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Decisioni, probabilità e investimenti finanziari
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Articolo di Alessandro Pedone
19 febbraio 2019 13:05
 
 "Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato" - Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita" - Karl Popper


Fare investimenti finanziari significa, prima di ogni altra cosa, assumere decisioni: scegliere fra diverse alternative possibili.
Per quanto possa sembrare assurdo (in effetti lo è!) nei corsi universitari dai quali escono gli analisti finanziari che gestiscono miliardi dei risparmi della gente comune non si apprende (almeno non in modo strutturato ed esaustivo) la teoria delle decisioni, in particolare la parte della teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza.
Il corpus di conoscenze che, abbastanza recentemente, ha preso il nome di teorie delle decisioni è stato elaborato nel corso del ventesimo secolo ed è formato essenzialmente dalla moderna teoria dell’utilità, dalla teoria dei giochi e dai modelli per lo studio delle scelte collettive. In questi tre campi, il concetto di probabilità gioca un ruolo centrale, come si può facilmente comprendere, e tale concetto è stato radicalmente rivisto nel secolo scorso da Bruno de Finetti e Leonard Jimmie Savage, come vedremo molto brevemente in seguito.
Essendo un campo interdisciplinare, esiste sempre il problema che non si sa benissimo dove collocarlo. Purtroppo non è un argomento oggetto d’insegnamento molto diffuso nelle università italiane. In Italia, il prof. Bruno Chiandotto è uno dei decani dell’insegnamento di Teoria delle Decisioni, ma sono relativamente poche, le facoltà che hanno insegnamenti specifici e quei pochi corsi sono all’interno delle facoltà di matematica  non in quelle di economia e finanza.
La teoria delle decisioni studia due aspetti: il modo con il quale gli esseri umani prendono decisioni (teoria comportamentale o descrittiva) ed il modo con il quale dovrebbero prenderle, per ottimizzare i risultati delle stesse (teoria normativa).
Per decidere come investire è infinitamente più utile conoscere in modo esaustivo la teoria delle decisioni che non conoscere tutta l’“analisi tecnica”, “analisi fondamentale” e “analisi quantitativa” messe insieme. Purtroppo in genere gli analisti finanziari si occupano dei dettagli, non guardano mai l’insieme del problema: troppo banale, forse…

PROBABILITÀ, QUESTA SCONOSCIUTA
Quando parliamo di prendere decisioni nella vita di tutti i giorni, abbiamo sempre a che fare con il concetto di probabilità.
– Che probabilità ci sono che piova dove e quando ho prenotato la vacanza al mare?
– Che probabilità ci sono di avere un certo effetto collaterale per una terapia alla quale devo scegliere se sottopormi o meno?
– Che probabilità ci sono di avere un rendimento negativo dopo un anno dall’investimento in un certo strumento finanziario?
Ma sopratutto: cosa significano questi dati? Come utilizzarli nel processo decisionale?
Noi esseri umani abbiamo un grande problema con il concetto di probabilità.
Il grandissimo matematico Bruno de Finetti, provocatoriamente, sosteneva che “la probabilità non esiste”. Nel senso che il concetto di probabilità che a tutt’oggi costituisce il fondamento filosofico delle formule matematiche utilizzate in finanza (ovvero il concetto di “probabilità oggettiva”) è del tutto infondato se riferito alla vita reale. La probabilità oggettiva si applica ad un contesto estremamente ristretto di casi, per lo più teorici, che poco hanno a che fare con le decisioni che gli esseri umani devono concretamente prendere tutti i giorni. L’unico concetto di probabilità concretamente esistente (almeno per quanto riguarda il mondo reale) è quello inteso come stima soggettiva che un evento possa accadere in futuro.
Noi esseri umani facciamo una fatica tremenda sia nel processo di misura delle probabilità di un evento (come vedremo successivamente), sia nel comprendere il significato stesso di questa misura, specialmente quando è stata fatta da altri.
Cosa significa, concretamente, affermare che vi siano il 5% di probabilità che un investimento finanziario dopo un anno abbia una perdita? La maggioranza risponderebbe: significa che 5 volte ogni 100 si registra una perdita. Ma non è così. Di quali 100 volte parliamo? Le prossime 100?
Qui, una parte delle stesse persone – quelle più preparate – risponderebbero: no, non necessariamente i prossimi 100 casi, ma per “la legge dei grandi numeri” ripetendo all’infinito l’esperimento (cioè, nel nostro esempio, una sequenza infinita di anni d’investimento con lo stesso strumento) mediamente in 5 casi ogni 100 osserveremmo un andamento negativo.
Questo è il retaggio del concetto di probabilità teorizzato dal matematico Richard Von Mises contro il quale Bruno de Finetti scaglia le sue argomentazioni fino a demolirlo completamente.
Von Mises sosteneva che quando parliamo di probabilità di un dato evento ci riferiamo alla frequenza relativa che esso assume su un grande (tendente ad infinito!) numero di prove eseguite tutte nelle medesime condizioni (così detta “definizione frequentista”: “la probabilità di un evento è il limite a cui tende la frequenza relativa”).
Il primo problema, con questa definizione, è che non è dimostrabile matematicamente (è solo empirica), ma quello più grande è che si presta ad una serie infinita di equivoci ed errori. E’ del tutto evidente che la ripetizione degli eventi nelle medesime condizioni è irrealizzabile (Eracito docet) tanto quanto un numero di ripetizioni che tenda ad infinito.
In altre parole, le persone comuni fanno fatica a comprendere il concetto di probabilità (così come questo è comunemente inteso dalla statistica più elementare) per la buona ragione che c’è ben poco da capire! Si tratta di concetti teorici che possono avere un senso in ambito molto ristretti e che poco hanno a che fare con la vita reale. Quando si tenta di utilizzare questi stessi concetti nella vita reale (ovvero nel campo dell’incerto) si fa solo tanta, tanta confusione e spesso molti danni.
 
COME MISURANO LE PROBABILITÀ GLI ESSERI UMANI
Abbiamo visto come il concetto di probabilità oggettiva sia inapplicabile fuori da certi contesti molto particolari, il più delle volte astratti. La probabilità è quasi sempre soggettiva, ovvero una misura che gli esseri umani fanno sulla possibilità che un evento futuro si verifichi.
Ma come misurano gli esseri umani le probabilità di un evento? Attraverso l’uso di approssimazioni, scorciatoie mentali, quelle che le scienze cognitive chiamano euristiche.
Facciamo l’esempio di una misura di probabilità estremamente semplice.
– Una coppia ha due figli di cui almeno uno è maschio, quante sono le probabilità che la coppia abbia due figli maschi?
In genere le persone rispondono che le probabilità sono il 50%… e sbagliano.
Questo accade perché nessuno procede, spontaneamente, ad analizzare il processo di formazione dell’evento misurato al fine di calcolare quali sono tutte le ipotesi possibili, così da fare il rapporto con le ipotesi che si desidera misurare.
Nell’esempio, il ragionamento che le fanno le persone “normali” è più o meno il seguente. Se sono due figli ed uno di questi è sicuramente maschio, l’altro figlio può essere maschio o femmina, le ipotesi quindi sono solo due, ergo 50%.
Il punto è che questo ragionamento è una semplificazione, una euristica, perché salta al momento in cui ci sono i due figli senza analizzare tutti gli eventi possibili che possono generare questo stato (che sono 4, uno dei quali è escluso dalla formulazione della domanda, quindi le probabilità sono il 33%).
Gli esseri umani non fanno i calcoli di probabilità analizzando tutti i casi possibili.
In genere fanno delle semplificazioni, applicano delle scorciatoie.
Queste scorciatoie sono spesso positive. E’ molto buono che gli esseri umani abbiano queste euristiche ma dobbiamo essere consapevoli che quando le applichiamo al calcolo delle probabilità molto spesso ci fanno sbagliare.
Ecco perché con le statistiche è molto più facile mentire che dire la verità, come diceva il matematico svedese Andrejs Dunkels.
 
TEORIA DELLE DECISIONI, OVVERO: A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Come accennato in apertura, la “Teoria delle Decisioni” è quel corpus di conoscenze al quale hanno contribuito cultori di varie materie (filosofi, logici, matematici, statistici, psicologi, sociologi, economisti) che ha lo scopo di descrivere come gli esseri umani prendono le decisioni (filone “descrittivo”) o come dovrebbero prenderle (filone “normativo”) .
Al filone descrittivo hanno dato contributi importanti moltissimi autori, al filone normativo i contributi più rilevanti sono quelli di Von Neumann / Morgenstern, nel 1947 (utilità attesa) e Savage nel 1954 (utilità soggettiva attesa).
Questa teoria distingue gli ambiti nel quale si devono prendere le decisioni.
Esistono contesti caratterizzati dalla certezza, dal rischio o dall’incertezza. La distinzione riguarda il tipo di informazioni di cui dispone il decisore in merito all’ambito nel quale si deve assumere la decisione. Tre esempi tipici possono aiutare a comprendere meglio: gli scacchi, i dadi ed il poker.
Il gioco degli scacchi è il tipico esempio di un ambiente decisionale certo (si parla anche di “giochi ad informazione perfetta”). Avendo il giocatore a disposizione tutte le informazioni, la strategia migliore per vincere è semplicemente calcolare tutto ciò che possibile calcolare. Un computer anche con algoritmi tradizionali (cioè non applicando algoritmi d’intelligenza artificiale) vincerà sempre contro un umano semplicemente perché ha più potenza di calcolo.
In ambiente certo, quindi, la teoria dei giochi ci dice suggerisce di analizzare in dettaglio tutte le alternative, calcolare l’utilità attesa nelle varie alternative e scegliere quella che massimizza tale utilità. Tutto molto semplice e non particolarmente illuminante…
Esistono poi gli ambienti rischiosi. I dadi e la roulette sono due esempi classici.
In questi giochi non sappiamo cosa accadrà a seguito del lancio del dado o del giro della roulette, però conosciamo la funzione di probabilità (1).
Le informazioni di cui disponiamo non sono sufficienti a calcolare semplicemente tutte le opzioni possibili e sceglierne una. E’ necessario calcolare una strategia basata appunto sulle probabilità. I calcoli ci possono dire se abbiamo convenienza a giocare e possiamo decidere quanto e come puntare per gestire il rischio, ovvero avere la ragionevole sicurezza statistica di restare in gioco per tutto il tempo necessario affinché la convenienza calcolata possa manifestarsi.
Ciò che consente di fare questi calcoli è la funzione di distribuzione delle probabilità che è conosciuta.
Se i dadi non sono truccati, non sappiamo in che ordine usciranno i numeri, ma sappiamo che su un numero sufficientemente ampio di lanci, ciascun numero uscirà circa un sesto delle volte (poiché sei sono le facce di un dado normale). E’ un fatto di fisica, non ci sono altri fattori che influenzano il risultato di un lancio del dado.
Veniamo al caso del poker, qui l’elemento caratterizzante è l’incertezza perché il giocatore può bluffare. Fare calcoli sulla distribuzione delle carte può dare un certo aiuto ad un giocatore esperto, ma i calcoli non potranno mai essere lo strumento principale con il quale si può sperare di vincere a poker. Nel caso delle decisioni in condizioni d’incertezza la teoria dei giochi ci dice che le strategie che funzionano meglio non sono quelle che estremizzano l’elemento dei calcoli, ma sono le così dette “regole del pollice” (dall’inglese “rule of thumbs”) o, per dirla in modo più sofisticato: euristiche. In sostanza, delle scorciatoie, delle semplificazioni.
Negli ultimi anni, lo studioso che ha fornito i maggiori contributi scientifici su questo ambito è il prof. Gerd Gigerenzer del Max Planck Institute, uno dei più prestigiosi centri di ricerca europei.
Nel concetto di razionalità ecologica proposto da Gigerenzer (che si richiama al premio Nobel Herbert Simon), vi è un grande insegnamento solo apparentemente paradossale: in condizioni d’incertezza, più si calcola e più facile è ottenere risultati deludenti. L’approccio più utile è quello di applicare euristiche “fast e frugal”, come ripete spesso Gigerenzer, ovvero rapide e sintetiche.
 
TEORIA DELLE DECISIONI E FINANZA PERSONALE
Il grande problema del mondo della finanza è che usa strumenti e tecniche che sarebbero utili se la finanza fosse assimilabile a giochi come i dadi o la roulette mente la finanza è molto più simile al poker.
La quasi totalità delle formule matematiche che vengono utilizzate per costruire portafogli finanziari, alla luce della teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza, sono insensate e potenzialmente dannose.
In finanza si parla molto di “gestione del rischio” (risk-management). Alla luce della Teoria delle Decisioni in Condizioni d’Incertezza, solo l’espressione dovrebbe generare imbarazzo in chi la pronuncia. Il fatto di tentare di gestire il rischio, invece dell’incertezza, costituisce la confessione implicita di non aver capito niente del contesto nel quale si devono prendere le decisioni.
L’unico modo per non essere travolti dall’incertezza è quella di conoscerla e farci i conti, modificando l’approccio con il quale si prendono le decisioni.
Attualmente, l’approccio più utilizzato per gestire l’incertezza è quello di tentare di ridurla ad una forma di rischio più o meno ampio. In sostanza, si applica la stessa matematica, ma semplicemente si applicano dei correttivi. Si tratta di un approccio completamente sbagliato. E’ come mettere  la testa sotto la sabbia davanti all’incertezza.
Il modo più corretto è ammettere la propria ignoranza, semplicemente prendere atto dell’incertezza, dell’impossibilità di calcolare e ridurre il più possibile le ipotesi che stanno alla base delle decisioni.
Facciamo un esempio molto semplice, ma concreto. Ipotizziamo di voler generare un capitale di 30.000 euro a scadenza per la maggiore età di un proprio figlio che sarà fra 15 anni, quanto capitale dobbiamo accumulare mensilmente?
Un approccio tradizionale nel mondo della pianificazione finanziaria è quello di stimare i rendimenti attesi delle varie classi d’investimento con le relative deviazioni standard sulla base dei dati storici.
Si proiettano poi questi dati con alcuni modelli matematici (si suppone che la deviazione standard si sviluppi con la radice quadrata del tempo, mentre il rendimento medio si sviluppa in modo proporzionale al tempo) e si stabilisce quanto si dovrebbe investire ogni mese. Ipotizzando che il rendimento medio atteso nel periodo sia il 4% viene fuori che si dovrebbe investire 160 euro al mese. Se però il rendimento fosse del 6%, diventerebbero circa 158 e se fosse il 2% diventerebbero 164.
Secondo la Teoria delle Decisioni in Condizioni d’Incertezza questo approccio è completamente sbagliato perché fa troppe ipotesi che certamente non corrisponderanno al vero (oltre al rendimento medio, ci sono molte altre ipotesi implicite che qui non è il caso di approfondire).
Quale potrebbe essere un approccio totalmente diverso?
Come abbiamo già scritto, la semplicità in condizioni d’incertezza è la scelta più efficace.
E’ necessario, quindi, fare meno assunzioni possibili.
Inizialmente assumo che gli investimenti abbiamo zero rendimenti, quindi la prima rata dell’investimento sarà pari a 166 euro. I mesi successivi, in base al rendimento effettivamente conseguito sarà possibile adeguare la rata, aumentandola o diminuendola al fine di raggiungere l’obiettivo.
Gli esperti del settore non si sognerebbero mai di applicare un criterio così semplice. Lo considererebbero più o meno come un medico considererebbe un “rimedio della nonna” per guarire da qualche acciacco. Sarebbe considerato squalificante per la propria professionalità.
Se però approfondiamo il confronto fra i due metodi, ci rendiamo conto che adeguare la rata al rendimento effettivamente conseguito, invece di fare ipotesi di rendimento, consente anche di ottenere un tasso interno di rendimento superiore (si veda il lavoro di Michael Edleson della Harvard University sul Value Averaging).
Questo è un esempio piuttosto semplice, ma mostra chiaramente che è possibile fare scelte finanziarie rifiutando l’approccio matematico-statistico tipico della finanza tradizionale, che si basa su una serie di ipotesi totalmente campate in aria. Cambiando completamente il punto di vista, le decisioni vengono assunte non sulla base di ipotesi, ma sulla base di ciò che realmente è accaduto. Un altro utilissimo effetto collaterale del rifiutare l’approccio tradizionale è che il focus, spontaneamente, si sposta sulle cose più importanti, cioè: perché investo? Infatti, compreso che tutte le statistiche sui rendimenti attesi sono semplicemente insensate, la progettazione su quanto e dove investire partirà spontaneamente dagli obiettivi (nell’esempio che abbiamo fatto, costituire il capitale per la maggiore età del figlio).
Fare scelte finanziarie sulla base della Teoria delle Decisioni in Condizioni d’Incertezza rappresenta un approccio radicalmente diverso rispetto a tutto quello che oggi è considerato normale in finanza. Per molti, in particolare per gli esperti, può apparire sconcertante. Ci vorranno diversi anni affinché questo approccio si diffonda, anche perché gli indubbi vantaggi che presenta per l’investitore implicano anche una notevole perdita di centralità degli esperti del settore i quali, coscientemente o incoscientemente, tenderanno a screditare questo approccio.
Come è successo per tutto il movimento legato agli investimenti passivi, di cui gli ETF sono il fenomeno più conosciuto, inizialmente il settore finanziario farà di tutto per mantenere l’approccio tradizionale. Col tempo, i vantaggi del nuovo approccio saranno così evidenti che sempre più persone lo utilizzeranno e piano, piano anche la finanza tradizionale – almeno parzialmente – svilupperà linee di consulenza basate sulla Teoria delle Decisioni in Condizioni d’Incertezza. Serviranno diversi anni, ma sono assolutamente certo che accadrà.
 
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(1) Con “funzione di probabilità” ci riferiamo ad un modello matematico che collega ogni evento possibile la probabilità che questo accada. Esistono diversi tipi di funzioni, la più famosa ed utilizzata è la funzione di densità della “distribuzione normale”   o gaussiana o ancora “a campana”.  Non è questa la sede per approfondire questo discorso che effettivamente è un piuttosto tecnico, ma basti sapere al lettore generico che quando parliamo di probabilità di un evento ciò a cui effettivamente ci riferimento – affinché questo dato possa essere di una qualche utilità matematica – è la funzione di probabilità. Se questa non è stabile – come in finanza notoriamente non è – parlare di probabilità ha molto poco senso.
 
 
 
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