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Il Tao del Denaro
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Editoriale di Alessandro Pedone
24 novembre 2020 17:47
 
Il tema del denaro è vastissimo, quasi sempre affrontato in modo superficiale oppure da una prospettiva limitata. 
Da circa vent’anni mi occupo di dare raccomandazioni personalizzate e totalmente indipendenti ai miei clienti su come investire il proprio risparmio ed ho sperimentato ormai oltre ogni ragionevole dubbio che almeno il 70% del lavoro è di tipo psicologico non tecnico. Investire bene i propri soldi non è un problema tecnico e neppure semplicemente un problema di conoscenza: è un problema di consapevolezza. Solo attraverso una consapevolezza matura si potranno gestire le emozioni disfunzionali (paura ed avidità) che costituiscono la principale radice di ogni scelta sbagliata in finanza.  
La tanto decantata ed agognata “educazione finanziaria” non può fare niente per affrontare il problema principale: che rapporto abbiamo con il denaro
Sia chiaro, ben venga l’educazione finanziaria, ma non generiamo l’illusione che aumentando l’educazione finanziaria si riesca a far investire sostanzialmente meglio i risparmi dei cittadini. I cittadini fanno errori nelle scelte d’investimento non perché non conoscono il concetto dell’interesse composto o la differenza fra il tasso nominale e il tasso reale. Certo questi concetti aiutano, ma l’aspetto razionale nella scelta d’investimento è la parte più piccola del problema.

Il denaro come mezzo per soddisfare i bisogni umani
Il denaro è sostanzialmente un ”puro potenziale astratto”. A cosa serve il denaro? Essenzialmente a soddisfare i bisogni del suo possessore. Il denaro è un mezzo, non un fine. Può apparire una frase scontata, ma se guardiamo ciò che accade nella quotidianità, un complicato intreccio di fattori psicologici, sociali e tecnologici hanno creato una realtà nella quale sono diventati i bisogni umani ad essere asserviti alle necessità del denaro. 
In una sorta di gioco di specchi, il servo è diventato il padrone e viceversa. 
Sono profondamente convinto che, almeno al livello individuale, sia fondamentale tentare di rimettere le cose a posto e partire dall’analisi dei propri reali bisogni umani e farne discendere le decisioni su come investire il proprio denaro. 
Per questo, nei miei studi professionali, ho dedicato molto spazio (anni) non soltanto agli aspetti più tecnici, relativi al mondo della finanza, quanto agli aspetti più psicologici e sociali legati al tema dei bisogni umani. Si tratta di un campo molto più controverso di quello che si possa immaginare, non approfondendo. Questo mi ha portato ad elaborare, molto modestamente, una teoria che ho sintetizzato - un po’ giocosamente - nel titolo di questo articolo, “Il Tao del Denaro”.

Cosa intendiamo per “bisogno”
Il bisogno è uno stato di tensione, più o meno intensa, dovuto ad una mancanza di qualcosa. Tale mancanza può essere di ordine fisiologico, più o meno impellente. Ma anche voluttuario, divenuto ugualmente importante a causa di abitudini consolidate. Ancora, la mancanza può essere generata da motivi sociali o psicologici o per esigenze ancora più profonde legate alla realizzazione di sé stessi. 
Al campo semantico del termine “bisogno” sono connessi quelli di “motivazione”, “desiderio” e “pulsione”. Quando parliamo di “bisogni” non possiamo non citare la famosissima Piramide di Maslow. Io stesso ne ho scritto in passato poiché costituisce sicuramente un punto di riferiemento sul tema. Maslow ha avuto la sfortuna di aver visto il suo pensiero fagocitato dal settore della comunicazione e del marketing il quale l’ha sostanzialmente snaturato. Quelle poche volte che in finanza si tenta di parlare di bisogni per i quali il denaro dovrebbe servire agli investitori, si utilizza esclusivamente la piramide di Maslow e la si super-semplifica per adattarla a qualunque cosa serva in quel momento comunicare, in genere vendere qualcosa. 

Maslow non è stato certo l’unico ad approfondire il concetto dei bisogni umani. Chi si è occupato di psicologia seriamente sa che è perfino improprio parlare di UNA psicologia, al singolare. Si dovrebbe parlare di varie scuole o paradigmi psicologici. Ci sono almeno 8 principali paradigmi psicologici (cognitivista, comportamentale, eclettico, espressivo-corporeo, internazionale-strategico, psicodinamico, sistemico-relazionale, umanistico-esistenzialista) che hanno fondato letteralmente svariate decine di scuole psicologiche, spesso con approcci in aperto contrasto fra di loro. 

Il grande psicologo Viktor Frankl, ad esempio, fondatore della terza scuola psicoanalitica di Vienna (la prima era ovviamente di Freud, la seconda di Adler, la psicologia individuale comparata), era in contrasto con Maslow circa l’idea che i bisogni di sicurezza venissero prima di quelli relativi alla difesa dei propri valori morali ed ideali (quelli che Maslow metteva in cima alla piramide). Carl Rogers, altro grandissimo della psicologia umanistica, ha messo in rilievo il fatto che non è affatto detto che una completa soddisfazione dei bisogni di sicurezza conduca all’autorealizzazione e talvolta (come nel caso di una madre iperprotettiva) può accadere l’opposto. Ho preso tre autori che appartengono sostanzialmente allo stesso paradigma (quello umanistico-esistenzialista) e che hanno punti di vista abbastanza diversi sul tema dei bisogni umani. Se allarghiamo l’analisi del tema dei bisogni a discipline diverse, come la sociologia, troviamo approcci ancora più diversificati che danno contributi interessanti e - talvolta - più pratici al problema dei bisogni umani. 

Uno dei contributi che ho trovato più interessanti è quello del sociologo ed economista cileno Manfred Max-Neef il quale ha identificato una matrice dei bisogni umani dove le colonne identificano le quattro modalità di base attraverso le quali si possono soddisfare i bisogni, queste sono: essere, avere, fare, interagire. Le righe della matrice, invece, identificano i nove bisogni di base dell’uomo che sono (secondo Max-Neef): cura del corpo, sicurezza, creatività, intimità, gioco, riposo, autostima, senso, benessere.
L’incrocio fra i bisogni fondamentali e le modalità di soddisfarli determina quelli che Max-Neef chiama i “soddisfattori”. L’introduzione di questo concetto è estremamente interessante e foriero di una visione dell’economia che riporti il “servo” (il denaro) al servizio del “padrone” (l’uomo), ma il tema è troppo vasto per affrontarlo qui perché ci porterebbe troppo lontano. 

I due bisogni fondamentali dell’essere umano
Lo studio di tutto ciò che è stato scritto sui bisogni dell’essere umano ed anche la mia esperienza pratica con i clienti in questi venti anni di attività, mi hanno portato a formulare un approccio al problema dei bisogni umani che possono essere soddisfatti attraverso il denaro. 
Un po’ per alleggerire un tema oggettivamente ”pesante” da affrontare, scherzosamente, ho dato a queste riflessioni il titolo di “Tao del Denaro”, riprendendo un noto (all’epoca della mia adolescenza) libro divulgativo del fisico Fritjof Capra.
Tutti i bisogni dell’uomo si possono riassumere in due grandi “forze” le quali sono in una dinamica dialettica fra di loro. 
Tutte le teorie sui bisogni che fino ad oggi ho approfondito non trattano affatto (ed in altri casi non valorizzano a sufficienza) l’aspetto della dinamica, l’interazione, fra le varie tipologie di bisogni. C’è uno sforzo di catalogarli e costruirci sopra qualche teoria, eventualmente una gerarchia. Tutti questi tentativi si scontrano con la realtà che è molto più complessa. Ogni tentativo di catalogazione risulta sempre troppo vago o troppo dettagliato e qualsiasi tentativo di gerarchizzazione dei bisogni si scontra contro la non linearità della vita, la quale, essendo continua trasformazione, muta il bianco in nero e di nuovo il nero in bianco.
 
Nella mia vita personale, nel lavoro con i clienti, ho trovato molto più interessante ed utile applicare l’approccio orientale. Per cercare di spiegarlo è necessario comprendere che esistono, sostanzialmente, due “forze” che guidano l’agire umano le quali sono al contempo contrapposte e vicendevolmente una originaria dell’altra. 
Non è niente di più, ma anche niente di meno, di una delle infine formulazioni possibili del concetto del Tao: forse uno dei più grandi concetti emersi nel pensiero della storia dell’uomo (Se volessimo essere più puntuali il termine corretto non è “Tao” - che rappresenta “la via” - ma taijitu, che indica proprio l’opposizione yin/yang e rappresenta l’aspetto duale dell’Uno. Qui ho preferito utilizzare il termine più conosciuto in occidente, anche se è impreciso).
Secondo questo pensiero, l’intero cosmo si può dividere in due polarità, forze, energie, principi. Utilizzo volutamente campi semantici molto vasti ed un po’ “ambigui” proprio perché si tratta di un concetto applicabile praticamente a qualunque cosa. 
La polarità positiva prende il nome di Yang. Non è tanto importante il nome, quanto comprendere che ogni cosa che richiama i concetti di positivo, caldo, luce, espansione, maschile rientra in questa categoria. 
L’esatto contrario è definito Yin. Quindi: negativo, freddo, buio, contrazione, femminile sono energie Yin. 
Fatta questa distinzione super-generale è importante comprendere che ogni cosa ha una prevalenza di Yang su Yin o viceversa, ma ogni cosa è - al contempo - in parte Yang ed in parte Yin. L’eccesso di Yang conduce allo Yin e viceversa. 
Come si applica questo concetto al tema dei bisogni umani e della sua soddisfazione con il denaro? Il bisogno con la maggiore energia Yin è il bisogno di sicurezza, di protezione, di stabilità. L’assenza di rischio è eccesso di Yin. Non è un caso che le donne, tendenzialmente siano più prudenti degli uomini in finanza. 
Uno dei due bisogni fondamentali dell’essere umano, quindi, si può riassumere con il bisogno di sicurezza
L’altro bisogno, ugualmente fondamentale, e contrapposto è il bisogno di autorealizzazione che si esprime in moltissime forme. La libertà, il rischio, la creatività, il vincere, il guadagnare, il costruire, sono tutti campi semantici che richiamano la stessa forma di “energia” Yang. 
Il comportamento sconsiderato è eccesso di Yang. 

Gli investimenti finanziari nella visione del “Tao del denaro”
L’aspetto chiave che differenzia l’approccio che in questo articolo ho potuto solo accennare (il “Tao del denaro”), dalle altre teorie sui bisogni umani è l’elemento della dinamicità
Non è tanto importante se classifichiamo un bisogno come “primario”, “fisiologico” o di “amore”, “autorealizzazione”, ecc. 
Non è importante neppure se ipotizziamo una qualche gerarchia fra questi bisogni.
E’ molto più importante comprendere che i bisogni si trasformano in continuazione. L’uno diventa l’altro. E l’altro ri-diventa l’uno. 
Qualsiasi consulente finanziario con un’esperienza abbastanza lunga alle spalle sa perfettamente che se propone il questionario sul profilo di rischio nel momento in cui i mercati vanno bene avrà un risultato completamente opposto rispetto a quello che avrà fatto (o farà) quando i mercati andranno male. 
Ma anche se approfondiamo la cosa in modo meno (scandalosamente) superficiale rispetto a come viene fatto nei famigerati “profili di rischio mifid”, possiamo verificare che la stessa natura umana porta ad un continuo capovolgimento dei bisogni umani sulla base del variare dell’ambiente esterno ed interno.   
Applicato alle scelte d’investimento finanziario questo significa che è molto importante avere un approccio dinamico. Qui però non bisogna fare confusione col concetto di dinamico. Dinamico non significa passare da una percentuale all’altra di azionario sulla base delle previsioni del mercato. Nell’ottica che proponiamo ai nostri clienti, dinamico significa prevedere tre “macro” portafogli che in genere denominiamo: Liquidità, Sicurezza e Crescita. Gli importi di questi tre portafogli cambiano moltissimo da cliente a cliente sulla base dell’analisi dei bisogni che facciamo in un determinato momento.
Quando sviluppiamo l’analisi dei bisogni, però, siamo ben consapevoli che questi cambieranno anche significativamente. Per questo prevediamo e costruiamo delle regole di passaggio da un portafoglio all’altro allo scopo di rendere tutto molto fluido e adeguare il portafoglio complessivo alla vita reale dell’investitore. 

Ho chiamato questo modello “Portafogli Obiettivo Comunicanti”, in sigla POC (un tempo li chiamavo “Portafogli Omeostatici”, ma poi mi hanno spiegato che il termine non lo conosceva nessuno e che era molto meglio se cambiavo nome…). Fino ad oggi è il modello che ha dato a me ed ai cinque colleghi che con me condividono questo approccio, i migliori risultati nel modellare i portafogli finanziari dei clienti attraverso i loro reali (e naturalmente mutevoli) bisogni di vita collegati ad esigenze finanziarie. 
 
 
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