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Breve storia dell'anatocismo - parte 1: prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 42/2012
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Articolo di Antonello Polito
28 settembre 2012 11:19
 
Premessa: è opportuno ricordare che per 'anatocismo' si intende la c.d. 'capitalizzazione degli interessi', ovvero la pratica di rendere gli interessi dovuti su alcune somme, a loro volta produttivi di ulteriori interessi.

Conviene, sul punto, partire dall'inizio, ovvero dal Codice civile, che all'art. 1283 stabilisce che "in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi". In altre parole, il codice civile impedisce che gli interessi possano produrre a loro volta ulteriori interessi prima che vi sia una formale domanda giudiziale in tal senso, ovvero in virtù di uno specifico accordo comunque successivo, rispetto alla loro scadenza. Dunque, secondo la previsione civilistica, MAI gli interessi potrebbero produrre ulteriori interessi, se non in virtù di una richiesta o di un accordo comunque SUCCESSIVI al loro prodursi.
Come è agevole intuire, dunque, il fattore temporale, sul punto, è fondamentale.
Già poco tempo dopo l'emanazione del codice civile, tuttavia, gli istituti di credito hanno interpretato la frase 'in mancanza di usi contrari' dell'articolo come la possibilità, da parte loro, di stabilire delle prassi (contrattuali) uniformi, che sarebbero divenute veri e propri ‘usi’.
Su esplicita iniziativa dell'ABI, dunque, a partire dal 1952, le banche hanno previsto nei loro contratti la capitalizzazione degli interessi a favore della banca con decorrenza trimestrale, mentre quelli a favore del cliente venivano capitalizzati solo con decorrenza annuale.
Dopo quasi cinquant'anni, quindi, precisamente nel 1999, la Corte di Cassazione per ben due volte interveniva finalmente sull'argomento, dichiarando illegittima la suddetta prassi bancaria sino ad allora adottata da tutti gli istituti di credito, ma prontamente il legislatore interveniva sull'argomento (D.Lgs. 218/2010), modificando l'art. 120 del Testo Unico Bancario e demandando al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (C.I.C.R.) le modalità e i criteri per definire la produzione di ulteriori interessi sugli interessi sulle operazioni bancarie. Il CICR, quindi, ha rimesso alle parti, nei contratti di conto corrente, la possibilità di determinare la periodicità degli interessi, disponendo comunque la medesima periodicità sia per gli interessi a credito che per quelli a debito, permettendo di fatto alle banche, pur sotto condizione di reciprocità, di poter applicare l'anatocismo trimestrale.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, quindi, nel 2010 sono tornate sull'argomento, che ha nuovamente 'rivisitato' l'orientamento giurisprudenziale sia di legittimità che di merito, in ordine al termine prescrizionale per la ripetizione degli interessi anatocistici indebitamente corrisposti dal correntista dalla data di chiusura del conto corrente, e ciò in virtù dell'unitarietà del rapporto contrattuale. Le SS.UU., così, hanno chiarito che qualora il correntista agisca "per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto indebitamente pagato a questo titolo, il termine di prescrizione decennale di cui tale azione di ripetizione è soggetta a decorrere, qualora i versamenti eseguiti dal correntista abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi dovuti sono stati registrati”.
Ancora una volta, quindi, il legislatore è intervenuto, nell’agosto 2010 (c.d. ‘decreto mille proroghe’), con una previsione prontamente ribattezzata ‘salva banche’, con la quale ha cercato di limitare fortemente il contenzioso nei confronti degli istituti di credito, prevedendo una norma di interpretazione autentica avente portata retroattiva specificando che “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto corrente inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso, specifica infine la norma, non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”.
Infine, la previsione sopra citata è stata dichiarata incostituzionale a sèguito del recentissimo intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 42 del 2 aprile 2012) che ha non solo ricondotto il quadro normativo a quello oggetto della sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione del 2010, ma ha anche ripristinato, come vedremo, logica e senso delle precedenti pronunce del Giudice di legittimità.
1 - continua
 
 
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