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Psicologia in finanza. Serve veramente a qualcosa?
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Articolo di Alessandro Pedone
30 maggio 2023 10:34
 
Quando ho iniziato ad interessarmi seriamente alla finanza personale, nella seconda metà degli anni ‘90 del secolo scorso, la disciplina della “finanza comportamentale” (behavioral finance, cioè l’applicazione della psicologia in finanza) era già una disciplina di studio piuttosto fiorente, ma nel mondo della finanza tradizionale (quella più legata alle formule matematiche) veniva considerata un po’ naïf.
Con il premio Nobel per l’economia assegnato nel 2002 a Daniel Kahneman, uno psicologo (1), le cose hanno iniziato a cambiare. 
La finanza comportamentale ha acquisito autorevolezza, ma per molto tempo - ed è così in larga parte ancora oggi - non ha trasformato operativamente le modalità con cui vengono costruite le strategie d’investimento. 
L’uso operativo della psicologia in finanza è il tema del webinar che condurrò mercoledì 7 Giugno prossimo alle ore 18:30. In questo articolo desidero proporre alcuni importanti concetti preliminari. Se ti interessa l’argomento, ti invito caldamente ad iscriverti gratuitamente al Webinar, avrai anche la possibilità di ricevere un regalo molto particolare legato all’uso dell’intelligenza artificiale in finanza. 

La caduta della teoria finanziaria tradizionale
La principale critica che ho sempre sentito fare alla finanza comportamentale è che ha avuto successo nella parte distruttiva, ma non ha dato elementi costruttivi. 
Mi spiego meglio. 
Uno dei fondamenti teorici della finanza tradizionale (semplificando enormemente potremmo dire: “quella che usa prevalentemente la matematica e più precisamente la statistica”) è il costrutto della scelta razionale. Secondo questo approccio le scelte economiche (ed ancora di più quelle finanziarie) sono motivate esclusivamente dalla massimizzazione dell’utilità attesa. L’uomo previsto dalla teoria che sta alla base della “vecchia finanza” è un uomo calcolatore, razionale, il cui unico scopo è massimizzare il rapporto rischio/rendimento del suo denaro. 
Con il premio Nobel di Kahneman, la sua Teoria del Prospetto (2) entra nell’olimpo delle teorie scientifiche che non si possono seriamente mettere in dubbio senza rischiare di screditare sé stessi e quindi il presupposto di razionalità degli operatori finanziari entra ufficialmente in crisi. Il principale fondamento teorico per l’utilizzo della matematica in finanza cade, ma si continua ad usare tutti gli strumenti che precedentemente si utilizzavano con una giustificazione singolare: non abbiamo niente di meglio. 
L’accusa che viene - in parte giustamente - mossa alla Teoria del Prospetto di Kahneman è che non dice come si dovrebbero costruire i portafogli finanziari. Le formule di ottimizzazione media/varianza di Markowitz poggiano su fondamenta teoriche ormai screditate, ma almeno danno strumenti operativi chiari. 
Tra una teoria sbagliata che però offre strumenti pratici ed una teoria vera che però richiede di cambiare completamente approccio, il mondo finanziario ha scelto la via più facile: continuare a fare come si è sempre fatto, anche se ormai tutti sappiamo che è sbagliato. 
Nel corso degli ultimi venti anni sono stati fatti vari tentativi per rendere più operativa la finanza comportamentale e per tenere insieme sia l’approccio media/varianza di Markowitz, sia la teoria del Prospetto di Kahneman, ma si tratta molto chiaramente di compromessi che non affrontano le due radici del problema: 
1) il futuro è incerto, quindi per definizione non calcolabile; 
2) l’essere umano sceglie prima sulla base delle emozioni e poi le giustifica con la razionalità.  
Sono due fatti duri da digerire per chi ha costruito tutta la sua carriera in finanza usando tecniche e strumenti che si fondano sul tentativo di massimizzare il rapporto rischio/rendimento, sul risk management, e tutto questo armamentario della vecchia finanza.  
Ed in effetti la quasi totalità della finanza, con i comportamenti, dimostra che ancora non li accetta.

Le psicologie
Parlare di psicologia al singolare è una forzatura. Nell’opera monumentale di Umberto Galimberti “Nuovo Dizionario di Psicologia, Psichiatria, Psicoanalisi e Neuroscienza” le definizioni che riguardano la voce “psicologia”, nelle varie declinazioni, vanno da pagina 963 fino a pagina 1043, comprendendo svariate voci diverse tra le quali: psicologia analitica, psicologia commerciale, psicologia della Gestalt, psicologia dinamica, e decine di altre. 
Il grande psicoterapeuta italiano, Giorgio Nardone, ha curato insieme ad Alessandro Salvini, con il contributo di oltre 360 collaboratori, un volume di oltre 650 pagine dal titolo “Dizionario internazionale di Psicoterapia” il quale descrive una cinquantina di diversi modelli di psicoterapia suddivisi in 8 diversi paradigmi (3).
Quando parliamo di psicologia applicata alla finanza, se desideriamo fare un discorso che non sia solo superficiale, non possiamo esimerci dal precisare a quale tipo di psicologia ci stiamo riferendo. 
L’approccio cognitivista, ad esempio, è molto diverso dall’approccio interazionale-strategico e le soluzioni operative sono molto diverse. 
Prendiamo ad esempio il tema dei bias cognitivi che ha caratterizzato in particolare la prima fase della finanza comportamentale. Inizialmente Kahneman ha dato tanto spazio al concetto che gli esseri umani, nel prendere decisioni sui temi economici-finanziari, sono soggetti ad errori sistematici legati a presunte incapacità strutturali degli esseri umani. Recentemente lui stesso ha parzialmente riconosciuto l’errore ed ha detto che il tema dei bias è stato sopravvalutato. Lo psicologo Gigerenzer, invece, ha una visione radicalmente opposta e ritiene che molti di quelli che sono stati chiamati bias cognitivi sono invece delle utili euristiche che gli esseri umani applicano in condizioni di incertezza. Alcuni errori sui quali tanto ha insistito Kahneman, quindi, non erano da ricercarsi tanto nel comportamento dei soggetti studiati, quanto nella valutazione degli studiosi che confondevano ambienti dominati dall’incertezza con ambienti nei quali sarebbe corretto applicare calcoli matematici (cioè ambienti dominati dal rischio). 

Psicologia applicata alle scelte finanziarie
Mi ha sempre fatto sorridere la critica mossa alla finanza comportamentale di non avere un risvolto pratico. Dietro questa critica vi è una specifica visione del concetto di “praticità” applicata alla finanza che consiste, in estrema sintesi, nel fare qualche forma di calcolo.
Quando parliamo di psicologia (pur con tutti i distinguo di cui al paragrafo precedente) non parliamo di qualcosa di calcolabile. 
Dire che la psicologia applicata alla finanza non offre strumenti pratici perché non fornisce formule che si possono infilare in un computer, sarebbe come criticare la chimica, dicendo che non è pratica perché non è utilizzabile con cacciaviti, pinze e martelli!
Il fatto che le indicazioni che ci vengono dalla psicologia applicata alla finanza non si traducono in calcoli, non significa affatto che non siano pratiche, significa semplicemente che si occupano di un ambito diverso. 
La vecchia visione della finanza limita tutto il campo delle decisioni in ambito finanziario all’ottimizzazione del rapporto rischio/rendimento. Tutto ciò che non riguarda questo non sarebbe pratico.
E’ evidente che se posta in questi termini, la psicologia in finanza non può essere pratica.
Se invece allarghiamo la prospettiva e comprendiamo che il rendimento dei portafogli finanziari non è generato semplicemente dai calcoli di ottimizzazione media/varianza, ma dal comportamento dell’investitore durante tutto il processo d’investimento, ci rendiamo conto che questo comportamento è determinato in massima parte da fattori psicologici ed in minima parte dai calcoli di ottimizzazione. 
Lavorare su ciò che influenza il comportamento degli investitori è eminentemente pratico, ma non calcolabile. 
Lo scopo della psicologia applicata alla finanza non è quello di definire in che percentuale dobbiamo mettere le azioni in portafoglio per ottimizzare il rapporto rischio/rendimento. 
Lo scopo della psicologia applicata alla finanza è quello di definire delle strategie d’investimento che rendano psicologicamente sostenibile detenere determinati portafogli finanziari (siano o meno ottimizzati dal punto di vista di media/varianza). 
La psicologia in finanza, quindi, non solo serve a qualcosa ma è di gran lunga più importante di tutta la parte legata ai calcoli. 

Nel webinar che proporrò Mercoledì 7 Giugno 2023, alle ore 18:30, entrerò più nello specifico di questo tema e risponderò alle domande dei partecipanti. 
Vi aspetto! 


NOTE
1 - Contrariamente a quanto spesso si sente e legge in giro, Kahneman non è stato il primo psicologo a ottenere il Premio Nobel per l’Economia. In primo luogo bisogna ricordare che quello che giornalisticamente viene definito “Premio Nobel” per l’Economia non è un Premio Nobel, ma è il premio “Premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel". Il vero Nobel non aveva istituito il premio nel Testamento.
Il primo premio Nobel per l’economia di uno psicologo è stato assegnato a Herbert A. Simon nel 1978 per le sue ricerche pionieristiche sul processo decisionale nelle organizzazioni economiche. Simon è stato un economista, psicologo e informatico statunitense. Il lavoro di Simon, però, ha influenzato molto meno la finanza rispetto a ciò che ha fatto Kahneman per diverse ragioni che sarebbe lungo qui affrontare. 
2 - La teoria del prospetto di Kahneman è una teoria della decisione che si basa sulla psicologia cognitiva per spiegare come gli individui valutano le alternative in condizioni di “rischio/incertezza”. Secondo questa teoria, gli individui non scelgono in base all’utilità attesa delle alternative, ma in base al valore soggettivo che assegnano ai possibili esiti, rispetto a un punto di riferimento o status quo. Questo valore dipende da due fattori: la funzione valore e la funzione probabilità. La prima è una funzione concava per i guadagni e convessa per le perdite, che riflette l’avversione alle perdite degli individui. La seconda è una funzione che trasforma le probabilità oggettive in pesi soggettivi, che tendono a sovrastimare le probabilità basse e sottostimare le probabilità alte. La teoria del prospetto spiega anche come il modo in cui il problema viene presentato o incorniciato un problema (framing) influenzi la scelta degli individui. 
3 - Con il termine “paradigma” ci riferiamo al significato attribuitogli da Thomas Kuhn nell’epistemologia contemporanea, ovvero  come insieme di pratiche, regole metodologiche, ipotesi euristiche e modelli esplicativi che orientano la ricerca scientifica in una data epoca. Nel campo della psicoterapia gli 8 paradigmi più comuni sono quello cognitivista, comportamentale, eclettico, espressivo-corporeo, interazionale-strategico, psicodinamico, sistemico-relazionale e umanistico-esistenziale. 
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