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Inflazione e risparmio gestito
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Articolo di Lorenzo Gussoni
14 ottobre 2006 0:00
 
Buona parte dei profitti nel settore del risparmio gestito derivano da una semplice omissione. Si omette di spiegare ai risparmiatori la differenza tra valore reale e valore nominale.
Il concetto, anche se cosi’ non sembra, e’ molto semplice.
Con mille euro oggi posso acquistare piu' beni di quanti ne potro’ comprare con la stessa cifra tra dieci, venti o trent’anni. Cio’ e' dovuto all’inflazione che riduce il potere d’acquisto del denaro. Come vedete il concetto e’ elementare, al limite del banale. La perdita del potere d’acquisto, quindi del valore reale, e’ una variabile che tutti gli economisti tengono in considerazione. Proprio per questo i valori storici vengono attualizzati, in modo da renderli sensati.
Passiamo dalla teoria alla pratica. Perche’ questo influenza in modo significativo la vita di milioni d'italiani?
Come dicevamo all’inizio, l’industria del risparmio gestito omette di far presente questo ai propri clienti. In tal modo e’ possibile vendere, ad esempio, i prodotti a capitale garantito. In quanto il valore di cui si parla e’ quello nominale, non quello reale. Alla scadenza del contratto il risparmiatore ricevera' la stessa cifra versata cinque anni prima, con la differenza che il potere di acquisto attuale e’ stato eroso da cinque anni d'inflazione. Il risparmiatore ricevera' un capitale con un valore reale inferiore a quanto versato.
Evidentemente risulta piu’ semplice vendere un prodotto motivando l’acquisto con la garanzia del capitale investito. Vendere lo stesso prodotto presentandolo semplicemente come qualcosa che blocca il capitale per vari anni ed a scadenza concede un interesse nominale pari a zero sarebbe molto arduo. La vendita diventerebbe, poi, quasi utopica se lo stesso prodotto fosse presentato come qualcosa che blocca il tuo capitale per vari anni, dandoti a scadenza, se le cose non vanno come si spera, un interesse reale negativo.
Il medesimo sistema viene utilizzato per le polizze vita ed i piani di accumulo. Si prospettano rendimenti a vent’anni, senza far notare al cliente che il potere di acquisto reale di quella cifra sara' eroso da venti anni di inflazione.
Questo problema coinvolge direttamente (e particolarmente) il nascente settore della previdenza integrativa privata.
Sarebbe piu' corretto dire: tocca direttamente i risparmiatori che si affideranno alla previdenza privata, giacche' il settore in questione sta brillantemente evitando il problema, non inserendo nei contratti alcun accenno al mantenimento del valore reale della rendita pensionistica.
Il problema riguardante il mantenimento del potere d’acquisto e' stato considerato e risolto dal legislatore per il Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Tale capitale doveva essere rivalutato dalle imprese con tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo. Una rivalutazione di questo tipo e' stata considerata “improponibile” dalle compagnie assicuratrici, le quali si sono rifiutate di applicarla ai loro fondi pensione.
E’ evidente che se un'ondata inflativa si abbattesse sull’Europa, circostanza poco probabile, ma certamente non impossibile, il potere d’acquisto delle pensioni private crollerebbe. Non occorre del resto formulare ipotesi apocalittiche. E’ sufficiente un’inflazione del 3,4% annuo per dimezzare nel giro di vent’anni il valore reale di una rendita non rivalutata all’inflazione.
Questo e' sicuramente un problema sul quale gli organismi preposti devono concentrare la loro attenzione.
 
 
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