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Definizione del profilo di rischio: il primo cardine della consulenza finanziaria
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Articolo di Alessandro Pedone
14 novembre 2017 16:04
 
A partire dal 2018, con l’introduzione della nuova direttiva europea sui servizi d’investimento, il mondo degli investimenti finanziari vedrà l’inizio di una trasformazione che richiederà certamente diversi trimestri per essere acquisita sia dagli operatori finanziari sia dai clienti.
Le novità non sono trascurabili anche se molto dipenderà, come sempre, da come le banche e gli altri intermediari finanziari applicheranno in concreto la normativa.


Una parte significativa delle nuove norme riguarda il servizio di consulenza finanziaria. Le norme relative alla trasparenza sui costi legati agli investimenti spingeranno molto probabilmente le banche a far sottoscrivere ai clienti contratti che prevederanno un costo specifico per il servizio di consulenza. Questo dovrebbe rendere, finalmente, molto evidente cosa paga il cliente e metterlo a confronto con il servizio che riceve.
Potrebbe essere, quindi, il punto di svolta per elevare la qualità della consulenza che gli investitori ricevono. Qualità che, oggettivamente, oggi è decisamente scadenza.


Consulenza finanziaria… questa sconosciuta.
La qualità della consulenza finanziaria in Italia (mediamente) è decisamente scadente. Anche perché è scarsa la cultura finanziaria degli investitori, questo genera una domanda di consulenza mediocre.
Troppo spesso il cliente che ha un patrimonio da investire (piccolo o grande che sia) si focalizza solo sul rendimento. In genere, non gli sfiora neppure nell’anticamera del cervello l’idea di dover sceglie il consulente finanziario più capace ad elaborare un progetto d’investimento adatto alle sue caratteristiche d’investitore. Non c’è neppure il concetto di cosa siano queste “caratteristiche d’investitore”. L’idea di base è molto semplice: ho dei soldi, voglio che rendano “il più possibile”. Questo accade all’investitore, ma è anche la forma mentis della maggioranza degli operatori bancari e dei così detti “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede” (cioè coloro fino a poco tempo fa si chiamavano promotori finanziari e che sono degli agenti di commercio delle banche) che partono dal concetto di conquistare il cliente spiegandogli che loro sono più bravi della concorrenza perché hanno gestori migliori, fondi migliori, competenze migliori… dove per “migliori” s’intende che produrrebbero maggior rendimento a parità di rischio.
La competizione non viene mai svolta sul piano della qualità della consulenza anche perché di fatto, il processo di consulenza finanziaria è largamente ignorato sia dai clienti che dalla maggioranza dei sedicenti consulenti finanziari.
Il processo di consulenza finanziaria si sostanzia essenzialmente in tre passaggi:
1) Definizione del profilo d’investitore (nel triplice aspetto di: esperienza/competenza finanziaria; propensione/tolleranza al rischio; obiettivi d’investimento)
2) Definizione di un progetto d’investimento adeguato al profilo
3) Raccomandazioni a detenere/comprare o vendere gli strumenti finanziari adeguati ad implementare il suddetto progetto d’investimento.
Questi tre passaggi, naturalmente, sono soggetti a controllo e revisione periodica.


Per avvertire l’esigenza di una consulenza finanziaria è necessario fare il salto mentale necessario a comprendere che i rendimenti attesi dai mercati finanziari sono identici per tutti. Rivolgersi all’intermediario X rispetto all’intermediario Y non può implicare, ex-ante, maggiori probabilità di aumentare il rendimento (lordo) a parità di rischio. Ci sono, senza alcun dubbio, differenze (che possono essere anche significative) in termini di costi. Cioè incide notevolmente sul rendimento netto. Ma il maggior rendimento di un intermediario rispetto ad un altro è sempre, sempre, senza nessuna eccezione, conseguenza di un mix di tipologie di rischio che si è perseguito (rischi specifici, rischi di liquidità, rischi di sovra/sotto esposizione a determinati mercati, rischi legati al cambio, ecc.).
Quando si fanno scelte finanziarie si sta sempre scegliendo un mix di tipologie di rischio. La consulenza finanziaria dovrebbe servire ad identificare quali tipologie di rischio sono più idonee alle proprie esigenze. Questo significa anche che l’investitore deve imparare ad essere parte attiva in questo processo. Il consulente può (e deve) sicuramente essere d’aiuto nell’informare il cliente sulle implicazioni di ciascuna scelta e dovrà poi essere diligente nel seguire il piano d’investimento definito in modo tecnicamente ottimale (in primo luogo riducendo i costi allo stretto indispensabile). Ma le scelte di fondo devono essere fatte con la partecipazione attiva del cliente.
L’idea di dire “questi sono i miei soldi, mi dica lei come investire” fa parte di una mentalità retrograda non adeguata all’attuale situazione né normativa né di mercato.


Il profilo d’investimento: il punto di partenza di tutto il processo di consulenza.
La dimostrazione più evidente che, di fatto, la consulenza finanziaria in Italia non esiste per la massa, la si ricava dal modo con il quale viene compilato il famoso “questionario Mifid”.
La funzione del questionario sarebbe quella di definire il profilo d’investitore.
Nella realtà, viene compilato solo in modo burocratico e spesso gli stessi investitori lo vivono con fastidio (quando non viene precompilato dallo stesso intermediario e firmato in una dei tanti “firmi qui, qui e… qui” insieme alle mille crocette).
In passato ci veniva chiesto abbastanza frequentemente dagli investitori se potevano rifiutarsi di compilarlo.
Se fosse realizzata una vera consulenza finanziaria la definizione del profilo di rischio sarebbe una fase fondamentale del processo di consulenza al quale si dedicherebbe la stessa attenzione che in medicina viene (o dovrebbe… ) prestata alla fase di anamesi.
Definire il profilo d’investitore è una questione assai complessa che non si può liquidare in pochi minuti. E’ necessario, fra l’altro, che l’investitore venga informato delle implicazioni delle diverse opzioni. Non si può chiedere, ad esempio, la propensione al rischio senza spiegare quali sono questi rischi in concreto. Non a caso la norma prevede che il cliente riceva un documento sui rischi e poi che venga analizzato il suo profilo.
Consegnare un documento, però, non significa certo che il cliente lo abbia letto né, tanto meno, compreso (ancora di più se sì tratta di documenti scritti in burocratese).
La fase di definizione del profilo di rischio richiede diverso tempo e – sopratutto – la partecipazione attiva dell’investitore, il quale deve capire l’utilità del tempo che sta investendo.
Se parliamo di una reale definizione del profilo di rischio di un cliente, è assurdo pensare che il questionario venga compilato contemporaneamente al contratto di consulenza come avviene nella totalità dei casi. Le informazioni che un cliente può rilasciare in quel momento sono necessariamente superficiali.
Il processo di definizione del profilo d’investitore è un processo complesso che non si esaurisce nel questionario. Il questionario può (ma non necessariamente) essere uno strumento, ma sicuramente deve essere affiancato da altre attività che oggi sono praticamente sconosciute in Italia.
In primo luogo è indispensabile che il questionario sia affiancato da precise istruzioni per la compilazione dello stesso che specifichino l’importanza del questionario stesso, le finalità con le quali vengono poste determinate domande, il significato di ogni domanda, gli esiti possibili dell’intero questionario e le conseguenze di ciascun profilo al quale il questionario può giungere.
Come già detto, elemento essenziale del processo di definizione del profilo d’investitore è l’informazione sui principali rischi legati agli investimenti finanziari. Una volta che il processo ha definito un profilo è fondamentale concordare sulle conseguenze di questo profilo. Cosa significa, esattamente, un profilo “medio-basso”? O un profilo “2” su 5? Sono etichette prive di senso. E’ fondamentale che l’investitore comprenda le conseguenze del suo profilo e che vi si riconosca pienamente. Infine, il profilo cambia col tempo ed è importante che vi sia un aggiornamento periodico.


Conclusioni.
Forse la maggioranza dei dodici lettori che mi hanno seguito fin qui potrà pensare che sia utopistico arrivare ad un processo di definizione del profilo di rischio simile a quello accennato sopra. Allo stato attuale del mercato italiano della consulenza finanziaria è sicuramente così, ma sono convinto che l’introduzione della nuova direttiva europea sui servizi d’investimento potrà imprimere una svolta significativa al settore (ovviamente richiederà tempo).
E’ ovvio che sarà – purtroppo – sempre una minoranza ad usufruire di un approccio evoluto agli investimenti finanziari, ma la speranza è che piano piano questo tracci un modello che funga da faro anche per il mercato di massa.
 
 
 
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