testata ADUC
La verità sulla consulenza finanziaria: cosa stai pagando e cosa dovresti aspettarti
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Alessandro Pedone
19 aprile 2023 0:33
 
Per molti anni, l’industria del risparmio gestito ha vissuto basandosi sostanzialmente su un equivoco (per usare un eufemismo). Agli investitori si è fatto pagare un servizio, quello della consulenza finanziaria, senza che il cliente ne fosse informato, trasformando conseguentemente il servizio di consulenza in una mera attività di vendita. Un’attività nella quale il vero contenuto professionale è quasi inesistente. Secondo l’ultimo rapporto Consob sulle scelte d’investimento delle famiglie italiane, “solo il 34% del campione sa che la consulenza è un servizio a pagamento”. Se hai dei soldi investiti in banca, è molto probabile che tu stia pagando per un servizio che non sapevi di pagare.

Come stai pagando la consulenza finanziaria?
Quando un investitore si rivolge ad un intermediario finanziario per investire del denaro, in genere non ha consapevolezza di quanto gli costi questo servizio. A dispetto delle norme che imporrebbero grande trasparenza in questo campo, in genere le banche e gli intermediari finanziari sono molto restii a comunicare con chiarezza tutti i costi a carico degli investitori. Ma anche nei rari casi in cui il cliente è consapevole di questi costi (che mediamente incidono per il 2% all’anno), praticamente nessuno è consapevole del fatto che circa il 70% (1) di questi costi non è legato al servizio di gestione vero e proprio, ma alla distribuzione, ovvero a quello che dovrebbe essere la consulenza finanziaria.
In genere, infatti, il meccanismo funziona in questo modo.
Il cliente ha una cifra da investire, diciamo 100.000 euro.
Si rivolge ad una banca o a un “consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede” (cioè un agente di commercio retribuito in base ai servizi finanziari della mandante che riesce a vendere) dove riceve il consiglio d’investire su una serie di prodotti finanziari. Questi prodotti hanno una serie di costi, in piccola parte addebitati direttamente all’investitore, in larga parte prelevati dalla forma d’investimento, così che il cliente possa vedere, sui suoi estratti conti, solo l’andamento dell’investimento già al netto di questi costi. Con una certa dose di pazienza e di conoscenza, l’investitore può sapere quanto costano i suoi prodotti finanziari, ma la grande maggioranza non fa lo sforzo di andare a verificare.
Mediamente la banca (o la rete di promotori finanziari) che ha “consigliato” il prodotto riceve dalla casa produttrice circa il 70% dei costi che il cliente paga (1).
Quindi su circa 2.000 euro che il cliente paga per il servizio d’investimento, la banca riceve circa 1.400 euro per il fatto che ha consigliato al cliente d’investire in quel prodotto, invece che in un altro prodotto.
Fino al 2018, l’industria del risparmio gestito in Italia si è retta su questo meccanismo.
Con l’introduzione della nuova direttiva comunitaria sui servizi d’investimento questo meccanismo è reso più difficile, per le banche, dal fatto che entro Aprile di ogni anno devono comunicare per scritto il costo complessivo, in euro ed in percentuale, che ha effettivamente incassato l’anno precedente. La banca, inoltre, è obbligata ad indicare nel contratto di consulenza se la consulenza è fatta su base indipendente (in genere non lo è) oppure in conflitto d’interessi. Sapevi che, se hai degli investimenti in banca, nel 99% dei casi hai firmato un contratto di consulenza che dice che la banca è in conflitto d’interessi? 

Cosa stai pagando?
Entro la fine di questo mese, tutti gli investitori dovrebbero ricevere un documento dalla propria banca nel quale ci sarà scritto l’importo, in euro, che il cliente ha pagato per il servizio di consulenza finanziaria nel 2022. Per valutare se questo costo è appropriato o meno, la domanda che dovremmo farci è: in cosa consiste questo servizio? Ovvero cosa si sta pagando p-r-e-c-i-s-a-m-e-n-t-e?
Qui bisogna fare una grande distinzione: c’è l’aspetto prettamente giuridico e c’è l’aspetto, diciamo così, sostanziale.
Sul piano giuridico, il servizio di consulenza finanziaria consiste nel fornire al cliente delle raccomandazioni personalizzate  – considerate adeguate al soggetto che la riceve –  per acquistare, vendere o detenere uno specifico strumento finanziario.
Gli obblighi di legge dei soggetti che possono erogare il servizio di consulenza finanziaria (poiché questa è un’attività riservata per legge) sono numerosi. I due obblighi principali sono: 1) definire il profilo dell’investitore, al fine di compiere la valutazione di adeguatezza ad ogni raccomandazione e 2) fornire tutta una serie d’informazioni per far compiere all’investitore scelte consapevoli.
Questo è l’aspetto legale, formale.

Sul piano sostanziale, invece le cose sono molto diverse.
Dov’è il valore aggiunto della consulenza finanziaria? Perché un investitore dovrebbe pagare un consulente? Che tipo di servizio dovrebbe aspettarsi un cliente? Cosa è legittimo attendersi da un buon consulente finanziario e cosa non rientra nelle sue possibilità/compiti?
Ad oggi, dobbiamo riconoscere molto francamente che, almeno in forte prevalenza, il cosiddetto “servizio di consulenza” non è altro che un’attività commerciale. Non esiste un vero valore aggiunto della persona che gestisce il rapporto con il cliente, almeno non per il cliente.
La funzione di queste persone è quella di portare il cliente a sottoscrivere prodotti finanziari distribuiti dalle banche che li pagano.
Un buon consulente finanziario, invece, dovrebbe essere in grado di apportare un notevole valore aggiunto. Negli USA, dove questa professione è diffusa da decenni, si misura in circa il 3% (2) il valore aggiunto della consulenza finanziaria. Ovviamente è un dato che va preso “con le molle” ed andrebbe ben spiegato. Cerchiamo di capire cosa dovrebbe fare un “vero” consulente finanziario.

Cosa aspettarsi da un buon consulente finanziario?
Indipendentemente dagli aspetti giuridico-formali, la vera consulenza finanziaria consiste in primo luogo nell’aiutare il cliente ad auto-definirsi come investitore. I grandi investitori hanno spesso detto che per fare un buon investimento finanziario, la cosa più importante è conoscere se stessi (lo scriviamo da oltre 20 anni: “Regola n. 1: conosci te stesso”).
Gli investitori nella quasi totalità dei casi sottovalutano questo aspetto e non sono in grado di farsi le domande giuste e rispondersi in modo sincero.
A cosa serviranno questi soldi? Qual è la propria capacità di assumere rischi finanziari? Qual è la propria tolleranza a questo genere di rischi?
Questo tipo di lavoro non si esaurisce certo con la compilazione di un questionario come spesso accade in banca. E’ un processo lungo, che richiede spesso più incontri o comunque più scambi d’informazione anche a distanza di settimane. Non è affatto facile rispondere alla domanda: “a cosa pensi che ti servano questi soldi in futuro?”, ma dare una buona risposta, meditata, è di cruciale importanza per fare un buon piano d’investimento.
Il secondo compito-chiave del consulente finanziario è quello di informare il cliente su cosa realmente può aspettarsi dai mercati finanziari. Quali sono i rendimenti medi che ci si può ragionevolmente aspettare dalle varie forme d’investimento? Quali sono i rischi effettivi? Quali sono i costi connessi alle varie forme d’investimento? Vale la pena pagarli?
Queste informazioni dovrebbero derivare da evidenze accademiche. A questo scopo è fondamentale che il consulente abbia fatto studi specifici e sia costantemente aggiornato, ma è anche fondamentale che il consulente finanziario non abbia lo scopo di vendere dei prodotti o servizi specifici. Se la consulenza è strumentale alla vendita è evidente che le informazioni trasmesse sulle reali aspettative saranno necessariamente edulcorate.
Il terzo lavoro fondamentale del “vero” consulente finanziario è quello di aiutare il cliente ad essere coerente e disciplinato attraverso le varie fasi dei mercati finanziari, quelle euforiche e quelle dominate dalla paura.
Molti studi hanno dimostrato chiaramente che, fatto 100 il rendimento medio del mercato, la media dei prodotti di risparmio gestito, nel lungo termine,  riescono a cogliere circa il 75-80% del rendimento dei mercati perché una parte importante se ne va in costi (in questa fase molto particolare dove i rendimenti medi dei mercati sono bassissimi, questa percentuale è drammaticamente più bassa). E’ evidente che in questo campo (cioè quello della riduzione dei costi) c’è molto da lavorare, ma la cosa drammatica è che gli investitori riescono a cogliere meno della metà del rendimento residuo dei prodotti del risparmio gestito. Questo accade poiché sbagliano il momento d’ingresso e di uscita.
In altre parole è vero che –mediamente-  i prodotti di risparmio gestito distruggono valore rispetto al mercato a causa di costi inutili, ma è ugualmente vero che il principale distruttore di valore è l’investitore stesso il quale, preso dall’euforia e dalla paura (ed in genere mal consigliato da sedicenti “consulenti” i quali in realtà fanno i venditori), entra ed esce da questi prodotti nei momenti peggiori.
Cosa può fare un consulente finanziario per aiutare il cliente ad evitare questi errori? Lo strumento principe è quello di stabilire un progetto d’investimento che indichi in modo chiaro e scritto:
- perché si sono fatte determinate scelte, 
- con quali aspettative in quali orizzonti temporali
- quando e perché si deciderà di disinvestire o di ribilanciare il portafoglio
.
Queste regole d’investimento si costruiscono molto più facilmente (ed una volta costruite è ben più facile attenervisi) se sono collegate al punto n.1, ovvero la definizione del profilo dell’investitore. Ecco perché è così importante “conoscere se stessi”.

Queste sono le tre cose fondamentali che un cliente può e deve aspettarsi da un “vero” consulente finanziario che non sia un semplice venditore di prodotti finanziari.

Cosa NON aspettarsi da un buon consulente finanziario?
Il danno peggiore generato dall’attività di vendita in luogo della vera consulenza finanziaria non sono i miliardi di euro di risparmi degli italiani finiti nei bilanci delle banche. Questo è un danno molto rilevante ma al quale si potrebbe porre rimedio. Il danno più grande è quello culturale. 
Gli investitori, infatti, si sono convinti che il lavoro del consulente finanziario sia quello di generare  rendimenti sapendo cosa e quando comprare e vendere. Chi si aspetta da un consulente finanziario che sappia come andranno i mercati in futuro e scelga conseguentemente gli investimenti che andranno meglio degli altri, rischia cocenti delusioni. I rendimenti non li generano i consulenti, li generano i mercati. I consulenti mettono solo i clienti nelle migliori condizioni per approfittare dei rendimenti che i mercati offrono.
I consulenti finanziari non sono gestori di capitali.
Il loro principale valore aggiunto si realizza nella gestione della relazione con i clienti, non nella gestione dei mercati finanziari.
Ci sono tonnellate di evidenze accademiche le quali dimostrano come neppure i gestori siano in grado di battere i mercati finanziari (a causa dei costi connessi), ma è ancora più evidente che il consulente finanziario non avrebbe neppure il tempo materiale di analizzare il giorno-per-giorno dei mercati finanziari a livello dettagliato, anche se volesse tentare seriamente.
Un buon consulente finanziario costruisce i portafogli dei propri clienti sulla base delle evidenze accademiche pesando le varie categorie d’investimento (così dette asset class, ovvero varie forme di azionario, varie forme di obbligazionario, liquidità, ecc.) ed eventualmente utilizzando varie strategie d’investimento sulla base delle caratteristiche dell’investitore (obiettivi, capacità e tolleranza nell’assunzione dei rischi, conoscenze ed esperienze finanziarie).
In genere non è legato all’andamento giorno-per-giorno dei mercati finanziari.  Punta a massimizzare le probabilità di raggiungere gli obiettivi dei clienti nel lungo periodo.


(1) Il dato si può trovare anche nel Discussion Paper pubblicato sul sito dell’autorità pubblica che vigila sui mercati finanziari, la Consob.
Riportiamo il passaggio chiave su questo aspetto: “In particolare, circa il 70% delle commissioni riconosciute alle società di gestione del risparmio è assorbito dai costi di distribuzione. È verosimile che la nuova disciplina introdotta dalla MiFID2, che reca disposizioni più restrittive in materia di incentivi, possa determinare una revisione degli attuali modelli distributivi e commissionali”
(2) Si veda qui
 
CHI PAGA ADUC
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile

DONA ORA
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS