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Ribilanciare o non ribilanciare... questo e' il problema
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Articolo di Alessandro Pedone
20 maggio 2008 0:00
 
Riceviamo questa interessante lettera di un nostro lettore in proposito all'articolo che abbiamo pubblicato ad inizio anno ("Fare meglio (anche MOLTO meglio) del risparmio gestito e' piu' semplice di quello che si pensa" ). La lettera propone un tema generico e molto interessante che merita di essere approfondito. Cogliamo anche l'occasione per pubblicare un aggiornamento su quel tipo di confronto proposto nel suddetto articolo.

Seguo spesso i vostri articoli, e trovo i vostri consigli veramente preziosi per noi risparmiatori/investitori.
Volevo chiedervi un chiarimento riguardo al bel articolo di Alessandro Pedone "Fare meglio (anche MOLTO meglio) del risparmio gestito e' piu' semplice di quello che si pensa".
Il nostro risparmiatore immaginario, all'inizio dell'investimento ha investito per il 30% in azioni (l'ETF), e per il 70% in CCT. La vostra ipotesi e' che non tocchi piu' per oltre 4 anni quegli investimenti, limitandosi a "mettere da parte" le cedole incassate. Cedole che quindi a rigore non dovremmo considerare parte del portafoglio investimenti, ma come disponibilita' liquida "improduttiva". Alla fine della vostra ipotesi si trova percio' ad avere una quota azionaria salita al 49% del portafoglio ( ¤ 34.306,00 su ¤ 70.102). Si tratta di un cambiamento del profilo di rischio non tanto piccolo: la sua esposizione all'andamento dei mercati azionari e' infatti aumentata di oltre il 60%.
Ora, nei mesi successivi l'ETF dell'esempio ha perso circa il 15%. Se il nostro investitore avesse ribilanciato a inizio anno il suo portafoglio complessivamente avrebbe perso il 15% del 30%, cioe' il 4,5%. Se non avesse ribilanciato, avrebbe perso il 15% del 49%, ossia oltre il 7%. Mettiamo che il nostro investitore considerasse accettabile una perdita momentanea fino al 5%, nel secondo scenario sarebbe stato probabilmente molto contrariato. E questo non perche' avesse sbagliato a costruire il proprio portafoglio in relazione al proprio profilo di rischio, ne' perche' abbia cambiato atteggiamento o obiettivi d'investimento, ma perche' l'evoluzione nel tempo del suo portafoglio l'ha reso non piu' coerente col suo iniziale profilo di investitore.

D'altra parte, se il nostro investitore avesse ribilanciato ad esempio ogni anno il suo portafoglio investimenti, avrebbe dovuto vendere ogni anno qualche quota dell'ETF per comprare altri CCT. Avrebbe cosi' rischiato meno in caso di caduta dei mercati azionari, ma avrebbe anche spostato risorse dalla componente che in quel periodo ha reso di piu' (ETF) a quella che ha reso meno (CCT) e il rendimento complessivo del periodo sarebbe stato inferiore. Per concludere, la mia domanda e' la seguente: una volta stabilito qual'e' il proprio profilo d'investitore secondo i principi guida del vostro decalogo, e costruito di conseguenza il proprio portafoglio, come consigliate di fare la "manutenzione" del proprio portafoglio? Il nostro investitore immaginario avrebbe dovuto (ad esempio una volta l'anno) vendere una parte delle quote ETF per comprarci (utilizzando magari anche le cedole maturate) altri CCT per mantenere le proporzioni 30%+70%? E in caso di calo dei mercati azionari, avrebbe dovuto al contrario liquidare CCT per comperare nuove quote dell'ETF e mantenere le stesse proporzioni?
Grazie in anticipo per la risposta.

Il ribilanciamento del portafoglio e' un argomento piuttosto complesso.Il gentile lettore suggerisce, una volta determinata la componente azionaria "giusta", di ribilancaire il portafoglio qualora, per l'effetto delle variazioni della componente azionaria, tale percentuale si modifichi.
Si tratta di una strategia molto teorizzata in finanza che prende il nome di "constant mix".
Ci sono alcune varianti di questa strategia. Una suggerisce di ribilanciare ad intervalli programmati (ogni mese, tre mesi o ogni anno come ipotizzato dal lettore.). Una seconda variante suggerisce di ribilanciare quando la percentuale supera una certa soglia da quella "ideale" (ad esempio un 5%).
In teoria (ma solo in teoria) questa strategia consentirebbe di alleggerirsi di azionario nei momenti in cui i prezzi sono alti, e comprare quanto i prezzi sono bassi.
In pratica non e' cosi'. La strategia "constant mix" funziona bene solo nelle fasi in cui i mercati non hanno una direzione molto marcata (cosi' dette "fasi laterali"), ma e' penalizzata sia quando i mercati vanno molto bene, sia (ed e' la cosa peggiore) quando i mercati vanno molto male, magari per diversi mesi o qualche anno (si veda il post-2000).
Psicologicamente, e' facile ribilanciare quando il mercato sale, un po' piu' difficile e' farlo quando il mercato scende, magari con una certa violenza e/o da molto tempo.
Dal mio punto di vista (ed anche dall'osservazione dei mercati finanziari nei decenni trascorsi), i mercati azionari tendono a procedere "a strappi". Durante le fasi laterali, le variazioni sono troppo poco significative per compensare i forti svantaggi che la constant mix accumula nella fasi in cui i mercati salgono molto o scendono molto.
Nel ragionamento del nostro gentile lettore, c'e' un "sottinteso" che noi condividiamo poco ed e' che la volatilita' sia sinonimo di rischio: ribilanciando il portafoglio (secondo una logica di constant-mix) si ridurrebbe il rischio perche' si riduce la volatilita'.
Dal punto di vista strettamente finanziario, il nostro lettore ha indubbiamente ragione.
La mia esperienza professionale di consulente finanziario indipendente, pero', mi ha portato a verificare che il concetto di volatilita' e' assolutamente inadatto ad esprimere il reale concetto di rischio che normalmente hanno in testa i risparmiatori.
Solitamente, un comune risparmiatore percepisce il rischio come la probabilita' di perdere soldi rispetto ad un parametro (per usare un termine caro alla finanza comportamentale: ha un "ancoraggio mentale"). Se l'obiettivo e' cercare di minimizzare questa forma di rischio, il ribilanciamento di tipo "constant mix" puo' fare ben poco. Anzi, in periodi negativi, accentua - e di molto - il rischio percepito dall'investitore.
Il ragionamento proposto dal lettore, parte da una situazione nella quale il portafoglio che vuole ribilanciare ha gia' guadagnato molto. Si ipotizzi di aver iniziato il portafoglio a Settembre del 2007 e di avere, dopo sei mesi, una perdita, sulla componente azionaria del 15%. A quel punto il nostro 30% e' diventato circa un 26%. Che si fa? Chi ha il "coraggio" di vendere i CCT e comprare l'azionario? Ma soprattutto, se il mercato continua a scendere come nel 2001?

Altre tecniche di ribilanciamento
Ogni scelta di ribilanciare il portafoglio ha dei vantaggi e degli svantaggi.
La cosa piu' importante, a mio avviso, e' quella di inserire tale scelta in una coerente strategia di portafoglio.
Se non si hanno le competenze per elaborare una coerente strategia di portafoglio, la scelta di non fare niente (cosi' detta strategia buy & hold) e' probabilmente la migliore, ammesso che si abbia la forza psicologica di "tenere duro" nelle fasi negative.
Per aumentare la probabilita' di avere tale forza, e' utile che la componente azionaria sia contenuta (abbiamo scelto il 30% non a caso). Nel caso in cui la componente azionaria sia elevata, la scelta di "tenere duro" puo' rivelarsi disastrosa in fasi particolarmente critiche.
Se si parte da una componente abbastanza contenuta (30% al massimo), qualora ci sia stato un periodo molto positivo sara' comunque psicologicamente piu' facile sopportare le discese piu' accentuate.
Nella mia attivita' professionale, con alcuni clienti per i quali ritengo che vi siano tutte le condizioni (non ultime, di carattere psicologico) utilizzo una tecnica di ribilanciamento derivata (anche se modificata in un paio di punti essenziali) della constant proportion portfolio insurance (CPPI). La CPPI "classica" consiste in una semplice formula che si basa sul principio di ridurre l'esposizione azionaria quando i mercati scendono e di aumentarla quando i mercati salgono: esattamente l'opposto di quanto suggerirebbe il nostro lettore. Detta cosi', sembrerebbe una follia.
In realta', ho citato questo esempio proprio per far comprendere come qualunque tecnica possa rivelarsi molto utile se inserita in una coerente strategia di portafoglio.
Cosa intendo per coerente? Mi riferisco alla coerenza fra: 1) gli obiettivi, 2) l'approccio agli investimenti e 3) le scelte operative.
Cerco di spiegarmi...
Uno degli aspetti piu' difficile di un progetto d'investimento e' la definizione dei reali obiettivi. In realta', molto spesso, gli investitori non hanno chiari obiettivi. Vorrebbero "guadagnare tanto senza rischiare", ma questo non e' un obiettivo, questa e' utopia.
Spesso e' necessaria una riflessione sul concetto di rischio per riuscire a definire meglio gli obiettivi d'investimento. Diverse tecniche di ribilanciamento possono modulare il concetto di rischio per ridurre quello maggiormente percepito dal singolo investitore.
Il problema, pero', e' avere la necessaria esperienza per valutare questi aspetti. Dal mio punto di vista, queste scelte sono difficilmente alla portata dei comuni investitori.
Ogni scelta d'investimento - se compiuta razionalmente - presuppone un certo "approccio" agli investimenti finanziari. Ci riferiamo agli assunti relativi a come e perche' si muovono i mercati finanziari. Per quanto strano possa apparire, la teoria finanziaria classica assume che le variazioni di rendimento dei mercati finanziari siano approssimabili ad un andamento casuale (in proposito, si veda il recente articolo: Volete sapere come andra' la Borsa? Tirate due dadi ).
La mia, personale, visione su come e perche' si muovono i mercati finanziari e' leggermente diversa da quella proposta dalla finanza classica. Il mio modello contempla la presenza di fasi di mercati generate anche dalla irrazionalita' degli operatori ecco perche' prevedo la possibilita', quando ci sono le condizioni, di utilizzare anche tecniche derivate dalla CPPI condividendo con i miei clienti i presupposti. Ovviamente non esiste un approccio "giusto", quale che sia il vostro e' l'importante è che le scelte operative siano coerenti.
Se un investitore crede che i mercati finanziari tendano a muoversi "per strappi", probabilmente un ribilanciamento di tipo "constant mix" sarebbe poco coerente con questo suo approccio. Diversamente, se un investitore ritiene che l'andamento dei mercati sia del tutto casuale e che l'unica variabile che esprime il rischio di portafoglio, da tenere sotto controllo, sia la volatilita' puo' trovare nella constant-mix un supporto.

Torniamo con i piedi per terra... Come si vede, non esiste un'unica risposta alla domanda del nostro gentile lettore.
Lo scopo di quell'articolo era (ed e') quello di dimostrare che un semplice risparmiatore puo' fare meglio (anche MOLTO meglio) con un banalissimo fai-da-te rispetto alla media della cosi' detta industria dei fondi comuni d'investimento.
A questo scopo, ho voluto proporre un portafoglio di confronto che fosse assolutamente semplice, direi banale. Non è previsto neppure il re-investimento della liquidita'.
Dal mio punto di vista, un investitore del genere farebbe bene a fare meno movimenti possibili al suo portafoglio.
Naturalmente farebbe bene ad impiegare la liquidita', man mano che raggiunge una cifra investibile senza costi proibitivi ed ovviamente farebbe bene ad investire quella liquidita' nella componente che in quella fase e' maggiormente penalizzata.
Non suggerirei, quindi, ad un investitore fai-da-te, che non abbia le competenze per sviluppare una coerente strategia, di effettuare alcun ribilanciamento vendendo una parte e comprando l'altra.
La gentile domanda del lettore mi consente di aggiornare l'analisi fatta ad inizio anno. Vediamo come si sarebbe comportato questo portafoglio oggi, dopo un bel periodo di forte discesa dei mercati finanziari ed inseriamo anche, in omaggio alla domanda del nostro lettore l'ipotesi di un ribilanciamento annuale per mantenere la componente azionaria identica al 30% ogni anno.

?

Al 19 Maggio 2008, dopo cinque anni esatti, il portafoglio non ribilanciato ha circa il 7% di liquidita' (derivante dai flussi cedolari) il 50% di CCT ed il 43% di azionario. Ovviamente investendo la liquidita' il rendimento del portafoglio Aduc30 sarebbe anche migliore, ma si tratta di piccole differenze che preferiamo non considerare.
La sostanza del nostro ragionamento e' perfettamente confermata. Un comune risparmiatore, non facendo praticamente nulla puo' guadagnare molto, ma molto di piu' della media dei fondi comuni.
ll ribilanciamento annuale del portafoglio, come si puo' vedere, non avrebbe apportato miglioramenti rispetto alle complicazioni che comunque implica. Ricordiamoci che vendere e comprare implica dei costi (non solo le commissioni, ma anche la differenza fra prezzo di acquisto e prezzo di vendita). Il fatto che negli ultimi sei mesi, in presenza di una forte discesa dei mercati, il portafoglio non ribilanciato abbia perso un po' di piu' della media dei fondi comuni d'investimento e' un fatto ampiamente compensato dai precedenti guadagni. Un investitore che avesse iniziato il portafoglio ad inizio 2008, avrebbe comunque fatto meglio rispetto alla media dei fondi flessibili ed alla media dei fondi bilanciati (come dimostra, fra l'altro, il portafoglio ribilanciato).
In sintesi, quindi, ribilanciare o non ribilanciare (e nel caso: come) e' una questione abbastanza personale che dipende dalle proprie caratteristiche d'investitore (obiettivi, esperienza finanziaria, profilo di rischio, ecc.).
Se non si hanno le idee ben chiare, molto meglio non fare niente: paradossalmente, potrebbe essere la scelta migliore!
 
 
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