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Mifid: un primo bilancio
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Editoriale di Alessandro Pedone
13 maggio 2009 0:00
 
Venerdì 22 Maggio sarò presente a Rimini, all'interno del IT Forum (clicca qui), ad una tavola rotonda moderata da Marco Liera, responsabile di PLUS l'inserto settimanale sul risparmio de "Il Sole 24 ore", sulla consulenza finanziaria alla luce dell'introduzione anche in Italia della famigerata ormai direttiva europea sui servizi d'investimento (Mifid). Sono passati ormai molti mesi dalle modifiche normative al Testo Unico della Finanza e dai relativi regolamenti Consob ed è possibile iniziare a trarre qualche bilancio degli effetti sostanziali che queste normative hanno avuto in tema di tutela degli investitori.
Uno dei punti cardine di queste nuove normative è l'indagine sulle caratteristiche dell'investitore (così detta "profilazione" per usare il termine orribile utilizzato in banca) al fine di verificare l'adeguatezza degli investimenti proposti alle caratteristiche del cliente.
In parte la "profilazione" del cliente era già prevista dalla precedente normativa ma diciamo, per semplificare, che la Mifid l'ha resa più stringente.
Lo spirito della norma è sacrosanto: poiché l'intermediario ha l'obbligo di verificare che la proposta d'investimento suggerita sia adeguata alle caratteristiche del cliente è evidente che deve fare un'accurata intervista ed il risultato di questa analisi deve essere scritto e condiviso dal cliente.
Come viene applicata nella sostanza questa norma? Dall'osservatorio privilegiato che abbiamo grazie alle tantissime storie che raccogliamo dagli investitori che si rivolgono all'associazione, possiamo affermare che nella maggioranza dei casi i questionari sono una farsa.
Troppo spesso vengono proposti ai clienti questionario pre-compilati e si ascoltano frasi del tipo: "ma lei ha azioni in portafoglio, quindi deve mettere un rischio almeno alto altrimenti il computer mi dice che è incongruente!".
Non esiste una vera indagine delle esigenze del cliente e dobbiamo dire che gli stessi clienti sono restii a farsi analizzare dalle banche percependo – giustamente - il conflitto di interessi come potenzialmente dannoso per loro. Una delle domande più frequenti a seguito dell'introduzione della Mifid era se fosse obbligatorio o meno compilare questo questionario.
 
Nel complesso possiamo affermare che lo spirito della norma, come era già successo al precedente corpus normativo in materia d'intermediazione finanziaria, è disatteso attraverso un'applicazione solo formalistica che si traduce in una sostanziale violazione.
Questo accade perché le istituzioni finanziarie non hanno mai accetto la sfida di un rapporto sostanzialmente corretto con gli investitori. Un tale rapporto, infatti, sarebbe un pericolo troppo elevato per i bilanci degli intermediari. Una quota significativa degli utili deriva dalla vendita di prodotti e servizi che non dovrebbero essere venduti se vi fosse una sostanziale applicazione dei principi di correttezza, trasparenza e diligenza.
Nel medio lungo termine, se si decidesse di rifondare un nuovo rapporto fra investitori e istituzioni finanziarie, tutti avrebbero a che beneficiarne. Ma l'esperienza ci insegna che i manager non guardano minimamente al medio-lungo termine (lo stesso che consigliano agli investitori), ma alle prossime trimestrali.
Ciò significa che anche una eventuale prossima direttiva europea sui servizi d'investimento è destinata a fare la fine della norma attuale che ha fatto né più e né meno la fine della precedente: disattesa nella sostanza attraverso una finta applicazione solo formale.
 
 
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