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Ha ancora senso investire in titoli di stato italiani?
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Articolo di Giulia Coppolaro
11 maggio 2010 17:32
 
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- Brividi a New York… tutto a causa di un tasto sbagliato?
- Piazza affari rischia il tracollo… No, scusate, ci siamo sbagliati.

Il sunto della scorsa settimana può racchiudersi in pochi titoli di giornale che evidenziano il nervosismo degli operatori di borsa, o quanto meno un’eccessiva dose di “ansia finanziaria”, dovuta in larga misura ad una serie di notizie circolate in maniera incontrollata.

E, come per tutte le influenze che si rispettino, non è tardato ad arrivare il vaccino: il maxi-piano varato nella notte tra domenica e lunedì dall’Ecofin si è dimostrato efficace, quanto meno nel breve termine: le borse infatti hanno da subito sviluppato forti anticorpi, facendo registrare un pò in tutto il mondo rialzi da record.

Tutto risolto allora? Non proprio… le solite preoccupazioni circa la difficile situazione del debito di alcuni paesi europei restano e non tarderanno a farsi risentire, una volta passata questa ondata di euforia.

Tra i “paesi incriminati” (i PIIGS – Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna – come si usa chiamarli nel linguaggio finanziario) è stata inserita anche l’Italia, facendo nascere tra gli investitori e in tutti noi cittadini del Belpaese, timori circa le capacità dell’Italia di sostenere questa pesante macchina del debito.

Dopo la Grecia sarà il nostro turno? Sarà meglio disfarsi dei Titoli di Stato italiano e proteggerci con quelli di emittenti più solidi, magari Francia o Germania?
Queste le preoccupazioni che ci manifestano in molti in questo periodo. E allora vediamo di fare un po’ di chiarezza sull’argomento.
Puntualizziamo subito che l’Italia non è nella stessa situazione in cui si trova il paese ellenico. Uno dei grossi problemi della Grecia (forse il principale) è che oltre ad un debito pubblico elevatissimo c’è una situazione di mancanza di crescita e le prospettive per il futuro rimangono pessimistiche (anche perché tagliando stipendi e pensioni sarà difficile che si rilancino i consumi, ma, come si suol dire: in casi estremi…). Da questo punto di vista l’Italia non può essere assimilata alla Grecia: sicuramente ha problemi strutturali che debbono essere risolti, ma la crescita è positiva (anche se moderatamente) e l’infrastruttura industriale del nostro paese non è certo paragonabile a quella greca (con tutto il rispetto…).

Da considerare inoltre che il nostro Paese ha un grande punto di forza rispetto alla maggior parte degli altri Paesi sviluppati: gli italiani sono notoriamente un popolo di risparmiatori. Se è vero che suddividendo il debito pubblico italiano per ogni cittadino, su ogni testa gravano circa 30.000 euro di debito, c'è anche da sottolineare che il risparmio pro-capite è pari a circa 140.000 euro. Questo dato, soprattutto se visto in prospettiva, è molto rassicurante; ed è anche il motivo per cui il nostro sistema bancario, supportato da cotanta mole di risparmio e da un'economia basata principalmente su attività reali, è stato solo marginalmente colpito dalla crisi: infatti non si è reso necessario l'intervento statale a salvataggio di nessun istituto bancario o finanziario (com'è accaduto in molti altri Stati ritenuti più solidi di noi, uno su tutti l'Inghilterra, il cui governo ha più volte messo mano al portafogli per evitare il fallimento delle principali banche del paese).

Too big to fail
Citiamo il titolo di un famosissimo libro di Andrew Ross Sorkin che calza a pennello con la situazione italiana. In linea di massima il too big to fail (la pratica di investire in istituti bancari o istituzioni finanziarie ritenute, come si suol dire “troppo grandi per fallire”) è stata smentita dai fatti, nel corso della crisi e soprattutto con il fallimento di Lehman Brother.
 
Parlando del nostro Paese, tuttavia, la “massima” continua ad avere un senso: il debito pubblico italiano ammonta a 1700 miliardi di euro, una cifra impressionante. Ma i nostri debiti (per così dire), sono per oltre la metà in mano a Stati o istituti bancari o finanziari esteri: gli interessi che quindi ruotano intorno al sistema Italia sono immensamente più grandi rispetto a quelli che girano intorno alla Grecia (e comunque l' Europa si è mobilitata e continua ad adoperarsi per salvarla). Il debito pubblico italiano rappresenta, come quello tedesco, circa il 24% dei titoli di Stato a breve termine. Un default dell'Italia metterebbe a serio rischio anche altri Stati dell'Unione e allora sì che potremmo parlare di pandemia! Altro che influenza! Questo per dire che anche se l'ipotesi del fallimento dello Stato italiano è estremamente remota, in caso di difficoltà, è ragionevole attendersi quanto meno l'aiuto degli altri paesi dell'Unione che verrebbero altrimenti trascinati nel baratro.

Volendo comunque ipotizzare uno scenario di questo tipo, investire in titoli di Stato tedeschi, francesi o di altri paesi europei certo non metterebbe al sicuro i nostri risparmi a causa del caos che irrimediabilmente si scatenerebbe: la nostra economia è legata mani e piedi, sia con quella dei paesi UE, sia con quella degli altri Stati che detengono titoli del debito pubblico italiano. Inoltre, la corsa agli sportelli porterebbe al tracollo dell'intero sistema bancario italiano: e allora i nostri soldi, anche se investiti in Titoli di Stato esteri, che fine farebbero? Una soluzione ipotizzabile per coprirsi dal rischio default italiano potrebbe essere quella di portare fisicamente i propri soldi in paesi extra-euro e investirli, magari, in titoli con altra valuta. Altra idea potrebbe essere acquistare beni fisici come l'oro. Capite da soli, però, che queste contromisure sarebbero utili solo di fronte ad uno scenario assolutamente catastrofico, che potrebbe solo essere legato ad una situazione mondiale altrettanto critica, magari a causa di un conflitto bellico.

Riprendiamo la domanda da cui siamo partiti: ha ancora senso investire in titoli di Stato italiano? Fintanto che i titoli di Stato italiani daranno rendimenti superiori a quelli di altri paesi, quali Francia e Germania, la nostra risposta è sì. Il rischio paese che corriamo investendo in titoli italiani in luogo di quelli francesi o tedeschi è simile: in caso di reale default di uno di questi stati (e non parliamo certo della piccola Grecia...), la diversificazione sarà stata pressoché inutile, perché a calare a picco probabilmente sarà l'intera Europa, tristemente a braccetto.
 
 
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