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La crisi del credito e' ormai una questione prettamente politica
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Editoriale di Alessandro Pedone
16 luglio 2008 0:00
 
Ad un anno di distanza dalla scoppio della crisi del credito se c'e' una cosa che possiamo dire con ragionevole certezza e' che le dimensione della crisi sono tali da non poterne piu' uscire senza  un pesantissimo intervento dei governi, ed in particolare del governo degli Stati Uniti d'America.
Guardando questa crisi in una prospettiva storica, non si puo' far a meno di notare che frequentemente le banche sono entrate in crisi a causa di speculazioni di vario tipo assecondate (quando non incentivate) dalle banche. Sovente queste speculazioni sono state di tipo immobiliare (come in questo caso).
Per citare un esempio di casa nostra, nel 1889 scoppio' lo scandalo della Banca Romana (una delle sei banche che potevano emettere moneta). Furono scoperte frodi e falsificazioni di ogni tipo (perfino l'emissione di banconote con numeri di serie duplicati!) ed il sostanziale fallimento dell’istituto (con un ammanco di cassa di venti milioni di lire) travolto dalla crisi immobiliare di Roma. La crisi della Banca Romana e' rimasta famosa per gli intrecci fra finanza e politica, tipicamente italiani, con il tentativo di Giolitti (capo del Governo di allora) di salvare il presidente della banca, Tanlongo (poi arrestato, processato, condannato in primo grado prosciolto dopo un lunghissimo iter giudiziario) nominandolo Senatore.
Nei cinque anni successivi allo scoppio dello scandalo Banca Romana ci si accorse che anche gli altri istituti che potevano emettere moneta erano in crisi. Tale crisi si estese anche alle banche mobiliari ed un gruppo di capitalisti nel 1893 si mise a speculare al ribasso sulle azioni del Credito Mobiliare che dovette chiudere gli sportelli a fine novembre e chiedere la moratoria. Anche la Banca Generale, ritenuta piu' solida, fu costretta a chiudere agli inizi del 1894.
La crisi si avvio' a soluzione con un decreto del ministro delle finanze Sidney Sonnino, del febbraio del 1894, che stabili' il corso forzoso e sospese il cambio in valuta metallica.  Nacquero la Banca d’Italia ed una serie di sistemi di garanzia che avevano lo scopo di evitare il ripetersi della crisi.

Negli Stati Uniti, fra il 1929 ed il 1931 fallirono 4.300 banche, un numero eccezionale anche per un Paese abituato a veder chiudere, anno dopo anno, centinaia di piccole banche. La crisi, non grave fino al 1931, si acutizzo' a causa dell’impressione suscitata dalla chiusura delle banche tedesche, nei confronti delle quali quelle americane avevano molti crediti.
Il 6 Marzo 1932 il presidente Roosvelt fu costretto ad ordinare la moratoria generale, ossia la chiusura di tutte le banche degli Stati Uniti, che cominciarono a riaprire solo una settimana piu' tardi. Intanto fu avviata una indagine sul grado di solidita' delle 17.300 banche in esercizio: 2.100 banche non furono riaperte. Alla fine della crisi, di 24.500 banche esistenti nel 1929 solo 15.000 rimasero in vita.
La crisi si risolse con l’intervento del Governo che creo' tutta una serie di istituti (fra i quali i progenitori di Fannie Mae e Freddie Mac) che garantivano solidita' all’intero sistema bancario. Fu allora che venne istituito il Federal Open Market Commitee incaricato di coordinare le operazioni sul mercato aperto delle banche della Riserva Federale:  nacque la FED cosi' come la conosciamo oggi.
La grande depressione che caratterizzo' il periodo post-1929 non fu causata, come molti credono, dal crollo dei mercati azionari bensi' dalla crisi bancaria. Il crollo dei mercati azionari fu una delle cause della crisi del sistema bancario, ma se tale crisi fosse stata affrontata prima dal Governo le conseguenze economiche sarebbero state molto meno pesanti.
Storie come queste si sono ripetute altre volte e sempre, quando la crisi ha abbracciato l’intero sistema bancario, sono intervenuti i governi ed a pagarne le conseguenze sono stati tutti i cittadini, con tasse e/o grande inflazione. Le ripercussioni economiche di queste crisi sono state piu' o meno gravi a seconda del tempismo con il quale sono state affrontate.
La campagna elettorale in corso in America, probabilmente, ha contribuito a rallentare i tempi d’intervento del Governo Federale di quel Paese. Piu' lenti saranno questi tempi e maggiore sara' il peso che la crisi imprimera' sull’economia globale.
L'epicentro della crisi del credito sono queste due societa' Fraddie Mac e Fannie Mae, prima semi-sconosciute ed ormai sulla bocca di tutti coloro che si occupano di finanza,  che da sole garantiscono una quantita' impressionante di mutui ipotecari, circa 5.000.000.000.000 di dollari (circa tre volte l'intero debito pubblico italiano!). Il Governo Federale, in un modo o nell’altro dovra'  procedere alla nazionalizzazione (di fatto o effettiva)  e questo implichera' un aumento del debito pubblico americano di oltre il 50%!
Le mosse che sono state fatte ieri in questo senso sono apparse  contraddittorie. Il Governo si fa autorizzare ad entrare nel capitale di questi due istituti, ma al tempo stesso dice che non intende affatto nazionalizzarli.
Queste contraddizioni sono esattamente quello che non servirebbe in momenti cosi' difficili nei quali prima ancora dei fatti conta la fiducia degli operatori sulla possibilita' che il problema si risolva.
La storia, solitamente, non si ripete nelle stesse forme ma possiamo apprendere molto da essa.
Le banche centrali sembrano aver imparato bene la lezione ma le cartucce a disposizione delle banche centrali, pero', sembrano ormai agli sgoccioli.
Non resta che sperare che i politici americani si diano una mossa.
 
 
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