La prossima settimana, la BCE comunicherà l'esito delle analisi Srep (
supervisory review and evaluation process), vale a dire il processo di revisione e valutazione prudenziale con cui la Banca Centrale Europea valuta e misura i requisiti patrimoniali e di gestione dei rischi, indicando a ciascuna banca le eventuali azioni da intraprendere.
E' assai probabile, a dir poco, che
la BCE imporrà alla Banca Popolare di Bari un rafforzamento del capitale. Notizia nemmeno nuova, dato che sin dalla scorsa primavera circolano voci di lavoro su un dossier da 250-350 milioni. Non a caso, due settimane fa abbiamo suggerito al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi di deliberare, assieme all'intervento a sostegno di Carige,
un'analoga azione per Banca Popolare di Bari.
Mentre molti ancora rivolgono inutilmente l'attenzione alla trasformazione in Società per Azioni o addirittura all'oramai mitologico diritto di recesso, a giorni
sapremo se alla Banca Popolare di Bari potranno continuare a cincischiare oppure, come ci auguriamo, verrà fissato un termine entro il quale dovranno concludere positivamente un aumento di capitale.
A quel punto, stanti le difficoltà in cui versa la banca, il crack sarà evidente a tutti.
Nell'attesa, possiamo iniziare ad approfondire gli eventi accaduti negli ultimi anni a Bari, e non solo.
Abbiamo già fatto notare come
la Banca d'Italia sia stata molto presente nella storia recente della Popolare di Bari. Nel 2014 autorizzò l'acquisto di Tercas, la Cassa di Risparmio di Teramo, che controllava anche Caripe, Cassa di Risparmio di Pescara.
Banca d'Italia avvallò l'operazione nonostante -come era evidente anche dal solo bilancio- la Popolare di Bari presentasse una scarsa copertura dei crediti nonostante avesse attraversato una delle più forti crisi economiche della storia. Analogo
ragionamento si può fare per l'acquisto, nel 2009, della Cassa di Risparmio di Orvieto.
Ci sono poi delle interessanti coincidenze da evidenziare.
Nel 2011, la Banca Popolare di Bari partecipò, assieme ad altri istituti,
alla ricapitalizzazione della poi fallita Cassa di Risparmio di Ferrara sottoscrivendo nuove azioni per un importo di 4,037 milioni di euro. Carife aveva bisogno di 150 milioni ma non riuscì ad ottenerli tutti dal mercato, domandando aiuto agli istituti amici.
Pochi mesi dopo, la Cassa di Risparmio di Ferrara ricambiò il favore partecipando all'aumento di capitale della Banca Popolare di Bari sborsando un analogo importo. Lo stesso giochetto fu attuato con gli altri istituti Banca Valsabbina, Popolare di Cividale e Cassa di Risparmio di Cesena (altro istituto finito male). In parole povere, l
a Popolare di Bari partecipò ad una sottoscrizione reciproca di azioni vietata dalla legge perché consiste in reciproco aumento di capitale che non fa crescere il patrimonio effettivo dei soggetti interessati.
Altra coincidenza emerge dall'
ingresso da parte del gruppo assicurativo Aviva nel capitale della Popolare Bari, di cui era da poco diventato partner commerciale con un accordo di banca-assicurazione. Aviva sottoscrive nel 2016 un aumento di capitale riservato per 25 milioni, sui 50 totali investiti, al prezzo di 7,5 euro per azione.
Un prezzo a cui nessun azionista riesce in quel momento a vendere, ma che viene avallato da una perizia redatta dalla Kpmg. Una perizia che riesce ad indurre in errore anche il professor Enrico Laghi, Ordinario di economia aziendale alla Sapienza di Roma, che pur non considerando corretto un valore dell'azione di 7,5, finisce per avvallarlo a sua volta proprio in virtù dell'analisi di Kmpg.
Poco dopo, però, Kpmg diviene advisor della Popolare di Bari per la cessione di un grosso pacchetto di crediti deteriorati. Un tipico caso di porte girevoli, insomma.
Si tratta di due delle svariate coincidenze che emergono nel momento in cui le cose si fanno gravi. Altre, e ben peggiori, le analizzeremo a breve.
Per tutti gli azionisti ed anche per i portatori di bond subordinati, Aduc mette a disposizione
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