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L'effetto di mean reversion e il rischio azionario nel corso del tempo
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Articolo di Nicola Zanella
16 settembre 2008 0:00
 
Si riporta un colloquio tra Marco, che e’ il consulente di investimento protagonista dei dialoghi pubblicati per Aduc e Veronica, sua amica e cliente, che ha trentaquattro anni, lavora come libera professionista ed e’ fidanzata.
-Veronica. Ciao Marco. Come stai?
-Marco. Ciao Veronica. Tutto bene, grazie. Mi fa piacere rivederti. Come posso aiutarti?
-Veronica. Ho letto lo scorso mese il tuo breve working paper illustrato sul rischio di investire in azioni nel lungo termine. Per quanto sono riuscita a capire dai tuoi illuminanti grafici, mi pare di poter dire che l’investimento in azioni sembra molto piu’ rischioso di quanto si legge di solito nei giornali o di quanto mi ricordo diceva il promotore della mia banca anni fa.
-Marco. Il problema e’ che esistono diverse misure di rischio, per cui quando si parla del rischio di investire in azioni e come esso si modifichi nel corso del tempo, e’ molto importante capire di che misura si sta discutendo. Se di probabilita’ di avere ritorni negativi per un determinato orizzonte temporale, se di perdita potenziale, se di perdita nel corso del periodo di investimento, etc. Il fatto e’ che ovviamente nel corso degli anni sono nate delle “rules of thumb”, ossia delle massime finanziarie che sono state dette e ridette talmente tante volte che molti operatori finanziari ci credono ciecamente. Uno di queste e’ proprio quella che consiglia di investire in azioni per il lungo termine, come e’ stato ripreso nel titolo di un famoso libro di finanza, “Stocks for the long run”, perche’ per periodi di investimento molto lunghi il rischio delle azioni sembra essere minore di quello di altre forme di investimento antagoniste, ossia delle obbligazioni.
-Veronica. E tu adesso a che rischio ti stai riferendo?
-Marco. Ottimo! Vedo che hai gia’ capito che e’ necessario intenderci sul tipo di rischio che si decide di prendere in considerazione. L’effetto di diversificazione temporale o “time diversification effect” che ha dato vita ad un vero e proprio topic in letteratura vede dibattersi due fazioni di ricercatori finanziari: una che vuole il rischio azionario crescere con il passare del tempo, un’altra che, al contrario, ritiene che il rischio delle azioni diminuisca se si allunga il periodo di detenzione della azioni. Con il termine rischio si intende la volatilita’, ossia la deviazione standard dei ritorni annuali. La deviazione standard e’ la radice quadrata della varianza, che e’ pari alla media ponderata delle deviazioni dalla media dei ritorni al quadrato.
-Veronica. Ok Marco. Ma perche’ questi ricercatori non sono d’accordo? Come possono interpretare differentemente un dato statistico? Non dovrebbe essere quello e basta?!
-Marco. Magari! In economia e in finanza le cose non sono semplicissime. Il principio di non contraddizione raramente e’ rispettato.
-Veronica. Ma perche’ le azioni sarebbero meno rischiose nel lungo periodo?
-Marco. Alcuni ricercatori propendono per una allocazione sbilanciata verso la componente azionarie se l’orizzonte temporale e’ di lungo termine, forti dell’evidenza di cui dispongono secondo la quale le azioni per periodi molto lunghi hanno reso in passato piu’ delle obbligazioni a tasso nominale, ma con una volatilita’ minore.
-Veronica. Fantastico!
-Marco. Un “free lunch” o pasto gratis viene definito in finanza. Questo e’ dovuto al fatto che le azioni sarebbero riuscite ad offrire rendimenti aggiustati per il rischio, ossia rapporti di Sharpe, maggiori di quelli obbligazionari.
-Veronica. E come e’ stato possibile?
-Marco. I ricercatori che sostengono la cultura dell’investimento in azioni e ne magnificano le opportunita’ nel lungo periodo, ritengono che sia dovuto ad una caratteristica dei ritorni azionari che sembra esservi stata in alcuni paesi nei rispettivi mercati di Borsa, ossia l’effetto di “mean reversion” o di ritorno verso la media.
-Veronica. Mean reversion?
-Marco. Con ritorno verso la media si intende che i ritorni positivi sono seguiti con probabilita’ maggiore da ritorni negativi nel periodo successivo e viceversa, ossia che ritorni negativi siano seguiti da rendimenti positivi. A causa della natura di mean reverting dei ritorni azionari, i rischi di lungo termine delle azioni sarebbero bassi.
-Veronica. Perche’?
-Marco. Di solito viene sostenuto che sia molto improbabile che un collasso azionario non venga poi seguito da una poderosa crescita dei prezzi azionari. Dopo l’orso non puo’ che ritornare il toro! Il problema e’ che tale recupero puo’ essere un evento che non si esaurisce in breve tempo. La prova e’ che spesso i sostenitori di questa visione utilizzano il termine assai impreciso “lungo” periodo, dimenticando che in passato, anche in paesi con mercati azionari di successo, i corsi azionari sono stati depressi anche per periodi temporali assai lunghi. Pensa che in Usa, anche considerando il reinvestimento dei dividendi, dopo una caduta del mercato azionario ci sono voluti molti anni per ritornare ai livelli precedenti: un investimento nell’Agosto del 1902 era ancora perdente nell’Aprile del 1921, un investimento effettuato nel Settembre del 1929 non aveva ancora recuperato nel Marzo del 1948 e un investimento nel Marzo del 1961 era ancora sotto il livello di acquisto nel Novembre del 1974.
-Veronica. Questo si’ che e’ un periodo di attesa lungo!
-Marco. Altri ricercatori hanno stimato che in Usa i prezzi delle azionari dopo una caduta in termini reali dell’80% iniziata nel Settembre del 1929 ritornarono ai livelli precedenti solo nel Dicembre del 1958, 29 anni dopo. Ancora, da Gennaio del 1966 i prezzi calarono del 56% in termini reali e recuperarono solo nel Maggio del 1992, 26 anni piu’ tardi!
-Veronica. E nonostante questo molti ritengono le azioni meno rischiose dei bonds nel lungo termine?
-Marco. Si’! Le prime ricerche in accademia che sembrano trovare effetti di ritorno verso la media delle azioni risalgono alla seconda meta’ degli anni ottanta del secolo scorso. Si comincia a parlare di “sostanziali componenti di prezzo transitorie” nelle azioni o di autocorrelazione negativa di lungo termine dei ritorni azionari. Nel 1999 Cochrane, uno dei massimi economisti attuali, defini’ l’effetto di mean reversion dei rendimenti azionari “a new fact in finance”, ossia un fatto nuovo, dato che la visione dominante e’ sempre stata quella di ritenere i rendimenti come costanti nel tempo e nel 2001, Ritter, un altro famoso economista e professore di finanza, dichiaro’ che sarebbe un grave errore ignorare questa caratteristica dei ritorni azionari e che e’ necessario cominciare ad insegnarla nelle universita’ sostituendo cosi’ gradualmente il modello di “random walk” o della passeggiata casuale dei cambiamenti di prezzo tipica della Teoria dei mercati efficienti o EMH.
-Veronica. Quindi tanti famosi economisti ritengono i mercati azionari dotati della caratteristica di ritorno alla media. Non credevo.
-Marco. Certo, uno di loro, forse il maggiore sostenitore dell’investimento in azioni, ha scritto il libro che e’ l’inno all’investimento in azioni, ossia “Stocks for the long run”, un best-seller internazionale. Siegel calcola che la volatilita’ annua delle azioni statunitensi negli ultimi due secoli sia stata del 18,2% a 1 anno, del 4,5% per periodi di 10 anni e pari a 1,6% per orizzonti trentennali, diventando dunque piu’ bassa di quella dei titoli di stato a breve e a lungo termine. Questo perche’ la volatilita’ dei ritorni azionari medi sembra essere diminuita con una velocita’ quasi doppia rispetto a quella dei bonds governativi. La deviazione standard e’ stata minore di quanto suggerirebbe l’ipotesi di indipendenza dei ritorni azionari. Questo e’ il punto fondamentale.
-Veronica. Perche’?
-Marco. Perche’ se i ritorni sono costanti, la volatilita’ annua di un determinato periodo di N anni e’ la deviazione standard annuale divisa la radice quadrata di N, e dunque la volatilita’ delle azioni e delle obbligazioni decresce allo stesso modo col passare del tempo, ossia con la radice quadrata di N. Nel caso i ritorni degli assets siano indipendenti, le azioni sono piu’ rischiose dei bonds sia nel breve che nel lungo termine. Per i sostenitori dell’investimento azionario nel lungo periodo, il fatto che per i ritorni azionari statunitensi, il cui mercato e’ stato il piu’ studiato al mondo, la volatilita’ annua non decresca con la radice quadrata di N, ossia con il periodo di detenzione delle azioni, come nel caso in cui i ritorni sono indipendenti ed identicamente distribuiti, e’ prova di un comportamento mean reverting. Nella tabella e grafico seguenti appare proprio quello di cui stiamo discutendo. Guarda un po’ la deviazione standard annuale delle azioni in Usa e come essa si comporti nel corso del tempo, analizzando l’indice S&P 500 dal 1871 al 2004 per periodi “overlapping”, ossia che non sono indipendenti tra loro.
 

 

 
 
 
-Veronica. E’ vero! La deviazione standard e’ minore di quella teorica. Come dicevi tu. E diminuisce all’allungarsi dell’orizzonte temporale.
-Marco. Questa tabella e il relativo grafico si riferiscono invece alla Borsa italiana e all’indice Mediobanca dal 1928 al 2004 per periodi “overlapping”, ossia che non sono indipendenti tra loro.
 
 

 

 
 
 
 
-Veronica. Sembra che sia accaduta la stessa cosa. No?
-Marco. Si’, e’ cosi’. Infatti questo fatto porta molti ricercatori finanziari a credere che sia proprio l’effetto di mean reversion a rendere la volatilita’ annua minore che nel caso di random walk. Questo e’ importante che tu capisca: anche nel caso in cui i ritorni azionari siano indipendenti ed identicamente distribuiti, la volatilita’ annua diminuisce all’allungarsi del periodo di osservazione. Non puo’ essere altrimenti. Ma se vi e’ mean reversion, la volatilita’ annua deve diminuire piu’ velocemente. Per questo molti ricercatori sostengono che nel lungo periodo le azioni diventano meno rischiose di quanto prescritto dal modello di indipendenza dei ritorni e quindi anche delle obbligazioni, proprio perche’ l’effetto di “time diversification” e’ matematicamente equivalente all’effetto di mean reversion.
-Veronica. Quindi la conseguenza e’ quella di aumentare la quota di azioni se il proprio orizzonte temporale di investimento e’ molto lungo.
-Marco. Il fatto ancora piu’ rilevante e’ che cio’ sarebbe possibile data la prevedibilita’ dei ritorni azionari.
-Veronica. Come prevedibili?
-Marco. Certo, per i ricercatori che sostengono l’effetto di diversificazione temporale nell’investimento azionario, la presenza di mean reversion e’ l’evidenza indiretta della prevedibilita’ dei ritorni azionari. Perche’ se i rendimenti non sono costanti ma mean reverting, e’ conveniente per gli investitori allocare il portafoglio a seconda dei cambiamenti attesi nell’equity premium, ossia dovrebbero aumentare l’esposizione in azioni quando i rendimenti attesi sono alti e diminuirla quando i ritorni attesi sono bassi.
-Veronica. Be’, e’ tutto facile allora!
-Marco. Facile? No, Veronica, per nulla! Il problema e’ che in finanza non si dispone di una teoria comunemente accettata in grado di prescrivere il comportamento mean reverting dei ritorni azionari, per cui molti ricercatori ritengono che non sia saggio basarsi unicamente sulle caratteristiche passate di alcuni mercati borsistici, soprattutto in sistemi probabilmente non stazionari come quello economico e finanziario. Inoltre i ricercatori dispongono di campioni di dati limitati da analizzare che contengono pochi periodi “non-overlapping”, cioe’ che non si sovrappongono, per cui l’evidenza statistica sull’effetto di mean reversion non e’ molto significativa.
-Veronica. E come si puo’ risolvere tutto cio’?
-Marco. Alcuni ricercatori sostengono che se vi fosse evidenza di autocorrelazione negativa in periodi indipendenti molto lunghi, allora il ritorno verso la media potrebbe davvero esistere. Attualmente, dalle serie limitate di dati che abbiamo a disposizione, sembra che tale effetto sia davvero limitato. Uno dei migliori ricercatori finanziari del mondo, Philippe Jorion, in un suo famoso working paper, analizzando i dati di 30 paesi, non ha trovato prova di mean reversion.
-Veronica. Ah che confusione!
-Marco. Lo so, purtroppo le verita’ sulle reali caratteristiche dei mercati finanziari non sono proprio dietro l’angolo per noi ricercatori. C’e’ molto ancora da fare. Probabilmente fra due o tre secoli i nostri colleghi riusciranno a disporre di maggiori informazioni di quante oggi noi ne disponiamo. Forse, in un futuro molto lontano, si potra’ dirimere finalmente la querelle tra coloro che credono nella prevedibilita’ dei ritorni azioni e coloro che ritengono che siano sostanzialmente imprevedibili. Ma se anche cio’ non succedesse, non sarebbe una tragedia continuare ad avere teorie cosi’ contrastanti, come peraltro in nessun altra materia potrebbe accadere. In fondo e’ proprio questa la bellezza e la condanna allo stesso tempo dei mercati borsistici, la cui sopravvivenza e’ possibile grazie all’eterogeneita’ delle opinioni di chi vi investe.
-Veronica. Quindi bisogna andarci piano a sostenere che piu’ l’orizzonte di investimento e’ lungo e piu’ azioni si dovrebbero avere nel proprio portafoglio, grazie all’effetto di mean reversion dei ritorni azionari.
-Marco. Direi proprio di si’! Ricordati che l’effetto di mean reversion nelle serie finanziarie puo’ essere dovuto al cosiddetto “survivorship bias”, ossia tale effetto si puo’ ritrovare ex post in alcuni mercati “sopravvissuti” alle varie vicissitudini storiche, perche’ i mercati i cui prezzi non sono rimbalzati dopo una lunga discesa dei corsi, sono usciti dal campione di dati a disposizione dei ricercatori. Sostanzialmente, e’ probabile che siano rimasti “alive” solamente quelli che sono rimbalzati, facendo diminuire la credibilita’ dei dati a nostra disposizione. Ci sono paesi, come la Russia, la Germania, la Cina, che hanno avuto in passato interruzione dei mercati tali che oggi non e’ possibile disporre di campione di dati sufficientemente lunghi per effettuare studi statisticamente significativi.
-Veronica. Ho capito Marco. Dobbiamo pianificare molto bene insieme l’allocazione dei miei pochi risparmi. E devo pensare un po’ se l’investimento azionario e’ adatto ad un cuore pavido come il mio.
-Marco. Ne riparleremo Veronica. Se vuoi ti posso consegnare un altro breve paper illustrato con molte misure di rischio dell’investimento in azioni che e’ da considerare la seconda parte di quello pubblicato nel sito di Investire Aduc lo scorso 6 Agosto. Lo vuoi?
-Veronica. Certo! Grazie. Me lo leggo con piacere. E ti dico che ne penso la prossima volta che abbiamo l’opportunita’ di vederci. Ciao e grazie.
-Marco. Grazie a te. Alla prossima.
 
 
 
Nicola Zanella, 26 anni, e’ un ricercatore finanziario. I suoi interessi di ricerca sono: la teoria dei mercati efficienti, la finanza comportamentale, l’equity premium e l’equity premium puzzle, la prevedibilita’ delle serie azionarie, l’effetto di diversificazione temporale delle azioni, l’asset allocation e le obbligazioni indicizzate all’inflazione. E’ autore del paper pubblicato nel sito di Investire Informati di Aduc dal titolo “Le obbligazioni indicizzate all’inflazione”. Puo’ essere contattato all’indirizzo E-mail: n.zanella (c-h-i-o-c-c-i-o-l-a) aduc (p-u-n-t-o) it, oppure usando la form per le domande 
 
 

Allegato: IL RISCHIO DI INVESTIRE IN AZIONI NEL LUNGO TERMINE 2.pdf

 
 
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