testata ADUC
Contratto bancario. Si puo' contestare la modifica unilaterale delle condizioni? Art.118 del Testo Unico
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Libero Giulietti *
24 settembre 2011 13:24
 
Formuliamo le considerazioni che seguono nell'intento di fornire, a coloro che si sono visti applicare da parte delle banche aumenti di interessi, costi o spese, qualche elemento di valutazione utile.
L'argomento non è nuovo.
Il 19 luglio del 2010, commentando l'introduzione, da parte di molte banche, di voci di spesa sostitutive della commissione di massimo scoperto, scrivevamo: “L'articolo 118 TUB (leggi: Testo Unico Bancario, ndr) consente alla banca, qualora sussista un giustificato motivo, di variare, di propria iniziativa, le condizioni economiche concordate mediante invio al cliente di una proposta di modificazione. Se il cliente non recede entro 60 giorni dalla ricezione di questa, la modifica si intende approvata.
Il congegno è di assoluto favore per la banca perché elimina o riduce i contrasti con la clientela che vi sarebbero qualora occorresse acquisire il consenso espresso per ogni singolo contratto. E’ altresì favorevole alla banca perché le consente, in pratica, di determinare secondo le proprie esigenze l’intera parte economica (e secondo qualcuno anche giuridica) del contratto".

Le variazioni di cui ci siamo interessati, sono quelle peggiorative per il cliente, non essendovi alcun limite nell’introdurre variazioni migliorative.
Questa norma, che pone l'Italia in una posizione del tutto peculiare nel panorama occidentale e che ha effetti profondamente anticoncorrenziali (Cfr, in proposito, il Provv. AGCM n.17046/2007), ha costituito un lasciapassare per molti comportamenti arbitrari. Tanto per fare qualche esempio, essa ha consentito (o, meglio, è stata strumentalizzata per consentire) aumenti degli spread nei contratti di credito a tasso variabile, passaggi da tasso fisso a variabile, applicazione del tasso di sconfinamento non solo all'eccedenza dal fido, ma all'intero utilizzo.
La difesa del cliente è una sola e, per la verità, ben misera e cioè il diritto di recesso: se non accetta le variazioni per lui sfavorevoli, egli può solo uscire dal rapporto.
Tale tutela, insignificante nei rapporti di conto corrente, di deposito o nei servizi, perché il cliente uscente si ritroverebbe, con molta probabilità, in un'altra banca che si comporta allo stesso modo, diventa un danno nei contratti di credito perché il suo esercizio implica la restituzione immediata delle somme erogate.
A nostro modesto avviso, sotto questo profilo, l’originario estensore dell'art. 118 avrebbe potuto fare di meglio, ma questo è il testo con cui dobbiamo fare i conti ed è, comunque, vero che l'evoluzione legislativa e interpretativa fin qui avvenuta, ha progressivamente eroso il campo dell'arbitrio nella modificabilità delle condizioni bancarie.
Significativa è stata l'introduzione, in questa tormentata norma, del "giustificato motivo" quale condizione di efficacia delle variazioni..

ART. 118 E CONDIZIONI NUOVE
Sul piano interpretativo, il primo intervento rilevante è costituito dalla Circolare di "Chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 10 della legge 4 agosto 2006, n. 248" Prot. 5574 del 21 febbraio 2007 del Ministero dello Sviluppo Economico che ha sancito, fra l’altro, il principio della modificabilità delle sole condizioni esistenti in contratto: “le “modifiche” disciplinate dal nuovo articolo 118 TUB, riguardando soltanto le fattispecie di variazioni previste dal contratto, non possono comportare l’introduzione di clausole ex novo". A tale supporto testuale –come sopra dicevamo- abbiamo fatto anche noi riferimento al fine di contestare l’introduzione, da parte delle banche, di clausole sostitutive della (semi)defunta commissione di massimo scoperto che avevano come unico scopo quello di recuperarne gli introiti. La correttezza del principio enunciato non può essere posta in dubbio perché la facoltà attribuita ad una delle parti di determinare unilateralmente i contenuti contrattuali costituisce una tale breccia nel sistema che non può che andare soggetta a canoni di stretta e rigida interpretazione.
La Banca d'Italia si esprime nella stessa maniera quando, criticando l'introduzione, da parte delle banche, di una commissione sui prelievi di denaro contante a sportello, afferma che "lo ius variandi deve ritenersi limitato alla possibilità di modificare clausole condizioni già esistenti, non potendo comportare l'introduzione del contratto di clausole le condizioni del tutto nuove" (si veda tale comunicazione al seguente indirizzo Web).
L’Arbitro Bancario Finanziario ha tradotto tale principio in decisioni concrete. Data la sostanziale conformità fra le decisioni assunte possiamo citare, per tutte, il Collegio Napoli n. 396 del 28 febbraio 2011 precisando che esso ammette la possibilità di variare, oltre alle condizioni economiche, anche quelle normative. Nella motivazione si legge: "…, il potere di modifica unilaterale del contratto, riconosciuto all'intermediario dall'art. 118 TUB, in quanto eccezione alla regola generale della immodificabilità del contratto senza il consenso di entrambe le parti, deve intendersi limitato alla possibilità di modificare clausole condizioni - sia di carattere economico che di natura normativa - già esistenti e non può spingersi sino al punto di introdurre clausole e condizioni del tutto nuove, tali da incidere in maniera sostanziale sull'equilibrio contrattuale, modificandone addirittura parzialmente la natura".
Le decisioni dell’ABF hanno grande importanza perché ad esse l'intero sistema si dovrà adeguare. Come previsto dalle Disposizioni istitutive dell’ABF stesso alla Sez. VI Par. 1 l'Ufficio (o il Responsabile) reclami di ciascuna banca deve mantenersi "costantemente aggiornato in merito agli orientamenti seguiti dall'organo decidente"e valutare "i reclami pervenuti anche alla luce dei predetti orientamenti verificando se la questione sottoposta dal cliente rientri in fattispecie analoghe a quelle già decise dai collegi e considerando le soluzioni adottate in tali casi").
Ciò dovrebbe comportare che gli intermediari eliminino o riducano l'insorgenza di nuove contestazioni nel contempo risolvendo quelle esistenti.
E’ anche del tutto probabile che tali decisioni rifluiscano in quelle che l'autorità giudiziaria sarà chiamata a pronunciare in fattispecie similari.

IL GIUSTIFICATO MOTIVO
Si è detto, in apertura, che, per modificare le condizioni in senso peggiorativo per il cliente, deve sussistere e deve essere indicato un "giustificato motivo".
Gli interpreti si sono finora affannati, per la verità senza molto successo, nel tentativo di definire cosa debba intendersi per "giustificato motivo". La sussistenza del requisito è tutt’altro che secondaria perché la sua omissione o insufficiente indicazione non genera il diritto di recesso del cliente, ma la totale inefficacia della variazione (così la Relazione sull'attività dell'Arbitro Bancario Finanziario n. 1 dell'anno 2010 a cura della Banca d'Italia).
Un aiuto viene dalla sopra citata Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico in cui si legge: "In relazione al contenuto minimo della nozione di “giustificato motivo”, questa deve intendersi nel senso di ricomprendere gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario. Tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.).
Peraltro, il cliente deve essere informato circa il giustificato motivo alla base della modifica
unilaterale, in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base”.

Sono quasi uguali le parole della Banca d'Italia secondo cui "il giustificato motivo non deve essere generico, ma deve riguardare gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario (ad esempio: mutamento del grado di rischiosità del cliente; variazione dei tassi di mercato che determinano un aumento dei costi operativi per gli intermediari)". E ancora, "il cliente deve essere informato circa la sussistenza del giustificato motivo in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione di congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base" .
Purtroppo queste definizioni -fatta eccezione forse per il solo caso della variazione singola connessa con la valutazione del rischio/cliente- non sfuggono ad una qualificazione di genericità e indeterminatezza intrinseca alla previsione normativa, col risultato che non si è pervenuti a soluzioni soddisfacenti. Una svolta positiva sembra costituita -almeno per le ipotesi ivi considerate- dal nuovo comma 2 bis dell'art. 118 introdotto dal DL 13 maggio 2011 n. 70 che prevede la possibilità di predeterminare, nel contratto, "specifici eventi e condizioni", al ricorrere dei quali, scatta la facoltà di introdurre modificazioni.
Finora il concreto comportamento delle banche è stato improntato alla massima genericità fino al punto di non fornire alcuna indicazione a sostegno degli aumenti applicati. Vi sono state proposte di modifica motivate con "l'andamento dei tassi" o con "l'andamento dei mercati" (Collegio Napoli n. 98 del 4 marzo 2010 ha ritenuto quest’ultima motivazione "molto sintetica, ma non tale da non consentire al cliente con un minimo sforzo di approfondimento, di valutare la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base") o con "incremento del rischio creditizio correlato al deteriorarsi dello scenario macroeconomico" o col "mutato contesto di mercato che si riflette sulle spese di gestione e di operazioni e dei servizi", o con l'“attuale crisi economica", ecc.
Alcune di queste motivazioni o altre similari sono state ritenute dall’ABF idonee a legittimare le variazioni per cui rimane difficile individuare un criterio orientativo sicuro.
La nostra impressione è che l’Arbitro abbia ritenuto insufficiente la giustificazione addotta -con conseguente inefficacia della variazione- nei casi in cui ad una indicazione troppo generica si è aggiunta anche una disconnessione sul piano economico fra motivo addotto (causa) e aumento applicato (effetto). In concreto la variazione apportata è stata ritenuta eccessiva ed abnorme rispetto al parametro addotto.

* avvocato, legale Aduc

 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS