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Il gelido vento dell'austerity ha smesso di sferzare l'Europa?
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Editoriale di Alessandro Pedone
24 aprile 2013 15:11
 
La situazione politica, almeno dal punto di vista dei mercati finanziari, sembra che si stia piano piano sbrogliando in Italia con la rielezione di Napolitano al Quirinale e la nomina a Presidente del Consiglio dei Ministri incaricato di Enrico Letta. Si può pensare che sia stato un vero miracolo se i mercati finanziari non si siano “mangiati” l'Italia in questi ultimi due mesi. C'erano tutte le condizioni affinché lo spread arrivasse vicino ai livelli della fine del 2011 ed invece i rendimenti dei titoli di stato sono vicino ai livelli più bassi degli ultimi anni. Come è possibile?
E' sempre difficile tentare di spiegare il comportamento dei mercati finanziari e personalmente diffido sempre da qualsiasi tentativo di giustificare il livello di prezzo di qualsiasi asset finanziario.
Senza la pretesa di essere esaustivo, l'impressione che mi sono fatto in queste ultime settimane è che ciò che accade a livello di singola nazione europea, per quanto importante come l'Italia, è sempre secondario rispetto al completo cambiamento di clima avvenuto a livello continentale.
In Europa, ormai, sono state ormai prese due decisioni fondamentali: 1) la BCE – formalmente o informalmente – ha preso la decisione definitiva di difendere l'Euro a qualsiasi costo e 2) la Commissione Europa ha deciso, informalmente, di allentare la morsa dell'austerity.
La Germania ha finalmente capito che mezza Europa in crisi economica è un problema anche suo e lo ha capito perché gli indicatori economici stanno segnando il “cattivo tempo in arrivo” anche da lei. Nei passati trimestri, mentre la stretta delle recessione economica stava stritolando Paesi come la Grecia e faceva molto male in Spagna, Portogallo ed Italia, in Germania l'economia volava.
Adesso, da qualche tempo, l'economia in Germania va ancora piuttosto bene, ma si iniziano ad avvertire segnali di rallentamento. E' di oggi la notizia che l'indice che segnala la fiducia delle imprese tedesche ad aprile è calato molto più delle attese rispetto al mese di marzo quando era a 106,7 punti. Gli analisti si attendevano un calo a 106,2 punti mentre è crollato a 104,4.
Sempre di oggi sono le dichiarazioni del temutissimo ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble che commentando un recente sondaggio in base al quale il 69% dei tedeschi sarebbe favorevole all'Euro ha detto che il dato è “sensazionalmente buono” e che la Germania “non difende l'euro per generosità o perché le avanzano soldi, ma perché i tedeschi hanno i maggiori vantaggi dalla valuta unica”.
Da molto tempo, ormai, si è ben compreso come i timori di una Germania che spacchi monetariamente la zona Euro sono del tutto infondati e che i margini di manovra sulle politiche di bilancio sono ormai molto più ampie rispetto a quelli, pressoché inesistenti, di due anni fa.
A livello Europeo sono più le nazioni che non riescono a stare dentro i famosi vincoli di bilancio rispetto a quelli in grado di rispettarli. Si sta finalmente capendo che le politiche economiche di questi ultimi anni, tutte volte alla insensata paura dell'inflazione ed ai tagli dei bilanci pubblici, erano gravemente sbagliate.
Anche sul piano più squisitamente teorico si stanno facendo delle retromarce. Nell'ultimo fine settimana si è tenuto il meeting primaverile della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale e molti economisti discutevano sui presunti errori di calcolo che sono recentemente stati scoperti dagli economisti Thomas Herndon, Michael Ash and Robert Pollin della University of Massachusetts, Amherst in uno studio dei professori Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff della prestigiosissima Harvard University (1). Lo studio di Reinhart-Rogoff costituisce uno dei fondamenti delle politiche di austerity. Si afferma, infatti, che vi sarebbe una “trappola del debito” in base alla quale, una volta che una nazione ha superato il 90% di debito pubblico il suo tasso di crescita economica sarà fortemente pregiudicato. Secondo Herndon-Ash-Pollin, invece, in quello studio ci sarebbero degli evidenti errori di calcolo e rifacendo i conti come si deve si noterebbero risultati significativamente diversi. Correggendo questi errori, i tassi di crescita del PIL delle nazioni che avevano superato il 90% di rapporto Debito/PIL non sarebbe, come sostenevano Reinhard-Rogoff dello 0,1% bensì del 2.2%.
A prescindere dal dibattito accademico, il vento gelido che sferzava l'Europa nel 2011 ha ormai smesso di soffiare. L'Europa appare oggi molto più conciliante con le nazioni che non riescono a centrare gli obiettivi di bilancio a causa di una profonda crisi economica che deve essere affrontata con politiche diametralmente opposte rispetto a quelle dei tagli di bilancio.
Il debito pubblico, a prescindere dal dibattito accademico, rappresenta chiaramente un problema che deve essere affrontato e risolto, ma non con cure da cavallo iniettate nel corpo di un paziente già fortemente debilitato. E' necessario prima che l'economia torni a marciare e poi ci si può occupare di ridurre il debito pubblico. Pare, finalmente, che la lezione sia stata appresa a livello Europeo e questo sembra aver rassicurato molto di più i mercati di quanto potessero essere spaventati dalla instabilità politica in Italia. 
 
(1) Per gli appassionati alla vicenda, qui lo studio Reinhart-Rogoff  e qui la confutazione di Herndon-Ash-Pollin 
 
 
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