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L'adeguatezza delle operazioni: regole di azione e rimedi
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Articolo di Filippo Sartori (1)
29 ottobre 2003 0:00
 
I La disciplina degli intermediari finanziari e' un settore in cui il continuo evolversi del mercato, della tecnologia e dell'economia impongono un costante adeguamento del livello di diligenza richiesta. Detto adeguamento, da un punto di vista di legal process, puo' essere efficacemente realizzato solo dalla Consob, coadiuvata dalle associazioni private degli intermediari, che vantano un'intima conoscenza dei fattori dinamici menzionati.
L'opera della Consob consiste nella continua definizione del concetto di lealta' e diligenza, creando o cristallizzando (nei limiti previsti dal TUF e dal diritto europeo) doveri di dettaglio.
In questo complesso procedimento, finalizzato a individuare dei piu' precisi standard comportamentali (rispetto a quelli desumibili dal diritto comune), la Commissione ha -saggiamente- tenuto conto anche dei modelli elaborati in altri ordinamenti giuridici.
La possibilita' di un confronto comparativo con altre esperienze e' stato agevolato dall'esistenza di organismi internazionali, quali la IOSCO o la FESCO, costituite dalle stesse amministrazioni indipendenti preposte al controllo dei mercati finanziari.
Il progressivo confondersi dei confini della carta geografica-economica, anche a seguito delle travolgenti innovazioni tecnologiche degli ultimi lustri, ha innescato un processo ineluttabile mirante a individuare sia dei principi sia delle regole di dettaglio applicabili a tutti gli attori del mercato globale.
I sistemi giuridici occidentali hanno utilizzato principi quali la buona fede e la professionalita' per imporre all'intermediario un dovere di informazione totalizzante. Di recente, il "dovere di informare" l'investitore ha subito una metamorfosi, trasformandosi (ampliandosi) in "dovere di informarsi", in primis, sulla situazione del cliente.
Si tratta di un dovere sconosciuto al diritto comune, che trova la propria ragione economica e giuridica proprio nella natura spiccatamente fiduciaria del rapporto tra cliente e intermediario.
Tale dovere, cristallizzato all'art. 11, quarto a linea della direttiva n. 93/22/CEE e nei principi IOSCO (2), viene ripreso, in termini generali, anche dal Testo Unico della Finanza, il quale all'art. 21, comma 1, lett. b) stabilisce che gli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento e accessori devono acquisire le informazioni necessarie dai clienti (3).
Poiche' la norma di legge non specifica l'ambito operativo del dovere in esame, la Consob, riprendendo quanto gia' previsto dalla direttiva richiamata (4), dai principi IOSCO e dai sistemi angloamericani, ha chiarito quali informazioni debbano essere richieste.
In particolare, ai sensi dell'art. 28, comma 1, lett. a) del Regolamento n. 11522/98 prima dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e accessori "gli intermediari autorizzati devono chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonche' circa la sua propensione al rischio". Con tale prescrizione, la Consob celebra dunque nel nostro ordinamento la nota know your customer rule, anche conosciuta come l'undicesimo comandamento di Wall Street (5).
La raccolta della informazioni de quibus dovrebbe avvenire, di regola, nell'ambito di un incontro personale e diretto con l'investitore, e cio' in considerazione del fatto che la fase antecedente all'instaurazione del rapporto tra le parti ha carattere "interattivo", e che solo per tale via si puo' conoscere effettivamente il cliente.
Per garantire maggior snellezza al rapporto tra le parti e consentire all'intermediario, senza sopportare eccessivi costi, di adempiere all'obbligo di dotarsi di procedure idonee a ricostruire le modalita', i tempi e le caratteristiche dei comportamenti posti in essere nella prestazione dei servizi (art. 56, comma 2, lett. a) del Regolamento Consob n. 11522/98) la Consob, in sede di interpretazione autentica, ha legittimato l'utilizzo di moduli prestampati per reperire le informazioni in esame; e cio', naturalmente, sul presupposto che vi sia stata comunque una preventiva interazione tra le parti e che le informazioni siano state raccolte prima dell'inizio della prestazione del servizio (6).
Anche in tale frangente, vanno quindi pienamente rispettati i principi della professionalita', della buona fede e della correttezza: le informazioni sul cliente, ad esempio, devono essere costantemente aggiornate in pendenza del rapporto, alla luce dell'operativita' dello stesso cliente e di ogni altra notizia rilevante (7).
Sembra, peraltro, ragionevole ritenere che se due intermediari svolgano per conto dello stesso cliente il medesimo servizio di investimento (ad esempio nel caso di deleghe gestionali) ed entrambi abbiano un rapporto diretto con l'investitore, le informazioni acquisite da un operatore possono essere considerate affidabili anche per l'altro; tale interpretazione, accolta dalla CESR (8), si giustifica se si considerano i costi, quantomeno in termini di tempo, che le parti devono sopportare per adempiere compiutamente alle modalita' di raccolta della informazioni.
Cio' premesso, e' agevole comprendere come il particolare dovere informativo suddetto sia strumentale all'applicazione di un'altra nota conduct of business rule. Si tratta, della c.d. suitability rule, introdotta per la prima volta a livello europeo nell'ordinamento inglese contestualmente all'inizio del dibattito che avrebbe poi portato all'emanazione del Financial Services Act(9), e gia' nota da anni nell'ordinamento giuridico statunitense (10).
In merito, l'art. 29, comma 1 del Regolamento n. 11522/98 prevede che gli intermediari autorizzati sono gravati dall'obbligo di astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.
Ne deriva, quindi, che la c.d. know your customer rule e' funzionale alla regola sulla adeguatezza delle operazioni: l'intermediario puo' astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni "non adeguate", solo se conosce specificamente l'esperienza degli stessi clienti nel campo degli investimenti in strumenti finanziari, la loro situazione finanziaria, i loro obiettivi di investimento e la loro propensione al rischio (11).
Si aggiunga che l'assolvimento all'obbligo in questione presuppone che gli intermediari abbiano adeguate informazioni sui prodotti finanziari oggetto della valutazione (c.d. know your merchandise rule) (12).
In merito, la Consob ha stabilito all'art. 26, comma 1, lett. e) del Regolamento Consob n. 11522/98 che "gli intermediari autorizzati, nell'interesse degli investitori e dell'integrita' del mercato mobiliare (.) acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonche' dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di operazione da fornire".
Di fronte al rifiuto del cliente di fornire le informazioni richieste (rifiuto che ai sensi dell'art. 28, comma 1, lett. a) del Regolamento Consob deve risultare dal contratto o da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore), la suitability rule non si disapplica del tutto: gli intermediari autorizzati dovranno comunque tenere conto, ai fini dell'adempimento dell'obbligo sulla adeguatezza delle operazioni, di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati (13).
La sinergia tra i tre doveri richiamati e' evidente. Gli intermediari, infatti, possono astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate in relazione alle caratteristiche finanziarie e personali della clientela solo se conoscono, in primo luogo, gli strumenti finanziari oggetto dell'operazione di riferimento ed, in secondo luogo, le caratteristiche della stessa clientela. In sintesi, la know your merchandise rule e la know your custmomer rule sono prodromiche all'applicazione della suitability rule.
La regola sull'adeguatezza della operazioni trova applicazione in relazione a qualsiasi tipo di operazione da eseguire; ovvero, sia alle operazioni effettuate su istruzione del cliente, sia - e in particolare- alle operazioni discrezionali poste in essere da parte dello stesso intermediario.
Si tratta di un dovere fiduciario generale imposto all'intermediario anche in presenza di una specifica istruzione.
La dottrina in esame assoggetta gli intermediari al dovere positivo di interpretare le preferenze di investimento dei risparmiatori in termini di trade-off rischio/rendimento, alla luce delle personali esigenze degli stessi (14).
Cio' premesso, e assunta l'avversione al rischio dell'investitore, e' agevole comprendere la policy di fondo del dovere in esame. Si tratta del tentativo di proteggere il risparmiatore da un rischio non necessario connesso all'attivita' di investimento. Naturalmente, come e' palesato all'art. 29, comma 3 del Regolamento Consob n. 11522/98, gli intermediari, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non e' opportuno procedere alla sua esecuzione. Se, tuttavia, l'investitore intenda dare corso all'operazione, gli intermediari possono eseguirla a condizione che venga impartito un ordine per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, qualora l'ordine venga registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (15).
Da un punto di vista giuridico il concetto fondante la suitability doctrine e' quello della diligenza professionale. A prescindere dai casi in cui la violazione del dovere in oggetto sia connessa ad un'attivita' intenzionale-speculativa (che solitamente, ma non sempre (16), acquisisce la forma del churning - cfr. infra), l'intermediario sara' responsabile per il compimento di un'operazione non adatta, qualora non abbia utilizzato tutti i mezzi e gli accorgimenti necessari per attuare il tipo d'attivita' in cui e' ravvisabile la soddisfazione dell'interesse dell'investitore (17).
Il dettato normativo non fornisce all'interprete adeguati strumenti per verificare concretamente se il dovere fiduciario sia stato violato, limitandosi a sottintendere che l'intermediario deve agire prudentemente in considerazione dell'avversione al rischio del risparmiatore. Il concetto di prudenza e adattabilita' sembrano coincidere (18) e il giudizio sull'operazione viene lasciato alla discrezionalita' dell'intermediario ed alla sua capacita' professionale di valutazione (19).
Tale impostazione puo' frustrare le stesse esigenze dell'investitore. La minimizzazione del rischio, associata ad una politica d'investimento conservativa, tende a ridurre l'eventuale futuro guadagno del risparmiatore, che potrebbe essere intenzionato ad assumersi un maggior rischio nella speranza di un maggior guadagno. Non solo. Tale impostazione tende ad agevolare condotte "negligenti" da parte degli intermediari che, deresponsabilizzandosi dietro una politica di investimento prudente, potrebbero evitare di utilizzare i mezzi e gli accorgimenti realmente necessari per massimizzare il rendimento degli investimenti dei propri clienti (20).
Per dare un primo significato al concetto di diligenza, puo' essere utile fare riferimento alla regola generale cristallizzata dalla prassi giurisprudenziale statunitense nel caso di mancanza di standard collettivi. Ci riferiamo alla nota regola di Hand. Tale regola da' concretezza al vago concetto di ragionevole diligenza attraverso l'applicazione del metodo costi-benefici, stabilendo che il comportamento sia ragionevolmente diligente se i costi marginali associati allo stesso non eccedano i benefici marginali derivanti alla controparte.
Nel caso che qui rileva, l'intermediario e' in colpa se il costo marginale della sua attivita' e' minore del beneficio marginale risultante. Pertanto, sara' responsabile di un comportamento negligente se gli ulteriori mezzi e accorgimenti necessari per attuare il tipo di attivita' in cui e' ravvisabile la soddisfazione dell'interesse dell'investitore sono giustificati in termini di costi; e gli ulteriori mezzi e accorgimenti necessari sono giustificati in termini di costi quando i mezzi e gli accorgimenti attualmente utilizzati si trovano al di sotto del livello efficiente.
Per essere esente da responsabilita', quindi, l'operatore finanziario deve incrementare lo sforzo connesso all'azione finche' il costo marginale sociale eguaglia il beneficio marginale sociale (21).
Applicando tale regola al settore in esame l'operatore non sara' deresponsabilizzato da una politica meramente conservativa, essendo comunque negligente (rectius responsabile), se la mancata predisposizione dei mezzi e degli accorgimenti necessari per massimizzare il rendimento degli investimenti dei propri clienti comporti dei benefici marginali inferiori rispetto agli stessi associati all'eventuale e ipotetico guadagno dell'investitore.
La regola di Hand, come sinteticamente definita, costituisce solo il punto di partenza per riempire di significato il concetto di diligenza applicabile agli intermediari finanziari. Tale formula ha, infatti, natura relazionale; varia al variare dell'avversione al rischio delle parti: maggiore e' l'avversione al rischio dell'investitore e piu' alti saranno i costi marginali associati alla curva di indifferenza dello stesso; per contro, minore e' l'avversione dello stesso e piu' bassi saranno i costi marginali connessi. Lo stesso puo' essere ripetuto sic et simpliciter, con riferimento ai benefici marginali dell'intermediario.
E', dunque, il "rischio" l'elemento piu' idoneo a dare significato al concetto di diligenza nell'ambito della suitability doctrine(22).
Cio', tuttavia, si scontra con le inevitabili difficolta' connesse all'individuazione dell'effettivo grado di rischio dell'investimento in relazione all'avversione al rischio dell'investitore.
Il secondo profilo non presenta reali complicazioni, poiche' e' facilmente valutabile dall'intermediario, alla luce delle caratteristiche dell'investitore quali, ad esempio, la sua situazione finanziaria o l'ammontare del danaro investito in relazione al valore del suo patrimonio etc. Naturalmente, un comportamento reticente dell'investitore, che ingeneri in capo all'operatore una falsa impressione sulla situazione finanziaria, che costui non sia in grado di verificare in altro modo (23), finira' per ritorcersi sullo stesso cliente, escludendolo dalla protezione accordata dalla suitability rule.
Di piu' difficile individuazione sembra il primo profilo, relativo alla definizione dell'effettivo livello di rischio dell'investimento. In talune ipotesi, l'individuazione del grado di rischio dell'investimento non e' difficile. Si tratta dei casi in cui l'intermediario acquista per conto del cliente (o suggerisce a quest'ultimo) specifici strumenti finanziari al di fuori di un servizio gestorio.
Nei casi invece di discrationary trading, risulta piu' complesso cogliere l'effettivo livello di rischio del patrimonio gestito e di riflesso l'adattabilita' dello stesso alle esigenze dell'investitore.
Sul punto, soccorrono l'interprete alcune note teorie economiche, in grado di definire con relativa precisione la rischiosita' dell'investimento. In particolare, merita di essere ricordata la c.d. teoria moderna di gestione del portafoglio elaborata dai Premi Nobel per l'Economia Harry M. Markowitz (24) e Wiliam Sharpe. Si tratta di una sofisticata teoria economica, utilizzata nella pratica arbitrale statunitense, che consente di spiegare il trade-off tra rischio e rendimento, di misurare, almeno in parte, il rischio sistematico, e di individuare il portafoglio diversificato efficiente a seconda del diverso grado di avversione al rischio del risparmiatore (25).
Tale teoria si basa su tre assunti fondamentali: a) L'investitore opera una scelta tra le attivita' presenti sul mercato facendo riferimento non solo al rendimento ma anche al rischio espresso dall'investimento; b) l'investitore e' razionale e avverso al rischio, nel senso che egli preferisce gli investimenti che a parita' di rischio danno il piu' alto rendimento o quelli che a parita' di rendimento sono meno rischiosi; c) la scelta di un portafoglio ottimale dipende dall'entita' di avversione al rischio che caratterizza ogni investitore; tale avversione viene rappresentata mediante le cosiddette curve di utilita' che esprimono la relazione esistente in ogni investitore tra rischio e rendimento.
La teoria moderna di gestione del portafoglio rivolge la propria attenzione su tre elementi: il rendimento di un'attivita' finanziaria, il rischio e la sua correlazione con gli altri elementi in portafoglio. Il primo viene definito come il rapporto tra il capitale iniziale e gli utili prodotti da operazioni di investimento o di trading in un periodo di tempo specificato (holding period). Il secondo si identifica nel grado di incertezza che il mercato esprime sull'effettiva realizzazione dei rendimenti attesi (definita in termini statistici, ovvero di deviazione standard detta anche "volatilita'"). Il terzo elemento, la correlazione, costituisce uno strumento fondamentale per diminuire il rischio del complesso del portafoglio. Due attivita' finanziariarie parimenti rischiose (ad esempio due titoli azionari) possono avere andamenti tendenzialmente opposti (o quantomeno non correlati). Quando una attivita' sale, l'altra scende (o resta invariata) e viceversa. Questo comporta una diminuzione della volatilita' (rischio) complessiva del portafoglio.
Uno dei passi fondamentali nella costruzione di un portafoglio efficiente, secondo questa teoria, consiste proprio nell'individuazione di un'appropriata combinazione di titoli tale da ridurre il rischio, compensando gli andamenti asincroni dei singoli "titoli" (26).
Un investimento ad alto rischio solitamente ha un alto rendimento, mentre un investimento a basso rischio ne comporta uno modesto.
Ne consegue che, una volta calcolato il trade-off rischio/rendimento di un determinato portafoglio, e' possibile valutare con relativa precisione l'adattabilita' dello stesso alle esigenze personali e finanziarie del cliente: se l'investitore ha delle aspettative di rendimento alte e puo' e/o vuole assumersi un maggior rischio, un portafoglio ad alto rendimento sara' adatto a quello specifico investitore; vale il contrario, qualora la situazione finanziaria del risparmiatore si scontri con il rischio connesso alla maggior volatilita' degli strumenti finanziari ad alto rendimento.
Cio' posto, utilizzando come guideline la teoria economica sinteticamente descritta, e' possibile definire lo standard di diligenza professionale che deve guidare la condotta degli intermediari per adempiere alla regola sull'adeguatezza delle operazioni. L'intermediario si comporta diligentemente (e l'operazione e' adatta) se, nell'ambito dei servizi gestorei, costruisce il portafoglio piu' efficiente per il cliente; ovvero, individua appropriatamente una combinazione di titoli tale da minimizzare il trade/off rischio rendimento, e da garantire il massimo rendimento per il livello di rischio del cliente.
Tale teoria economica costituisce uno strumento prezioso per riempire di significato un concetto nebuloso e sovente di difficile applicazione quale quello della diligenza, soprattutto in un settore altamente specialistico come quello finanziario.
La teoria in esame, in grado di misurare con una certa precisione l'effettivo livello di rischio di un determinato investimento, risponde agli interessi del cliente e dello stesso mercato, in quanto non focalizza la propria attenzione, come sembra fare il dettato normativo, sul rischio connesso all'eventuale disvalore dell'investimento, ma sull'effettivo livello di rischio del rendimento di un'attivita' finanziaria. L'investitore, infatti, e' interessato al rendimento atteso di un dato investimento per il livello di rischio connesso. Inoltre, tale impostazione incentiva l'intermediario a massimizzare il rendimento di un investimento finanziario a un determinato livello di rischio e non, per contro, a porre in essere condotte conservative (difensive) che tendono a frustrare le aspettative del cliente riducendo, invece che incrementando, l'eventuale futuro guadagno. In altri termini, questa teoria evita di agevolare condotte "negligenti" da parte degli intermediari che, deresponsabilizzandosi dietro una politica di investimento prudente, potrebbero evitare di utilizzare i mezzi e gli accorgimenti realmente necessari per massimizzare il rendimento degli investimenti dei propri clienti (27).

II Una volta risolto il problema dell'imputazione dell'obbligo di risarcimento all'intermediario responsabile, e' necessario quantificare il danno nella sua accezione patrimoniale, avendo riguardo alla situazione del patrimonio dell'investitore antecedente all'inadempimento e la sua consistenza successiva. L'obiettivo economico e' infatti quello di realizzare la perfetta compensazione della parte lesa, lasciando il risparmiatore indifferente tra adempimento e inadempimento.
Sono noti i criteri di valutazione del danno codificati dal legislatore del '42. In merito, l'art. 1223 cod. civ. dispone che il risarcimento del danno per l'inadempimento deve comprendere la perdita patrimoniale, ovvero il danno emergente; e il mancato aumento del patrimonio, ovvero il guadagno che il creditore avrebbe percepito se la controparte non fosse stata inadempiente. Si tratta del c.d. lucro cessante.
Tuttavia, "la funzione dell'art. 1223 cod. civ. e' soltanto descrittiva e sta semplicemente ad indicare la direttiva del legislatore secondo cui la reintegrazione del patrimonio del creditore deve essere integrale ed attenere a tutti i pregiudizi economici subiti dal danneggiato" (28). Questo per dire che il legislatore non individua dei criteri precisi di valutazione, alla stregua di parametri predeterminati, sicche' sovente le difficolta' probatorie che si incontrano nella quantificazione del danno impongono all'interprete di ricorrere ad una valutazione equitativa dello stesso (art. 1226 cod. civ.).
Invero, la figura del danno emergente si presta ad una piu' facile valutazione.
La perdita subita corrisponde, infatti, ad una sottrazione di utilita' che gia' esisteva nel patrimonio del creditore; in guisa che, anche in subjecta materia, non e' complesso individuare il danno patrimoniale subito dal risparmiatore: danno che consiste nella perdita totale o parziale del capitale investito.
Per tale via, a titolo meramente indicativo, "il cliente ha diritto ad ottenere una somma pari alla differenza tra il valore che gli strumenti finanziari avevano al momento del loro acquisto e quello in cui vengono ricollocati sul mercato ovvero viene fatta valere la pretesa risarcitoria" (29); oltre, si intende, alla restituzione delle spese (ad esempio, delle commissioni) connesse all'operazione finanziaria.
E' evidente che la valutazione del danno emergente varia a seconda del tipo di inadempimento realizzato dall'intermediario.
Cosi', nel caso di operazione non adeguata, la valutazione della perdita patrimoniale passa attraverso una comparazione tra il valore del "portafoglio" del cliente prima del compimento dell'investimento e il valore dello stesso nel momento in cui il cliente viene a conoscenza (o avrebbe dovuto venire a conoscenza utilizzando l'ordinaria diligenza (30)) dell'inadempimento della controparte.
Apparentemente piu' problematica e' la quantificazione del danno emergente nel caso di accertata violazione degli obblighi informativi gravanti l'intermediario. Anche tale valutazione deve essere fatta alla luce degli specifici doveri informativi violati, avendo riguardo alle diverse fasi della dinamica negoziale.
Ad esempio, se l'operatore finanziario viola la "know your customer rule", il cliente creditore potra' richiedere oltre alle spese anche il capitale perso a seguito dell'inadempimento dell'intermediario. Lo stesso puo' essere ripetuto nel caso in cui il risparmiatore faccia affidamento su informazioni fornite dall'intermediario poi rivelatesi inadeguate. In tal caso, infatti, provato il nesso causale tra la violazione dell'obbligo informativo e il danno subito, il cliente "dovrebbe essere riposto nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato in presenza di uno svolgimento vantaggioso del contratto" (31), attraverso la misurazione della differenza del valore del portafoglio del cliente prima e dopo l'inadempimento.
Considerazioni analoghe possono essere fatte nel caso in cui l'operatore violi i doveri informativi durante lo svolgimento del rapporto. Ad esempio, nel caso in cui venga violato l'obbligo di informare "prontamente e per iscritto l'investitore appena le operazioni in strumenti derivati e in warrant da lui disposte per finalita' diverse da quelle di copertura abbiano generato una perdita, effettiva o potenziale, pari o superiore al 50% del valore dei mezzi costituiti a titolo di provvista e garanzia per l'esecuzione delle operazioni (.)" (art. 28, comma 3 del Regolemento n. 11522/98). Se assumiamo che l'operazione in derivati o in warrants sia adeguata all'investitore, l'inadempimento dell'intermediario non interviene a monte del servizio, ma nel corso dell'esecuzione del rapporto. Ne consegue che, fermo restando il metodo di calcolo, l'attualizzazione del valore del portafoglio del cliente dovra' essere operata avendo riguardo al valore che lo stesso aveva nel momento in cui e' sorto l'obbligo informativo (violato) a carico dell'intermediario.
Discorso diverso deve invece farsi in sede di quantificazione del lucro cessante: ovvero del danno derivante dalla perdita di altre occasioni di investimento.
Accettato il principio secondo cui il risarcimento, nel caso di inadempimento colposo, deve essere integrale e finalizzato al ripristino della stessa situazione in cui il risparmiatore si trovava prima dell'inadempimento e' opportuno individuare alcuni parametri precisi per determinare le nuove utilita' che il cliente avrebbe presumibilmente conseguito se non si fosse verificato l'inadempimento.
L'opportunita' di un'indagine in tale direzione emerge evidente se si considera che la giurisprudenza, chiamata a quantificare il lucro cessante, sovente utilizza il ricorso alla valutazione equitativa: e cio' in quanto trattasi di danno prevalentemente destinato a manifestarsi nel futuro e dunque di piu' difficile valutazione.
Il ricorso al criterio della valutazione equitativa e' particolarmente pericoloso nel settore finanziario. Le norme sui danni da inadempimento costituiscono, infatti, veri e propri incentivi comportamentali. Di conseguenza, un risarcimento non integrale e inidoneo a ripristinare lo status quo ante costituisce un disincentivo per gli intermediari a sopportare i costi connessi alla predisposizione di tutti quei mezzi e quegli accorgimenti necessari per attuare il tipo di attivita' in cui e' ravvisabile la soddisfazione dell'interesse dello stesso risparmiatore.
Per contro, un risarcimento superiore al pregiudizio effettivamente subito favorisce comportamenti opportunistici dei risparmiatori e trasforma l'intermediario in una sorta di assicuratore delle perdite del cliente: perdite non connesse all'inadempimento ma alla fisiologica alea del mercato.
Ne consegue che nella valutazione del lucro cessante si dovra' volgere particolare attenzione a non attribuire al risparmiatore vantaggi che sono slegati dall'andamento effettivo dei mercati finanziari. "[B]y awarding the plaintiff her entire loss on the transaction and ignoring market realities, the court allow[s] the plaintiff to escape the riscks inherent in investing during a declining market" (32).
Per quantificare il mancato guadagno quindi non si devono considerare i vantaggi che l'investitore avrebbe realizzato da un andamento positivo del contratto effettivamente concluso, ma si deve guardare al vantaggio (o allo svantaggio) potenziale che l'investitore avrebbe conseguito se l'intermediario si fosse comportato professionalmente.
Nel caso di inadempimento colposo il criterio che deve guidare l'interprete nella quantificazione del lucro cessante e' dunque quello della "prevedibilita'" di cui all'art. 1225 cod. civ.
" (.) Nella responsabilita' contrattuale vi e' un programma delle parti e quindi ricorre l'esigenza di circoscrivere la responsabilita' contrattuale rispetto ad un rischio specifico di danno (.)" (33).
La dottrina che si e' occupata del tema ha suggerito di organizzare "panieri" di prodotti aventi caratteristiche simili a quelli che hanno costituito l'oggetto del contratto di cui l'investitore assume la violazione (34).
A conclusioni simili e' giunta la giurisprudenza di merito (35). Il Tribunale di Bari ha infatti precisato che la quantificazione dell'aspettativa dell'investitore ad un maggior profitto deve essere effettuata utilizzando "categorie omogenee all'interno della massa dei prodotti finanziari": in particolare, organizzando di prodotti con caratteristiche simili a quelli oggetto del contratto di cui l'investitore assume la violazione, delineando in tale modo un parametro di riferimento, da adeguare alle caratteristiche specifiche del contratto in questione".
Peraltro, nella prassi non e' agevole individuare con precisione un "paniere" di riferimento, soprattutto a causa del numero di strumenti finanziari potenzialmente riconducibili nel paniere dell'investitore. Di tal che e' opportuno, a mio avviso, utilizzare un criterio gia' predeterminato come l'indice di borsa. Naturalmente l'indice ha natura relazionale: ovvero varia a seconda dell'investitore e della sua avversione al rischio.
L'interprete deve dunque verificare l'avversione al rischio del risparmiatore sulla base delle informazioni disponibili quali, ad esempio, l'esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento, etc. (elementi che devono essere raccolti dall'intermediario ai sensi dell' art. 28, comma 1, lett. a) del Regolamento n. 11522/98) e, sulla base di tali informazioni, individuare l'indice di mercato piu' adatto.
Se dunque l'investitore ha delle aspettative di rendimento alte perche' all'interno dello schema negoziale, aveva deciso di assumere un rischio elevato, un indice ad alto rendimento e ad alto rischio sara' adatto a quello specifico investitore. Diversamente, se la situazione personale e finanziaria del risparmiatore si scontra con il rischio connesso alla maggior volatilita' degli strumenti finanziari di un indice ad alto rendimento (e ad alto rischio) vale il contrario.
A titolo esemplificativo, se il rischio sistematico di un investitore, che risulta dal trade-off tra rischio e rendimento, e' sintomatico di una policy conservativa, l'indice di riferimento piu' appropriato e' un indice composto in parte preponderante (ad esempio: 75%) da obbligazioni (come, a titolo esemplificativo, l'indice JP Morgan obbligazioni internazionali governative) ed in parte minoritaria un indice azionario (come il MSCI World). Al contrario, se l'investitore ha adottato una politica di investimento aggressiva sembra ragionevole ancorare la quantificazione del danno ad un indice meno conservativo che potrebbe essere anche completamente azionario (MSCI World) -


Note:
(1) Docente a.c. di diritto degli intermediari finanziari presso la Facolta' di Giurisprudenza di Trento e di diritto civile presso la Facolta' di Giurisprudenza della LIUC.
(2) La parte III, sezione 12.5, punto 3 dei principi IOSCO prevede che: " A firm should seek from its customer any informnations about their circumstances and investment objectives relevant to the services to be provided. Polices and procedures should be estabilished which ensure the integrity, security, availability, reliability and thoroughness of all information, including documentation and electronically stored data, relevant to the firm's business operations. Where the activities of an intermediary extend to the giving of specific advise, it is of particular importance that the adivice be given upon a proper understanding of the needs and circumstances of the customer: a matter generally encompassed in the rule of cunduct that the intermediary must ?know your client".
(3) La norma di legge formula unitariamente due principi (dovere di informare il cliente e dovere di informarsi sul cliente) che nella Direttiva n. 93/22/CEE e nei principi IOSCO sono formulati in modo distinto.
(4) L'art. 11, comma 1, quarto alinea della Direttiva n. 93/22/CEE stabilisce che gli intermediari devono "informarsi sulla situazione finanziaria dei suoi clienti, sulla loro esperienza in materia di investimenti e sui loro obiettivi per quanto concerne i servizi richiesti". E' interessante notare che la norma della Direttiva non pone l'accento sul profilo della propensione al rischio, come sembra fare il Regolamento Consob n. 11522/98. L'introduzione di tale elemento da parte della Commissione e' certamente apprezzabile, in quanto, come avremo modo di approfondire, l'adeguatezza delle operazioni si basa in particolare sul grado di avversione al rischio dell'investitore (cfr. infra). Invero, il profilo del rischio e' ripreso dalla Rule 65 del titolo III del documento elaborato dalla CESR. La norma stabilisce, infatti, che: "An investment firm must seek to obtain information on the customer's knowledge and experience in the investment field, his investment objectives and risk profile, his financial situation/capacity and any trading restrictions applicable to the customer (.)".
(5) Cfr. NYSE rule 405. Per la giurisprudenza formatasi sulla regola in esame cfr. App. Milano 19 giugno 1999, n. 1735; App. Milano 29 gennaio, n. 261; App. Milano 13 aprile 1999, n. 855; App. Milano 26 gennaio 1999, n. 204; Trib. Milano 20 febbraio 1997, n. 1888. Cfr. anche Cass. 14 novembre 1997, n. 11279, in Foro it., 1998, I, 3292 con nota redazionale e di CATALANO, L'utilita' di una sentenza "anacronistica": gli "swap" in Corte di Cassazione.
(6) Cfr. Comunicazione Consob n. DI/98087230 del 6 novembre 1998.
(7) Ibidem. Negli stessi termini cfr. la Rule 67 del documento "A European Regime of Investor Protection. The Harmonization of Conduct of Business Rules", la quale stabilisce: "An investment firm must take reasonable care to keep the customer profile under review, also taking into consideration the development of the relationship between the investment firm and the customer. The customer must be advised that he should inform the investment firm of any major changes affecting his investment objectives, risk profile, financial situation/capacity, trading restrictions, or the identity or capacity of his representative. Should the firm become aware of a major change in the situation previously described by the customer, it must request additional information".
(8) La rule 63, del titolo III stabilisce infatti che: "The know-your-customer standard applies to each investment firm having a direct business relationship with the customer with respect to investment services. However, where two or more investment firms are involved in providing an investment service and each has a direct relationship with the customer, an investment firm may rely on the information received from another of such investment firms".
(9) Sul punto cfr. SCHERER, The Stockbrokers' Duty of Care in the U.S. and U.K. The Need for a Suitability Doctrine, in , 1985, pagg. 2 e ss.
(10) La NASD rule 2310 dispone, alla lettera a), che in recommending to a customer the purchase, sale, or exchange of any security, a member shall have reasonable grounds for beliving that the reccomandation is suitable for such customer upon the basis of the facts, if any, disclosed by such customer as to his other security holdings and has to his financial situation and needs.
(11) La sinergia tra i doveri richiamati emerge da una lettura dei tre standard comportamentali previsti dal documento CESR in tema di "dovere di diligenza" dell'intermediario.
"- 72. When an investment firm provides investment advice to the customer, it must have reasonable grounds to believe, in light of the information disclosed to it by the customer and the information available to it, including the information arising from the customer relationship, that this investment advice is suitable for him. The investment firm must communicate the reasons why the advice is considered to be in the best interest of the customers at the time the advice is given.
- 73. Before accepting an order an investment firm must take reasonable care to verify that the verify that the order is suitable for the customer in light of the information disclosed to it by the customer and the information available to it, including the information arising from the customer relationship.
- 74. An investment firm investment firm must take reasonable care to verify that the customer has sufficient financial resources to settle the proposed transaction".
A conclusioni simili era gia' pervenuta in parte la Suprema Corte di Cassazione affermando che la finalita' della know your customer rule "e' quella di imporre all'intermediario di assumere dal cliente le piu' complete ed accurate informazioni afferenti la di lui situazione finanziaria affinche' possa valutare se l'operazione dal cliente proposta (o allo stesso suggerita) sia compatibile con le sue capacita' economiche" (cfr. Cass. 14 novembre 1997, n. 11279, cit. supra). Tale correlazione e' stata sottolineata di recente nella proposta di revisione del marzo 2002 della direttiva n. 93/22/CEE; al punto 2.3.5. si legge infatti che: "The investment firm shall obtain information enabling the investment firm to determine the investment services and financial istruments that are suitable for the client, including the client's knowledge and experience in the investment field, investment objectives and financial situation/capacity".
(12) Per il sistema statunitense cfr. Charles Hughes & Co. v. SEC, cit.; cfr. Filloramo v. Johnston, Lemon & Co.., 697 F. Supp. - D.D.C. 1998. Da tale pronuncia si evince che l'intermediario che raccomanda all'investitore determinati strumenti finanziari senza avere una specifica conoscenza degli stessi e' responsabile per essersi comportato negligentemente. Cfr. anche V.F. Minton Securities, Inc., Exch. Act Rel. N. 34-32,074, [1992-1993 Transfer Binder] Fed. Sec. L. Rep. (CCH) 85,128 - SEC 1993. In dottrina cfr. Cfr. WOLFSON, PHILLIPS e RUSSO, Regulation of Brokers, Dealers and Securities Market, Boston, 1977, pagg. 2 e ss.; GOFORTH, Stockbrokers' Duties to their Customers, 33 ST. LOUIS U. L.J. 407, (1989); cfr. LANGEVOORT, Fraud and Deception by Securities Professionals, in 61 Tex. Law. Rev., 1247 (1983). Tale principio e' previsto anche dalla IOSCO la quale ha avuto modo di precisare che
(13) Cfr. l'art. 29, comma 2 del Regolamento Conosb.
(14) Come e' stato fatto notare (cfr. PACCES, Financial Intermediation in the Securities Markets Law and Economics of Conduct of Business Regulation, cit., pagg. 488), tale dottrina si allontana da cio' che viene predicato dai modelli economici, che fanno il proprio punto di forza sulla razionalita' degli investitori espressa in termini di trade-off rischio/rendimento. Invero, la giustificazione di tale distacco non si coglie nell'irrazionalita' degli investitori che continuano a rimanere razionali, ma nella rilevante asimmetria informativa tra le parti, che riconferma l'importanza dagli operatori finanziari nella trasmissione di informazioni agli investitori.
(15) In termini analoghi cfr. la Rule 75 del "Documento CESR".
(16) La sovrapposizione delle due fattispecie normative e' frequente nella prassi, tant'e' che la Consob ha disciplinato con una stessa disposizione i fenomeni in oggetto. Tuttavia, da un punto di vista teorico i due doveri devono essere mantenuti separati se si considerano i diversi rimedi di riferimento. Infatti, non sempre la suitability rule (diversamente dal churning) rappresenta un caso particolare di conflitto di interessi. Anzi, tale fattispecie e' immediatamente riconducibile alla violazione del dovere di diligenza e non di quello della buona fede (intesa come dovere di lealta'-fedealta'). Cfr. BOOTH, The Suitability Rule, Investor Diversification, and Using Spread to Measure Risk, 54 Business Lawyer, 1614 (1999).
(17) A conferma di quanto suddetto si deve ricordare che la c.d. suitability rule e' il primo standard comportamentale previsto nel titolo 3.2. del documento elaborato dalla CESR rubricato "The Investment Firm's Duty to Care for the Customer".
(18) Cfr. KERR, Suitability Standards: A New Look at Economic Theory and Current SEC Disclosure Policy, 16 Pacific. Law. Rev., 812 (1985).
(19) Cfr. la Comunicazione Consob n. DME/1006270 del 29 gennaio 2001.
(20) Cfr. KERR, Suitability Standards: A New Look at Economic Theory and Current SEC Disclosure Policy, cit., pagg. 807 e ss.
(21) Possiamo schematizzare quanto suddetto con le seguenti formule: a) costo marginale sociale < beneficio marginale sociale → l'intermediario e' negligente; costo marginale sociale = beneficio marginale sociale → l'intermediario e' diligente.
(22) Sul punto sembra esserci una convergenza di opinioni sia da parte dei legalschoolars che da parte delle Corti. Cfr. ad esempio MALKIEL, A Random Walk Down Wall Street, 6th ed., 1996, pagg. 227 e ss. " [R]isk is the only variable worth a damn in the market". Cfr. LORIE et al., The Stock Marcket: Theories and Evidences, 2d ed., 1985, pagg. 13 e ss. " Indeed, it is arguable that risk is the only thing that matters in selecting a stock or other investment. There is a direct trade-off between risk and return. The more risk involved the greater must be the return. Assuming the market is even minimally efficient, the rate of return available for any given investment will thus be a function of its risk. In other words, the only factor an investor needs to consider is the single variable of risk because risk impounds return". Cfr. BINES, The Law of Investment Management, 1978, pagg. 2 e ss.; KLEIN & COFFEE JR., Business Organization and Finance: Legal and Economic Principles, 6th ed., 1996, pagg. 227 e ss.; BOOTH, The Suitability Rule, Investor Diversification, and Using Spread to Measure Risk, cit., pagg. 1600 e ss. La nozione di rischio e' una delle piu' controverse nel mondo finanziario. Il rischio puo' essere sintetizzato come l'esposizione all'incertezza, che comprende due componenti: a) la stessa incertezza; b) e l'esposizione nei confronti di essa. Il rischio del mercato finanziario e' il rischio di un certo ammontare di perdite derivanti da variazioni avverse nei prezzi futuri degli strumenti finanziari, includendo anche le variazioni dei tassi d'interesse, dei tassi di cambio, etc. Tale rischio e' strettamente connesso alle transazioni o alle posizioni che aggregate andranno a formare un portafoglio di transazioni. L'oggetto del processo di aggregazione, e' quello di combinare le transazioni e le posizioni nette simili fra loro, nel miglior modo possibile per arrivare ad una certa posizione netta nei confronti del rischio. Il portafoglio e' poi scomposto nei fattori di rischio del sottostante. Il processo di scomposizione, comprende il resoconto analitico delle spese relative a ciascun strumento, indipendentemente dalla struttura o formato (sul bilancio d'esercizio o derivato), entro tutte le sue componenti pure di rischio (valuta, interessi, merci etc.).
(23) E' interessante notare che il documento elaborato dalla CESR stabilisce che, qualora le informazioni fornite dal cliente siano laconiche o non accurate, l'intermediario deve avvertire per iscritto il cliente che la mancata integrazione delle informazioni puo' ritorcersi contro il suo stesso interesse. Cfr. le rule 66 e 69 del titolo III.
(24) Cfr. MARKOWITZ, Portfolio Selection: Efficient Diversification of Investments, New Haven: Yale University Press, 1959.
(25) Dalla moderna teoria del portafoglio e dell'equazione che descrive la varianza totale del portafoglio in funzione delle varianze dei rendimenti delle attivita' in paniere e delle loro reciproche correlazioni si sono sviluppati diversi approcci finalizzati a misurare il Value at Risk. La misurazione dei rischi di mercato e' diventata una necessita' per gli intermediari finanziari a causa della accresciuta volatilita' delle variabili finanziarie e delle elevate perdite potenziali implicite nell'utilizzo dei prodotti derivati. In tale contesto, il Value at Risk (c.d. VaR), una delle tecniche di maggiore attualita' nel panorama finanziario, si e' dimostrato un efficace strumento in grado di fornire informazioni chiare e facilmente comprensibili sui rischi di mercato. La tecnica del Riskmetrics, l'approccio alla gestione del rischio di mercato introdotto da J.P. Morgan, una nota banca d'affari americana. In estrema sintesi si tratta della combinazione di una metodologia analitica per la misurazione del rischio finanziario, dei corrispondenti dati statistici necessari per l'applicazione del metodo e per il calcolo del VaR.
Pur sottoposta a numerose critiche relative essenzialmente alle ipotesi utilizzate e alle tecniche di calcolo proposte, la metodologia di Riskmetrics si e' affermata in breve nel tempo fino a divenire lo standard di mercato per la misurazione del VaR.
(26) Sia per il rendimento che per il rischio di un'attivita' finanziaria e' necessario specificare se si fa riferimento ad una valutazione ex-post, oppure se si parla di stime ex-ante. Il primo approccio e', infatti, usato nell'ambito dell'analisi delle performance di una gestione. L'utilizzo delle stime ex-ante delle variabili rischio e rendimento e', invece, proprio della fase di analisi del portafoglio che si rivolge alla definizione dei pesi ottimali.
(27) Il modello poc'anzi delineato viene accolto e sostenuto tenacemente da parte del formante dottrinale nordamericano; infatti, i commentatori d'oltre oceano sostengono all'unisono la validita' degli strumenti economici per dare concretezza alla suitability doctrine (Il plurale e' necessario in quanto oltre alla Modern Portfolio Theory sembra esserci convergenza anche sulla validita' ed efficacia della c.d . Cfr. per tutti FAMA, Efficient Capital Markets: A Review of Theory and Empirical Work, 25 Journ. Fin., 383 (1970).; LORIE et al., The Stock Marcket: Theories and Evidences, cit. Sul punto cfr.,, KERR, Suitability standards: A new look at economic theory and current SEC disclosure policy, cit., pagg. 819 e ss.; BOOTH, The Suitability Rule, Investor Diversification, and Using Spread to Measure Risk, cit., pagg. 1614 e ss.; LITNER, A Model of a Perfectly Functioning Securities Market, Economic Policy and the Regulation of Corporate Securities, H. Manne ed., 1969, pagg. 152 e ss.; SHARPE, Portafolio Theory and Capital Markets, 1970, pagg. 69 e ss.; COHEN, The Suitability Rule and Economic Theory, 80 Yale Law Journal, 1608 (1971); NOTE, The Regulation of Risky Investments, 83 Harv. L. Rev., 603, 617 (1970).; ROACH, The Suitability Obligations of Brokers; Present Law and the Proposed Federal Securities Code, 29 Hastings L. J., 1069, 1161, (1978).
Tale impostazione non e' ancora stata accolta dalla Corti che si sono limitate a individuare nel concetto di rischio l'elemento genetico propulsivo per verificare la suitability di un operazione senza dare allo stesso un reale significato economico (Cfr. ad esempio Rolf v. Blyth, Eastman Dillon & Co., 570 F.2d 38 - 2d Cir. 1978). Invero, la chiusura alla teoria non e' suffragata dalle Corti private che si avvalgono sempre piu' di tecnici per trovare risposte adeguate alle controversie connesse ad un'ipotetica violazione di tale dovere. Cfr. LAGEMANN & CORNISH, Jr. The Role of Experts in Secuirities Arbitrations, AM. J. Trial Advoc., 721, 730 (1993). Come e' stato fatto notare, non e' compito del giurista conoscere e applicare nel dettaglio teorie economiche sofisticate quali la teoria moderna di gestione del portafoglio, spettando allo stesso solo il compito di implementarne i risultati ottenuti; cfr. BOOTH, The Suitability Rule, Investor Diversification, and Using Spread to Measure Risk, cit, pagg. 1617 e ss.
(28) Cfr. VISINTINI, Trattato breve della responsabilita' civle, Padova, 1999, pag. 545.
(29) LOBUONO, La responsabilita' degli intermediari finanziari, Napoli, 1999, pag. 262.
(30) Anche in tale settore l'illecito contrattuale obbliga i risarcire i danni con il limite di cui all'art. 1227 cod. civ.
(31) LOBUONO, La responsabilita' degli intermediari finanziari, cit., pag. 259.
(32) Cfr. MINER, Measuring damages in suitability and Churning actions under rule 10b-5, 25 Boston College Law Review, 847 (1984).
(33) VISINTINI, Trattato breve della responsabilita' civile, cit., pag. 215.
(34) LOBUONO, La responsabilita' degli intermediari finanziari, cit. pag. 271.
(35) Cfr. Tribunale di Bari, 3 maggio 2001, n. 1020, con nota di VOLPE, La responsabilita' degli intermediari finanziari: un leading case, in I Contratti, 10, 2001, pagg. 901 e ss
 
 
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