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Ha ancora senso parlare di “valore” degli strumenti finanziari?
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Editoriale di Alessandro Pedone
22 settembre 2016 16:42
 

Leggendo la notizia di ieri sulla banca centrale giapponese, ovvero il lancio del terzo programma di “quantative easing”, mi tornava alla mente la mia prima “bolla” finanziaria che ho vissuto direttamente sulla pelle, quella di internet, ormai più di tre lustri or sono.

All’epoca, fior di “esperti” scrivevano su importanti quotidiani finanziari che non aveva più senso valutare le aziende con i tradizionali criteri utilizzati fino a pochi anni prima, perché internet avrebbe cambiato completamente il modo di fare business e, ad esempio, non contava niente se un’azienda faceva utili o meno, quello che contava era il numero di utenti o di click.

Internet, all’epoca, rappresentò una sorta di catalizzatore della follia degli investitori. Si trattava di una bolla abbastanza “classica”. Tutto sommato, facilmente riconoscibile.  Oggi ci troviamo in una situazione molto diversa.

Sicuramente, i prezzi delle obbligazioni sono follia (come scriviamo da moltissimo, troppo, tempo) ma abbiamo un regolatore dei mercati che è diventato l’attore principale degli stessi. Questo, effettivamente, cambia tutto.

Ieri la banca centrale giapponese ha deciso che con il nuovo programma non solo manterrà i tassi a breve termine in territorio negativo, ma ha deciso di manovrare anche i tassi (e quindi i prezzi) su tutta la curva, ovvero su tutte le scadenze. In sostanza la banca centrale comprerà e venderà obbligazioni allo scopo di manovrarne i prezzi in alto o in basso in base a ciò che riterrà utile.

Le altre principali banche centrali hanno programmi simili, anche se non così espliciti.

Davanti a fatti di questo genere, ha ancora senso parlare di analisi di “valore” dei titoli? Qualunque analisi tradizionale applicata alle obbligazioni direbbe di vendere, eppure le obbligazioni continuano ad essere negoziate a questi prezzi assurdi per il fatto che le banche centrali continuano a comprarle.

Cosa accadrebbe se le banche centrali decidessero di manipolare anche il  mercato azionario? Già oggi è prassi per diverse banche centrali acquistare azioni e lo stanno facendo sempre di più. Si tratta di un mercato, quantitativamente, molto più piccolo di quello obbligazionario e basterebbe molto poco (in relazione alla loro “potenza di fuoco”) per bloccare un crash di mercato.

Qualora si diffondesse l’idea (non certo balzana) che i crash azionari hanno conseguenze negative in termini di stabilità dei prezzi e disoccupazione, le banche centrali potrebbero decidere di acquistare e vendere azioni quando, a loro giudizio, i prezzi sono troppo bassi o alti. Al momento, per il mercato azionario, questa è ancora un’ipotesi assolutamente non ancorata alla realtà, ma per il mercato obbligazionario, invece, la manipolazione dei prezzi è la regola.                                     

Come prendere decisioni finanziarie in presenza di un mercato ufficialmente manipolato? E’ una domanda alla quale è tutt’altro che semplice rispondere.

La mia impressione è che non sia stata fatta ancora una riflessione sufficientemente profonda su questo problema. Il “business as usual” ha prevalso nel mondo finanziario e si continua a considerare il mercato obbligazionario come un mercato governato dalla legge della domanda e dell’offerta quando non è più così ormai da anni.

Ha senso investire in un mercato manipolato? Quali rischi a medio e lungo termine stanno correndo gli investitori? Ne sono consapevoli?

 
 
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