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USA e Europa a confronto nelle politiche economiche contro la crisi e le loro conseguenze
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Editoriale di Alessandro Pedone
22 maggio 2013 14:19
 
A circa cinque anni dall'inizio della grande crisi finanziaria che si è poi trasformata in grande crisi economica possiamo iniziare a trarre qualche considerazione piuttosto fondata sui fatti.
Il modo radicalmente diverso di affrontare la crisi tra le due sponde dell'atlantico, in USA ed in Europa, ha prodotto effetti molti diversi.
Nel primo anno di crisi gli USA hanno fatto un deficit pari al 10% del PIL! Una cosa che farebbe rabbrividire i nostri burocrati europei che sono tutti a venerare il totem del 3% del deficit. Parallelamente, sempre in USA, si è iniziato a “stampare moneta” con politiche monetarie non convenzionali.
Cosa è successo in Europa? Qualche banca è stata nazionalizzata, ma i problemi del sistema bancario (sebbene minori rispetto a quelli che c'erano in USA) sono stati in larga parte messi sotto il tappeto. E' scoppiato il problema della Grecia che è stato gestito nel modo peggiore possibile con una Germania che ha imposto l'austerity a tutta Europa - ed in particolare ai così detti paesi periferici.
Mentre la FED (la banca centrale USA) progettava le politiche monetarie non convenzionali, la BCE alzava, seppure di poco, i tassi. Solo dopo aver visto da vicino il baratro di una possibile distruzione dell'Euro, grazie anche alla guida di Draghi, la BCE ha iniziato una politica monetaria accomodante sebbene le forti pressioni tedesche la stiano ancora limitando moltissimo.
Il risultato è che mentre in USA si pagano tassi d'interessi reali negativi, nei paesi periferici dell'Europa si continuano a pagare tassi reali molto corposi.
 
Che cosa hanno prodotto questi due approcci radicalmente diversi? Gli USA hanno continuato a crescere e la disoccupazione sta iniziando a diminuire. L'Europa si è incarta in una crisi economica dalla quale – ormai l'hanno capito tutti – uscirà solo grazie all'abbandono delle politiche di austerity, abbandono che verrà conclamato solo dopo le elezioni tedesche in autunno.
La cosa paradossale è che gli USA “spendaccioni” che all'inizio della crisi fecero un mega-deficit del 10% del PIL vedrà il suo rapporto Debito/PIL, nel periodo 2008-2015, crescere in misura uguale o probabilmente minore rispetto a quello europeo semplicemente perché l'Europa (salvo la Germania) si è incartata in una recessione dalla quale fatica ad uscire, mentre gli USA hanno ripreso il cammino della crescita quasi immediatamente quindi il PIL americano è cresciuto e quello europeo è diminuito. Poiché il rapporto Debito/PIL è – appunto – un “rapporto” non conta soltanto quanto debito si fa, ma anche quanto PIL si produce.
 
La lezione è lampante: da una grande crisi economica come quella nella quale siamo finiti non si può uscire senza il supporto di politiche monetarie espansive e momentanei deficit dei bilanci pubblici (1).
L'Europa sembra non aver ancora imparato completamente la lezione, ma con - la consueta, estenuante – lentezza giungerà ad applicare – tardi e male – provvedimenti simili a quelli che sono stati presi in USA circa cinque anni fa.
 
Presto (si fa per dire) o tardi, arriveremo ad una ristrutturazione del sistema bancario europeo ed arriveremo anche ad una svalutazione dell'Euro. Forse, sebbene sia più difficile, riusciremo anche ad abbandonare i dogmi monetari della Bundsbank che hanno condizionato in maniera drammatica le scelte della BCE. In un modo o nell'altro, quindi, usciremo anche da questa crisi economica, ma il grandissimo rischio che correremo (e che stiamo già correndo a livello mondiale) è quello di creare le premesse per una crisi ancora peggiore.
Dagli anni '80 ad oggi, ogni crisi è stata sempre peggiore della precedente. Ci sarà una ragione?
La ragione è che per uscire dalla crisi si creano le premesse per una nuova crisi.
Abbiamo visto che gli USA sono usciti dalla crisi grazie ad un mix di abbassamento delle tasse, spesa pubblica, stampa di moneta e tassi reali negativi. In tutto il mondo (e adesso sta arrivando anche l'Europa) abbiamo politiche monetarie espansive che portano abbondanza di moneta a tassi ridicoli. La domanda è: cosa accadrà quando sarà necessario tornare alla normalità?
 
In questo momento la moneta immessa nel sistema fluisce solo in minima parte nell'economia reale è sta inflazionando i prezzi dei titoli finanziari. In particolare abbiamo le obbligazioni a prezzi eccezionalmente alti (e quindi tassi eccezionalmente bassi). Anche il mercato azionario – sebbene non si possa ancora parlare di bolla – sta andando molto bene grazie all'enorme massa di moneta in circolazione. Questo è chiaramente un bene, in questa fase, ma cosa accadrà quando la massa monetaria inizierà a circolare nell'economia reale? Riusciranno le banche centrali a ritirarla in maniera ordinata prima che si trasformi in inflazione sostenuta? Sia chiaro, un po' d'inflazione farebbe solo bene ai debiti pubblici, ma da un'inflazione moderata-sostenuta (nell'ordine del 3-4%) ad un'inflazione accesa-fuori controllo il passo è breve.
Cosa accadrà quando i tassi d'interesse torneranno normali e scoppierà la bolla delle obbligazioni?
Nel frattempo è probabile che si formi – come solitamente accade – anche una bolla nell'azionario. I tassi così eccezionalmente bassi dell'obbligazionario e l'enorme massa monetaria messa in circolazione dalle banche centrali invoglieranno sempre più investitori a cercare un briciolo di rendimenti nel mercato azionario il quale - quindi - per un po' dovrebbe continuare a crescere spingendo così altri investitori ed alimentando il classico circolo che porta ad un bolla finanziaria.
Ci vorrà ancora molto tempo affinché si possa parlare di vera e propria bolla nell'azionario. Forse si parlerà di 2015 o 2016, ma è probabile che assisteremo anche ad un bolla sull'azionario. Ci sono tutti i presupposti.
Ci troveremo quindi ad un certo punto con tassi obbligazionari eccezionalmente bassi (come sono oggi) e azioni alle stelle. L'economia starà viaggiando apparentemente bene e probabilmente ci saranno segnali di recupero dell'inflazione.
Sarà quello il momento più pericoloso che ci attende. Le banche centrali dovranno essere brave a ritirare l'eccesso di moneta che hanno inserito nel sistema senza creare brusche frenate all'economia né choc finanziari. Il problema è che nella storia non c'è mai stato niente di simile e nessuno sa esattamente cosa fare e che conseguenze porterà.
 
Cosa significa tutto questo dal punto di vista dei portafogli finanziari? Per i piccolissimi investitori i cui portafogli dovrebbero essere composti prevalentemente da titoli di stato a medio-breve termine, non cambierà molto. Ma per i portafogli finanziari che hanno una visione più di lungo termine, magari con componenti azionarie, significa che sarà indispensabile fare scelte di allocazione molto dinamiche con tutti i rischi legati al fare scelte. Da oltre quindici anni i mercati finanziari sono, per una ragione o per l'altra, in una fase eccezionale: prima la costituzione e lo scoppio della bolla tecnologica a cavallo fra il secolo scorso ed il nuovo secolo, poi la crisi dei sub-prime ed infine la crisi dell'Euro. Ci sono tutti i presupposti affinché anche i prossimi anni siano fatti di eccessi: sia nel mercato obbligazionario (come stiamo già vedendo) sia nel mercato azionario. Saranno anni molto, molto difficili per gli investitori.  


(1) Naturalmente non conta solo "cosa" si fa, ma conta moltissimo anche "come" si fanno le cose. Se le politiche di austerity sono declinate solo con aumenti delle tasse, senza veri tagli alla spese improduttive e riforme strutturali, è lapalissiano che condurranno solo al disastro. In modo speculare, il deficit spending per rilanciare l'economia dovrebbe essere fatto prevalentemente attraverso tagli alle tasse e politiche di supporto all'occupazione.
 
 
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