – hanno subito dall'inizio del 2000.
Si arriva fino al 2007, anno nel quale iniziano i primi segnali dello scossone alle basi stesse del sistema finanziario. Iniziano a vacillare le grandissime banche, prima quelle americane e poi quelle di tutto il mondo finanziariamente più sviluppato (in particolari: inglesi, giapponesi, tedesche, francesi, spagnole, islandesi e irlandesi). Il crack di Lehman Brothers è stato il simbolo di questo scossone che è stato chiamato “la grande crisi”, ad evidenziare il fatto che a memoria d'uomo non si ricordava una crisi finanziaria così forte. Forse l'unico paragone possibile – mutatis mutandi – è quello con il 1929 che nessun operatore finanziario oggi in attività ha vissuto.
Durante la grande crisi, gli investimenti finanziari vengono falcidiati. I mercati azionari crollano, ma la stessa fine la fanno i mercati obbligazioni. Mediamente, gli investitori, che ancora non avevano recuperato le perdite del 2000, subiscono nuove perdite consistenti.
Alla grande crisi si è risposto, principalmente in USA, con un forte intervento pubblico nel settore bancario e con una terapia d'urto di politiche monetarie straordinariamente espansive. In altre parole, hanno immesso un quantitativo enorme di liquidità che ha “tenuto in vita” il sistema finanziario, ma che certo non ha curato la malattia. Anzi, tutta questa liquidità pone, potenzialmente, le basi per il generarsi di nuovi squilibri e nuove crisi.
Nell'immediato, però, questa terapia d'urto riporta una certa serenità e le quotazioni, sia azionarie che obbligazionarie, riprendono a salire.
Si arriva al 2010. Il mercato azionario, dopo un sostanzioso rimbalzo (siamo sempre lontanissimi dalle vette del 2000) sembra in una classica fase di accumulazione che prelude ad una nuova ripresa, ma interviene un altro grande problema: quella che sarà ricordata come la crisi dell'euro.
In tutto il mondo (fortunatamente non in Italia che non se lo sarebbe potuto permettere), il salvataggio delle grandi banche da parte degli Stati ha generato il problema del debito pubblico che ha raggiunto livelli estremamente preoccupanti in Usa, ma anche in Inghilterra, in Francia, Spagna e persino nella virtuosa Germania (il cui valore nominale complessivo del debito pubblico supera la cifra astronomica di duemila miliardi di euro!).
In questo contesto di preoccupazione sui debiti sovrani scoppia il caso della Grecia che, complice una serie di sperperi di denaro pubblico legati alle Olimpiadi, si scopre con i conti pubblici sostanzialmente fuori controllo. Il problema della Grecia era molto specifico e relativamente limitato, ma colpisce moltissimo i mercati in particolare per le false comunicazioni che i governi ellenici avevano fornito all'Unione Europea ed ai mercati finanziari. Si scopre, in altre parole, che la Grecia aveva – volgarmente – truccato i conti.
Il problema della Grecia non solo pone l'attenzione di tutti gli investitori sui debiti degli altri stati (quale altro avrà truccato i conti?) ma – soprattutto – evidenzia l'insipienza politica dell'Europa.
Gli investitori iniziano a capire che una moneta unica senza una politica di bilancio comune può essere una debolezza, invece che una forza. Fino al 2010, bene o male, l'Euro aveva tolto agli stati l'arma della svalutazione monetaria, ma aveva garantito bassi tassi d'interesse sui propri debiti pubblici. Dal 2010, l'Euro non garantisce più bassi tassi e non rende possibile la svalutazione della moneta. Insieme alla Grecia anche l'Irlanda ed il Portogallo devono fare fronte a programmi di salvataggio a causa degli insostenibili interessi richiesti dai mercati finanziari per finanziare i propri debiti pubblici.
Questi programmi di salvataggio hanno richiesto, per essere varati, estenuanti trattative che hanno messo a nudo contraddizioni e generato incertezze su incertezze. Esattamente ciò che i mercati finanziari non sopportano.
Dalla grande crisi sono passati circa tre anni.
La “terapia d'urto” non è ancora del tutto conclusa mentre l'area Euro deve fronteggiare probabilmente la sua crisi più dura. Ma ciò che tutti sembrano dimenticare è che la “malattia” del sistema finanziario non è stata affatto curata.
Ciò che ha generato la grande crisi è – sostanzialmente – ancora lì.
Oggi il mondo si sta – giustamente – interrogando su come uscire dalla crisi dell'Euro.
Domani – 21 Luglio 2011 - ci sarà un'importante riunione per la quale vi sono grandissime aspettative (e la Merkel ha già messo le mani avanti dicendo di non aspettarsi decisioni spettacolari) e dalla quale – tutti ci auguriamo – possano giungere notizie incoraggianti.
La domanda che mi pongo, però, è la seguente: che tipo di crisi è necessaria affinché si possa rifondare il sistema finanziario mondiale per renderlo utile all'economia e non un ostacolo alla stessa?
 
 
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