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Il tacchino induttivista ed il sistema bancario. Perché il sistema bancario sarà travolto
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Editoriale di Alessandro Pedone
12 novembre 2019 13:08
 
  Le mie certezze circa cosa potrà accadere nel futuro sono molto, molto limitate. Sono molto più una persona del dubbio, che non di certezze. Ciò nonostante, ci sono alcune evidenze che appaiono lapalissiane se solo si è disposti a dismettere gli occhiali della quotidianità che inducono all’atteggiamento del “Tacchino Induttivista” per citare una famosa espressione di uno dei miei miti di gioventù: Bertrand Russell, l’uomo a cui devo la mia smoderata passione per la filosofia.
Il Tacchino Induttivista, da quando è nato, ha ricevuto da mangiare ogni giorno dagli esseri umani. Inizialmente un po’ li temeva, per un po’ di tempo si preoccupava del fatto che potesse un giorno non ricevere più cibo ed essere costretto in qualche modo a procurarselo. Gradualmente, ha maturato la certezza che ogni volta che l’uomo si avvicina al recinto è per cibarlo. Questa certezza l’accompagna fino al giorno del ringraziamento…
La mia impressione è che il sistema bancario, in qualche modo, possa fare la fine del Tacchino Induttivista. Si tende a credere che il domani sarà sempre molto simile al giorno precedente ed a ciò che appare essere oggi. In realtà oggi è diverso da ieri e domani sarà ancora diverso da oggi, ma i cambiamenti avvengo troppo gradualmente per essere percepiti nella loro portata sistemica.

Il quadro attuale
Diciamolo chiaramente, con le tecnologie oggi disponibili – ma non ancora diffuse – il sistema bancario, è del tutto inutile, superfluo, superato. In futuro potrà restare in piedi non perché sia necessario, ma forse perché i regolatori vorranno evitare i costi sociali connessi al suo superamento. Il sistema bancario svolge essenzialmente tre macro funzioni ai quali corrispondono tre linee di business:
1) agevola i trasferimenti monetari (bonifici, carte di credito, ecc.) ricavandone commissioni in base alle transazioni monetarie;
2) presta denaro, guadagnando dal differenziale fra i tassi d’interessi (in un modo molto diverso da quello che la maggioranza delle persone credono, ma l’argomento ci porterebbe troppo fuori tema);
3) distribuisce prodotti d’investimento ricavando commissioni.

Di queste tre linee di business, la prima è palesemente in esaurimento. I costi per le transazioni monetarie si approssimeranno molto rapidamente allo zero. Tecnicamente non servono più le banche per trasferire grandi somme di denaro in modo sicuro e rapido da una parte all’altra. Le grandi aziende dell’informatica sono in una posizione decisamente migliore per sfruttare l’unico modo di fare profitti attraverso le transazioni: guadagnare dai dati, non dalle commissioni (almeno fino a quando questa follia continuerà ad essere normativamente consentita, ragionevolmente ancora per molti anni purtroppo).
Con i tassi d’interesse negativi, prestare denaro è un’attività sempre meno profittevole. La crisi del 2008 non ci ha consegnato solamente un mondo di tassi d’interesse negativi, ma ci sta consegnando qualcosa di ancora più rivoluzionario: la consapevolezza ormai diffusa che il denaro si crea dal nulla. Una quindicina d’anni fa, quando scrivevo che il denaro non è una merce ma una convenzione sociale, molti non comprendevano. Anni di inondamento di liquidità sui mercati finanziari da parte delle banche centrali stanno mostrando molto chiaramente che l’accesso al denaro potrebbe essere regolato da semplici algoritmi. Non c’è nessun bisogno di una infrastruttura burocratica e largamente inefficiente che seleziona chi merita o meno l’accesso al credito.
Rispetto al punto precedente, ci vorrà molto più tempo prima che l’accesso al credito venga completamente disintermediato, ma non vi è alcun dubbio che quella è la strada. In ogni caso, questa linea di business oggi è molto poco produttiva.

La terza linea di business sopra indicata è quella che – da tempo – consente alle banche di produrre utili. La creazione e commercializzazione di prodotti e servizi per l’investimento finanziario.
Anche questo settore è in profonda trasformazione. In parte per le stesse motivazioni (rendimenti negativi sui mercati e la tecnologia che abbassa i costi dei servizi d’investimento) alle quali si aggiunge la pressione regolamentare che spinge sempre di più nella direzione della trasparenza, in particolare la trasparenza sui costi.

Parliamoci chiaro: il business del risparmio gestito si fonda sostanzialmente sull’ignoranza dei clienti. Le banche riescono, in media, a drenare dai risparmi dei clienti circa il 2% all’anno, solo ed esclusivamente perché i clienti non hanno piena consapevolezza dei costi.
La regolamentazione sui costi ex-post entrata in vigore quest’anno, sebbene abbia mostrato una sostanziale inefficacia dovuta alla scaltrezza del sistema bancario unita agli evidenti limiti della Consob, tenderà sempre di più a rendere espliciti i costi in questo settore e conseguentemente i clienti, specialmente quelli più facoltosi, tenderanno a spostarsi su prodotti più efficienti come gli ETF che hanno circa un decimo dei costi rispetto ai portafogli finanziari medi.

La soluzione?
La soluzione è chiaramente quella indicata da tempo, fra gli altri, da Paolo Sironi, uno dei più importanti esperti mondiali di Fintech e della trasformazione del sistema finanziario (riferimento mondiale per IBM sul tema dell’intelligenza artificiale applicata ai mercati finanziari).
Sironi sostiene che le banche debbano passare da un modello che prevede la distribuzione di prodotti e servizi finanziari ad un modello che prevede la vera consulenza, in particolare basata sugli obiettivi di vita di clienti (Goal Based Investing).
Il pensiero di Sironi è molto profondo ed articolato e si fonda su alcuni cambiamenti nei modelli teorici di funzionamento dei mercati finanziari e più in generale dell’economia. I modelli tradizionali si basano su un’eccessiva semplificazione degli agenti economici e del contesto decisionale. Non vedono l’uomo partendo dalle sue reali caratteristiche biologiche e non hanno mai inglobato i concetti di incertezza fondamentale e di tempo irreversibile. Due concetti che sono invece alla base della Teoria della Trasparenza dei Mercati Finanziari proposta da Sironi.
Partendo da questi nuovi presupposti è chiaro che vendere prodotti finanziari fondati su teorie superate, in un contesto, fra l’altro, di sempre più elevata trasparenza, diventa suicidario.
L’unica scelta saggia sarebbe quella di guardare in faccia alla realtà e comprendere che quella strada porta necessariamente a sbattere.

I problemi?
Sebbene la soluzione sia evidente, la realizzazione non è facile.
Passare da un modello di distribuzione di prodotti e servizi ad un modello consulenziale richiede due asset che non s’improvvisano: credibilità e competenze.
Le competenze per vendere e quelle per fare consulenza sono molto diverse, specialmente se la consulenza di cui stiamo parlando non è la consulenza dell’“esperto” ma consulenza di processo (secondo la definizione di Edgar H. Schein). La quasi totalità di coloro che oggi si definisce “consulente finanziario” non conosce neppure la distinzione fra questi modelli, profondamente diversi, di consulenza. Nella nuova teoria della finanza che sta emergendo, lo spazio per il modello di consulenza che Schein definisce “consulenza dell’esperto”, è sempre più ridotto a causa dell’incertezza fondamentale che domina il settore finanziario. La differenza fondamentale fra la consulenza dell’esperto e la consulenza di processo consiste nel grado di certezza riferita al problema, alla soluzione ed alle conoscenze necessarie per trovare la soluzione. Pensiamo al caso di un meccanico che ripara l’auto o di uno sviluppatore di software che sistema un bug in un software aziendale. In questi casi i problemi, le soluzioni e le conoscenze sono tutte certe. Molte problematiche, invece, non sono così ben definite. La finanza è proprio l’esempio emblematico di questi settori. Chi può dire che un certo portafoglio sia, ex-ante, certamente migliore di un altro? E poi, “migliore” rispetto a cosa?
Evidentemente una consulenza nel campo delle scelte d’investimento non è una “consulenza dell’esperto”, ma una “consulenza di processo”. Nei campi nei quali non vi è certezza su quale sia il problema, la soluzione e la conoscenza necessaria per trovare la soluzione ottimale, il ruolo del consulente è principalmente quello di definire un processo attraverso il quale il cliente sia aiutato a prendere quelle che lui ritiene essere la migliore soluzione nel suo caso specifico.

In altre parole, la soluzione non è nella disponibilità del consulente (come invece avviene per il consulente-esperto) ma emerge dalla relazione cliente-consulente. Il processo di consulenza diventa così un percorso nel quale il ruolo del consulente è mettere il cliente nelle condizioni ideali per compiere le scelte, ma non potrà mai fare l’ultimo passo.
Già passare da una consulenza di vendita ad una consulenza dell’esperto richiede profonde trasformazioni da parte del personale che ha relazione con la clientela, ma passare da una consulenza di vendita ad una consulenza di processo è un salto a mio avviso proibitivo, salvo rare eccezioni.
Le consulenze di processo sono molto “delicateperché richiedono anche competenze strettamente tecniche (il consulente deve essere anche un “esperto” di quel settore), ma le competenze più importanti sono relazionali (es: la capacità di empatizzare, di ascolto attivo, di fare le domande “giuste” al momento “giusto”, di lavorare non solo con i concetti, ma anche con le emozioni, ecc.). L’utilizzo di queste competenze relazionali presuppongono un clima di reciproco rispetto e fiducia.
Il personale degli intermediari finanziari dovrebbe fare un enorme balzo di competenze per passare da una consulenza di vendita ad una consulenza di processo ma il salto di credibilità che dovrebbero fare gli istituti bancari sarebbe ancora più incredibile.

Come finirà?
Per le ragioni che ho accennato, ritengo molto più probabile che siano nuovi player a conquistare lo spazio della consulenza di processo nel settore delle scelte d’investimento personali. Il Goal Based Investing proposto da Paolo Sironi come modello più adatto alla nuova visione teorica che lui propone per il settore finanziario, è perfetto, ma le vecchie banche lo strumentalizzeranno cercando di proporlo né più né meno come l’ennesimo “prodotto” da vendere, i clienti non lo prenderanno seriamente (perché il contesto non potrà comunicargli una relazione autentica) ed un percorso ipoteticamente ottimo non potrà che trasformarsi in un’esperienza fallimentare.
Nel medio lungo termine, le banche, così come le conosciamo adesso, sono morti che camminano. Non hanno più alcuna ragione sostanziale di esistere (perché offrono servizi facilmente disintermediabili dalle tecnologie attuali) e l’unico settore che ancora genera una certa redditività è fondato su una visione teorica superata e sulla scarsa trasparenza. L’unico modello di business che potrebbe “salvarli” sarebbe quello di una vera consulenza, ma questo richiede un cambio di cultura aziendale improbo e molto difficilmente realizzabile.
 
 
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