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Due semplici norme per la regolamentazione dei derivati in finanza
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Editoriale di Alessandro Pedone
30 gennaio 2013 12:19
 
Lunedì mattina sono stato negli studi di Unomattina a parlare brevemente di derivati (1). In collegamento da Milano c'era il solito economista filo-banche il quale, in sostanza, diceva che “tutto va bene, madama la marchesa”. Secondo questo economista i derivati sono usati correttamente dalle banche per dare soldi alle famiglie ed alle imprese e che la quantità di derivati che c'è in Italia non è un problema. Ci può essere qualche caso particolare, ma sono eccezioni all'interno di un sistema che funziona.
Purtroppo la realtà è ben lontana da quella prospettata dall'economista filo-banche ed è talmente un problema che sia negli Stati Uniti che in Europa si sta cercando di legiferare per arginarlo.
La cosa drammatica è che sono passati 5 anni dalla grande crisi dei sub-prime che ha innescato una recessione (i cui effetti paghiamo ancora oggi con la crisi in corso) senza che si sia riusciti a produrre una legislazione realmente incisiva.
Anche le norme attualmente in gestazione (dopo 5 anni, ancora in gestazione!) sia in USA che in Europa non sarebbero sufficienti neppure qualora venissero applicate.
Uno dei problemi più grandi dei derivati è la loro l'enorme complessità che genera incertezza nei mercati.
Non si capisce cosa effettivamente ci sia nella pancia delle banche e delle istituzioni finanziarie e non si riesce a fare delle stime attendibili dei possibili rischi connessi.
Per questa ragione dovrebbe essere fatta una norma molto semplice.
A partire da una determinata data piuttosto vicina (ad esempio 1 Gennaio 2015) qualsiasi contratto derivato stipulato al di fuori dai mercati regolamentati è nullo. Questa semplice norma risolverebbe buona parte dei problemi alla radice. La negoziazione nei mercati regolamentati porterebbe ad una standardizzazione dei contratti derivati. I rischi finanziari più significativi ed utili da coprire (tassi, cambi, materie prime, i principali indici, ecc.) si potrebbero certamente coprire con questi strumenti standard negoziati in mercati regolamentati (prevedendo, quindi, anche i così detti “margin call”, con tutti i vantaggi preventivi di questo strumento).
Il secondo problema è che oggi, troppo spesso, i derivati non sono utilizzati a copertura di rischi esistenti, ma per prendere delle scommesse.
Questo problema si ridurrebbe con la norma precedente, ma rimarrebbe sempre la possibilità per un ente finanziario di acquistare o vendere derivati sui mercati senza avere il sottostante da coprire.
Si potrebbe ridurre questo problema ai minimi termini con una norma la quale stabilisse che l'uso dei derivati nelle istituzioni finanziarie debba avere lo scopo prevalente di coprire fluttuazioni di asset esistenti, e qualora vi fossero perdite legate a derivati negoziati senza che l'istituto avesse il sottostante da coprire gli amministratori che hanno autorizzato quelle transazioni rispondono economicamente di quelle perdite (nelle modalità che dovrebbero essere meglio analizzate, ma comunque tali da scoraggiare fortemente comportamenti scorretti, ad esempio fino alla concorrenza del 75% dei compensi percepiti e/o pattuiti per l'anno in corso).
Queste due semplici regole manterrebbero l'uso corretto dei derivati ed eliminerebbero completamente (o ridurrebbero drasticamente) l'uso improprio. Hanno solo un grande difetto... ridurrebbero enormemente i guadagni di una folla di manager che guadagnano con la finanza a scapito dell'economia reale.
Sarà un caso se dopo 5 anni dalla crisi dei sub-prime siamo ancora alle chiacchiere?
 
 

(1) Per chi fosse interessato può rivedere la puntata in streaming a questo indirizzo. Il tema inizia dal minuto 35.


 
 
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